Reportage TPI – Storie di ordinaria resistenza: così la Romagna piegata dall’alluvione prova a ripartire
Pompe idrovore che drenano acqua, cittadini e imprenditori che chiedono indennizzi e una bomba sociale pronta ad esplodere. La Regione, alle prese con le conseguenze delle inondazioni, aspetta gli aiuti del Governo. Ma una fitta rete di solidarietà sta già sostenendo il territorio
Si continua incessantemente a drenare. Sono passati oltre dieci giorni dall’alluvione che ha colpito la Romagna e le centinaia di pompe idrovore lentamente fanno il loro lavoro. Sono distribuite sul territorio, in fila sui canali di Ravenna, Conselice, Fornace Zarattini e su buona parte di quella sterminata pianura che qui chiamano “la bassa”, oggi più simile alle Valli di Comacchio o di Campotto che alla campagna romagnola. Sono le più potenti in circolazione e sono arrivate con i camion dal Belgio, dalla Francia, dalla Slovacchia, sommandosi alle molte già presenti sul territorio e alle altre arrivate dai consorzi di tante regioni italiane.
«Avevamo già visto che i quantitativi d’acqua non potevano essere contenuti, per questo abbiamo diramato l’allerta rossa già prima che iniziasse a piovere, ma un evento del genere ha superato ogni ragionevole stima. Abbiamo calcolato una massa d’acqua venuta giù nel mese di maggio di circa 380 milioni di metri cubi. Per dare un termine di paragone: la diga di Lidrapoli (che è la più grande della Romagna e fornisce acqua nei periodi di secca a tutta la pianura, n.d.r.) ha una portata al suo colmo di dieci milioni di metri cubi». Irene Priolo, Vicepresidente della Regione Emilia-Romagna con delega all’ambiente, da settimane dorme poco per seguire le azioni di coordinamento. Quando la incontro, siamo interrotti da molte telefonate: sono ore complicate visto il permanere delle criticità a Conselice, dove sembra che l’acqua stia iniziando lentamente a scendere grazie a un lavoro congiunto tra autorità, istituzioni e una grande rete di privati che, con decine di trattori, ha attivato una macchina in grado di pompare nei canali limitrofi al paese 20/30 metri cubi al secondo.
«Conselice è seppellita da 60 milioni di metri cubi», continua preoccupata la Vicepresidente. «Serve velocità. Questo è un problema inedito nel nostro Paese ed esiste il rischio di una potenziale bomba sociale, quindi siamo tenuti a tutelare le persone. C’è una questione di tenuta psico-emotiva di un’intera comunità, per questo le istituzioni devono essere presenti. Fortunatamente questa è una popolazione caparbia e forte, con un grande spirito d’iniziativa, ma serve un’azione risarcitoria immediata, con indennizzi al 100 per cento».
Mercato a rischio
Quello degli indennizzi è il grande punto interrogativo che attanaglia i cittadini e gli imprenditori – soprattutto agricoli – colpiti. Si chiedono quando e in che modo si attiverà la macchina della ricostruzione e della ripartenza. Aldilà delle enunciazioni e dei Dd, le dinamiche sono ancora poco chiare e lo spettro di una severa burocrazia che allunghi i tempi e complichi le procedure dà adito al sarcasmo amaro di molti e allo scetticismo disperato di tanti qui in Romagna. Il problema, infatti, oltre all’emergenza in sé, riguarda il piano economico-sociale in una delle regioni più importanti e produttive d’Europa.
Lucio Poma, Capo economista di Nomisma, mi accompagna in un tracciato geografico esattamente sovrapposto alla via Emilia, in quel territorio che da solo rappresenta un PIL di quasi 75 miliardi di euro. «Questo è un comparto produttivo molto forte e va posta particolare attenzione alla fase di ripresa. Gli eventuali ritardi della ricostruzione possono escludere dal mercato interi distretti produttivi».
Nel mercato globale le chiamano supply chain, catene del valore, e rappresentano il network imprenditoriale nel complesso produttivo/commerciale, dal fornitore di materia prima al consumatore. Poma spiega che quello romagnolo è un mercato fortemente improntato all’export e, in quanto tale, deve confrontarsi con un sistema interconnesso, dove a produrre non è più un imprenditore che segue l’intera catena produttiva – dal concepimento al confezionamento – ma è una rete di soggetti che dalla materia prima, ai semilavorati, agli assemblaggi, al marketing, alla distribuzione inserisce il bene in un sistema di mercato. La circolazione delle merci, così come le infrastrutture tecnologiche, diventano così centrali e le stesse problematiche relative alla logistica e alle tempistiche degli interventi di ripresa possono determinare esclusioni dal mercato. Una crisi protratta per poche settimane nella produzione può determinare la sostituzione dei soggetti fornitori e la conseguente esclusione di intere filiere di produzione.
