Donne, scienziate e precarie: le 3 ricercatrici del “Sacco” che hanno isolato il ceppo italiano del Coronavirus
"Si accorgono di noi solo nelle emergenze". Alessia, Arianna, Annalisa sono le 3 donne che hanno isolato il ceppo italiano del Coronavirus all'ospedale Sacco di Milano. Sono lavoratrici precarie, così come lo era Francesca Colavita, la ricercatrice poi stabilizzata allo Spallanzani di Roma dopo aver isolato il virus dei turisti cinesi
Le 3 ricercatrici precarie dell’ospedale Sacco di Milano che hanno isolato il ceppo italiano del Coronavirus
Donne, ricercatrici e precarie è una storia già sentita quella che viene dall’ospedale Luigi Sacco di Milano e riguarda ancora il Coronavirus. Anche questa volta a isolare il ceppo italiano del virus partito dalla Cina sono state tre scienziate (e un ricercatore). Nuovo orgoglio dell’Università italiana dopo quello dell’Istituto Spallanzani di Roma, dove lo scorso 2 febbraio Francesca Colavita e il team del laboratorio di Virologia dell’istituto nazionale Malattie infettive avevano isolato il Coronavirus dai turisti cinesi. Colavita dopo lo straordinario risultato scientifico è stata stabilizzata. Si auspica lo stesso per le ricercatrici dell’ospedale milanese.
Le tre ricercatrici del “Sacco” che il 27 febbraio hanno isolato il coronavirus “italiano”, quello che ha contagiato i pazienti nella zona rossa del Lodigiano, si chiamano Alessia Lai, 40 anni, Annalisa Bergna di 29, e Arianna Gabrieli, 35enne.
Il primario di Malattie infettive del Sacco di Milano e direttore dell’Istituto di scienze biomediche, Massimo Galli, ha annunciato il risultato a cui hanno lavorato le ricercatrici italiane senza fermarsi per sei giorni e sei notti.
Nella squadra scientifica che ha isolato il ceppo italiano del Coronavirus oltre alle ricercatrici Lai, Bergna e Gabrieli ci sono anche due uomini, il collega polacco Maciej Tarkowski e il professore associato nell’Università statale di Milano Gianguglielmo Zehender. Il team è coordinato da un’altra donna: la professoressa Claudia Balotta.
La biologa Lai in un’intervista al Corriere della Sera commenta il successo scientifico raggiunto insieme alle colleghe: “Lavorativamente parlando è un successo, ma ora stiamo andando avanti. L’isolamento non basta, ci sono altre indagini da fare. In ricerca non c’è quasi mai l’arrivo del percorso”.
La ricercatrice di Parabiago (Milano) racconta al quotidiano la sua carriera da ricercatrice in Italia. La scienziata 40enne ha aperto la partita Iva ed è libera professionista. “Ho iniziato a lavorare al Sacco prima della tesi nel 2004 — spiega —, nel 2005 mi sono laureata, poi ho proseguito con un dottorato concluso nel 2009”.
Un percorso professionale incerto e che vive di finanziamenti. Negli ultimi dieci anni, Lai ha “campato” grazie ai vari assegni di ricerca, “che insieme alle borse di studio sono il modo migliore per andare avanti”.
“Se mi spaventano le incertezze di questo mestiere? Voglio fare la ricercatrice dai tempo del liceo — continua —, la carriera universitaria non è mai stata semplice. A 40 anni spero di poter continuare la passione di una vita”.
“Si accorgono di noi solo nelle emergenze. Passo più tempo in laboratorio che a casa”, conclude.
La collega Arianna Gabrieli, 37 anni, viene invece dal sud, Galatina, in provincia di Lecce, e guadagna 1400 euro netti al mese con partita Iva, vale a dire 28mila euro lordi l’anno. In un’intervista a Open la ricercatrice del “Sacco” ha raccontato: “A Milano con 1400 euro sopravvivi, ho sempre l’ansia che non mi venga rinnovato il contratto. L’indeterminato? Sarebbe il mio sogno”.
Tra le tre ricercatrici precarie la più giovane è Annalisa Bergna, di Paderno Dugnano (Milano), che ha solo 29 anni.