Il racconto del territorio è una diagonale perfetta: tocca i distretti della Romagna, la ceramica a Faenza, la meccanica per la logistica a Lugo, il mobile imbottito a Forlì, le calzature di San Mauro di Cesena, le macchine per la lavorazione del legno a Rimini, solo per riferirci alle eccellenze nella Piccola Media Industria della zona, in un ecosistema fiorente di migliaia di realtà produttive e manifatturiere che rappresentano le punte di diamante del Made in Italy.
Fango tossico
Guido Ricci, imprenditore agricolo di Massa Lombarda, due figli e una piccola impresa con otto operai con famiglie al seguito, aveva oltre 40 ettari di frutteti e vigneti e circa quattro chilometri quadrati di allevamento di polli. I pochi minuti per fare il punto sul disastro dell’alluvione sono bastati per prendere atto della portata apocalittica in cui versa il territorio di Conselice. Dopo una breve introduzione Guido deve lasciarmi per sistemare alcune faccende e quando ci risentiamo mi dice: «Sono finalmente arrivati!».
Si riferisce a una squadra speciale che viene dal Piemonte, abilitata al trattamento dei rifiuti. Il suo pollaio conteneva 24mila polli e il problema grosso, a otto giorni dall’alluvione, è lo smaltimento delle carcasse degli animali. Dal suo racconto comprendo meglio le conseguenze potenzialmente devastanti sull’ambiente della situazione.
«Quando è arrivata l’esondazione abbiamo capito subito che non si poteva fare nulla. L’allevamento è stato sommerso da un metro d’acqua e per noi è stato impossibile mettere in salvo i polli. Inoltre, sono saltati gli impianti e questo ha determinato il blocco per giorni di tutto il sistema di areazione. I gas provocati dalla putrefazione delle carcasse rendeva inaccessibile l’intero allevamento. Abbiamo dovuto aspettare che l’acqua andasse via, e quando siamo riusciti a riattivare l’impianto erano già passati cinque o sei giorni dall’allagamento. Sapevamo che il disastro peggiore doveva ancora arrivare. Quando abbiamo aperto le porte dei capannoni abbiamo trovato un fango tossico, costituito dal liquame da lettiera dei polli e cadaveri putrefatti da giorni rimasti in acqua. È stato impressionante! Il problema urgente è come smaltire quattro chilometri quadrati di questa melma putrida. Abbiamo trovato una ditta dal Piemonte, che è arrivata oggi e che dovrà caricare il fango tossico in appositi camion e bruciarli in locali dedicati. Costo dell’operazione: 80mila euro».
Guido mi spiega, inoltre, che tra qualche settimana avrà la stima dei danni: una volta asciugata la terra e vista la reazione dei vigneti e dei frutteti, sarà in grado di capire se la produzione di frutta potrà andare avanti o se dovrà espiantare e ripiantare le linee di alberi. Nel caso debba sostituire le piante, i costi da affrontare sono stimati in 40 mila euro a ettaro. Attualmente sono sottacqua 40 ettari. Si tratta dunque di milioni di euro. E Guido è uno degli imprenditori più piccoli: solo nella zona di Conselice c’è chi ha 2000 ettari ad oggi sommersi.
A suo dire, visti i costi di espianto e sostituzione e i mancati introiti degli anni che serviranno a riportare i livelli di produzione a quelli attuali, in assenza di un adeguato indennizzo che compensi tutte queste perdite, farà la scelta di non coltivare più. «Il rischio è che intere filiere della frutta italiana e migliaia di lavoratori rischino di scomparire. Il mercato sarà invaso da altre produzioni estere che non seguono i protocolli dell’agricoltura italiana, con controlli severi sulla qualità del prodotto, comprese le forti limitazioni sull’uso dei pesticidi che la nostra filiera rispetta», afferma sconfortato.
Rischi per l’agricoltura
Vincenzo Colla, Assessore alle attività produttive della Regione Emilia-Romagna, mi aiuta a fare il quadro della situazione: l’agricoltura è il settore di gran lunga più colpito. Il valore della produzione agricola in regione sfiora i 6 miliardi di euro e rappresenta circa l’otto per cento della produzione agricola nazionale. Il problema, secondo l’assessore, è la potenziale esclusone dal mercato della materia prima di alta qualità della produzione Made in Italy nel settore dell’orto-frutta, nel vino, nelle carni bianche. I grandi marchi internazionali – come Eurovo, Amadori, Martini, San Giovese, Granarolo, le catene dell’IGP dei marroni di Castel del Rio, delle pesche, delle pere – acquisiscono i prodotti da queste zone. La possibilità che la mancanza di materia prima porti a un’esclusione dal mercato dovuta alla mancata offerta è un rischio reale che bisogna scongiurare quanto prima.
Giuseppe Pomicetti è il Presidente del Parco delle saline di Cervia, eccellenza del territorio sia sul piano del prodotto che su quello della gestione.
Il parco, infatti, è un Azienda pubblico-privata in attivo, nonostante non riceva supporto da fondi pubblici. Gli utili vengono reinvestiti da anni nella manutenzione degli impianti e nella tutela dell’ecosistema salino. In queste acque da sempre si accolgono le colonie (tra le più numerose in Europa) di fenicotteri rosa, cavalieri d’Italia, aironi, cormorani, oche selvatiche e molte altre specie protette. Un esempio di perfetta armonia tra imprenditoria e tutela del paesaggio, meta per migliaia di appassionati del turismo della riviera. Il fiume Savio ha esondato dal lato delle saline, evitando così di mettere sott’acqua Milano Marittima e una parte della riviera e salvando l’indotto turistico dell’area, ma il prezzo in termini produttivi e ambientali è altissimo.
«Da giorni siamo sommersi dall’acqua dolce, che sta danneggiando le saline in maniera profonda», mi dice. «Al momento non abbiamo ricevuto alcun aiuto, viste le emergenze nei paesi e nelle città. Così da giorni stiamo cercando di svuotare quest’enorme mole di acqua con l’unica pompa dell’impianto rimasta attiva. Le atre sono tutte sommerse».
Anche Giuseppe è in attesa dell’arrivo di altre pompe idrovore dal battaglione San Marco. Le attende disperatamente, perché fino ad ora, nonostante il lavoro sfiancante, solo il 10 per cento dell’acqua è defluita nel canale verso il mare. Mi racconta che il danno ambientale sarà elevato: gli uccelli saranno impossibilitati a deporre le uova, così come il ciclo produttivo del sale di quest’anno sicuramente salterà, essendo proprio questo il periodo in cui si inizia la raccolta del sale.
Non si perde d’animo, però, Giuseppe. Ha in cuore di organizzare concerti ed eventi per raccogliere fondi e recuperare questa splendida oasi naturalistica nel centro della riviera romagnola. «Spero che nessuno ci dimentichi. Adesso c’è l’emergenza, ma la salina è un patrimonio di tutti e deve continuare a vivere. Cervia è la città del sale», conclude.
Cuore romagnolo
Incontrando gli imprenditori Luigi Bravi e Samuele Galappi della ORVA di Bagnacavallo trovo un importante esempio di solidarietà. Producono pane per duemila quintali e quaranta mila piadine al giorno, con il 20 per cento di export e la fornitura quotidiana per i grandi marchi, come Barilla, Galbani, De Cecco, San Carlo, oltre a tutta la grande distribuzione. Hanno 270 dipendenti e tre stabilimenti, che hanno subito il blocco della produzione per 15 giorni. Le perdite sono tante, ma il loro pensiero va soprattutto ai dipendenti sfollati e alla popolazione. I due imprenditori stanno girando in lungo e in largo la Romagna per portare aiuti materiali dovunque ci sia bisogno.
«Siamo molto attenti alla nostra gente e ai nostri lavoratori, perché il valore e la qualità della produzione dipende dalle risorse umane. L’azienda ha un ruolo sociale che deve emergere soprattutto nel momento del bisogno. Siamo orgogliosi di questo», dichiarano. Luigi e Samuele mi hanno inviato una lista d’imprese italiane con le quali sono in contatto, grazie alle quali hanno costituito uno straordinario network di solidarietà. Sono decine, compresi i grandi marchi, e stanno donando beni alle popolazioni: si tratta di camere da letto, grandi rifornimenti d’acqua minerale, beni di prima necessità, ma anche giocattoli per bambini. L’iniziativa che hanno messo in piedi è denominata “Cuore romagnolo”.
Congedandosi, sottolineano un punto: «Il decreto è stato un primo positivo passo, ma serve un commissario del territorio che conosca la realtà locale. Serve sburocratizzare e fare in fretta. E’ una questione di giorni, non di mesi. Non è accettabile che le nomine diventino una questione politica. Si mettano al centro le persone».
Ripartire insieme
La straordinaria capacità di questa gente non basta. L’Assessore Colla mi dice che c’è stato un “blackout” di 15 giorni per 70mila lavoratori e l’emergenza è ancora in atto. Una grossa fetta della popolazione di questa terra ha perso tutto.
Apprezza quanto fatto finora dal governo, ma sottolinea un vuoto: «Per tornare alla normalità nel decreto manca una clausola che – come è stato fatto per le imprese – garantisca il credito immediato alle famiglie per il riacquisto dei beni. Serve una garanzia al 100 per cento dello Stato verso le banche perché il cittadino colpito possa chiedere un prestito con la sola auto-dichiarazione. Così facendo si interviene subito, senza attendere le asseverazioni e le pratiche burocratiche che possono durare anni. Dobbiamo ripartire subito e per privati e imprese questo strumento è fondamentale».
Domenica 28 maggio sul profilo my.sunnyromagna è apparso un video: a Faenza erano in migliaia a cantare “Romagna mia” mentre scorrevano i mezzi dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile accompagnati dagli applausi. In chiusura il messaggio “Uniti per ricominciare. Civili e forze dell’ordine, pubblico e privato si danno una mano. Più forti insieme”. Non c’è sintesi migliore.