“Qui non è il Bronx”: viaggio nell’Appio Latino di Roma, che piomba nell’orrore dopo l’omicidio di Luca Sacchi
"Queste cose di solito qui non succedono" continuano a ripeterti gli abitanti di un quartiere, un tempo oasi felice, diventato lo specchio di una città, che ogni giorno che passa si scopre sempre più "brutta, sporca e cattiva"
Ragazzo ucciso Roma: viaggio nell’Appio Latino dove è morto Luca Sacchi
“Non siamo mica al Bronx” continuano a ripetere gli abitanti del quartiere Appio Latino, a Roma, che transitano all’angolo tra via Teodoro Mommsen e via Franco Bartoloni dove nella serata di mercoledì 23 ottobre è stato ucciso il ragazzo 24enne Luca Sacchi.
Ed effettivamente non siamo al Bronx, anche perché il Bronx, ovvero il distretto neworkese che ha la fama di essere il quartiere malfamato per eccellenza è nel frattempo diventata una zona meno pericolosa di quello che si pensa. Ma questa è un’altra storia.
Qui non siamo al Bronx, siamo all’Appio Latino, nella zona Sud della Capitale.
A pochi metri da dove è avvenuto l’agguato, in via dei Cessati Spiriti, Federico Fellini ha girato una scena de La dolce vita, mentre Mario Monicelli ha scelto questo quartiere per realizzare alcune riprese esterne del film I soliti ignoti.
Distante pochi minuti dal cuore della città, ma al tempo stesso lontano dal caos del centro storico di Roma, l’Appio Latino è un’oasi felice, ammesso che ne esistano ancora in una città come Roma sempre più grigia e depressa.
Tra i quartieri più popolosi di Roma, l’Appio Latino, con le sue villette in barocchetto romano e gli edifici in cortina degli anni Trenta, ospita la piccola borghesia romana, composta da impiegati, commercianti e piccoli imprenditori.
All’Appio Latino c’è ancora quel senso di appartenenza al quartiere ormai scomparso altrove. D’altronde, qui non siamo mica al Bronx. Qui si va ancora a comprare il formaggio dal contadino che vende i prodotti con il suo banchetto al parco dalla Caffarella, proprio a pochi metri da dove è avvenuto l’agguato.
Qui si chiama l’edicolante sotto casa ancora per nome, in una realtà che è ben distante da quella dei centri commerciali (che pure qui ve ne sono) e dei quartieri dormitorio dove non ci sono luoghi di aggregazione.
Non molto distante da dove Luca Sacchi (qui il suo profilo) è stato aggredito insieme alla sua fidanzata c’è uno slargo pedonale dove i genitori portano i propri figli, i quali si divertono giocando in libertà proprio come accadeva una volta.
A pochi passi da dove Luca Sacchi veniva ucciso come un pregiudicato, c’è, come detto, il parco della Caffarella, una delle principali aree verdi della Capitale. Qui, gli abitanti dell’Appio Latino portano a spasso i loro cani, fanno jogging o organizzano barbecue nelle diverse festività primaverili, mentre mucche e pecore pascolano come se il tempo si fosse fermato agli anni Cinquanta.
D’altronde qui siamo all’Appio Latino, mica al Bronx. Lo sa bene Virginia Raggi, sindaco fantasma di una città ormai in evidente stato di decomposizione, che in questi luoghi c’è nata e cresciuta prima di trasferirsi altrove.
Lo sa bene Francesco Totti, che in questo quartiere ha dato i suoi primi calci al pallone.
Lo shock dell’Appio Latino dopo l’omicidio di Luca Sacchi, ucciso mercoledì notte a Roma
L’Appio Latino non è il Bronx, ma questo non vuol dire che la criminalità non ci sia mai stata.
Negli anni Settanta, in via Acca Larenzia, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, due attivisti del Fronte della Gioventù, vennero assassinati davanti alla sede del Msi.
Alcuni esponenti della Banda della Magliana si riunivano all’Alberone, mentre estremisti di destra e ultras di calcio legati a doppio filo con ambienti della criminalità organizzata frequentano da sempre la zona.
Qualche anno fa, a via della Caffarelletta, esattamente a metà strada dove Luca Sacchi abitava e da dove poi è stato ucciso, Fabrizio Toffolo, uno dei capi degli Irriducibili, il gruppo ultras della Lazio, venne gambizzato.
Perché qui non siamo al Bronx ma certe cose accadono anche all’Appio Latino.
Regolamenti di conti ed episodi di criminalità che pensi non ti possano riguardare se non frequenti certi giri.
All’Appio Latino, sino a metà degli anni Novanta, la paura più grande era quella di ritrovarsi faccia a faccia con Jack Lametta, maniaco che negli anni Ottanta aggrediva le donne con un taglierino nel quartiere Tuscolano, e che si rifece vivo anni dopo a via Latina.
Una figura a metà tra cronaca e leggenda, che le mamme utilizzavano per mettere in guardia i propri figli a non transitare nelle zone adiacenti il parco della Caffarella, così frequentata di giorno e così maledettamente tetra e cupa all’imbrunire.
Ed è proprio nel parco della Caffarella che 10 anni fa l’Appio Latino scoprì per la prima volta nella storia recente la paura. Il 14 febbraio 2009, nel giorno di San Valentino, una coppia di ragazzini, 14 anni lei, 16 lui, venne aggredita nei pressi del parco. Lei venne violentata, lui picchiato e costretto ad assistere inerme alla scena.
I violentatori, due romeni, vennero successivamente arrestati e condannati, ma il quartiere non ha mai dimenticato quell’episodio di violenza.
“L’Appio Latino non è il bronx” dicono gli abitanti dell’Appio Latino dopo la morte di Luca Sacchi, ma intanto degrado e incuria aumentano
Una ferita che ora si riapre con l’assurdo omicidio di Luca Sacchi.
Un delitto feroce, cruento, di quelli a cui non riesci a dare una spiegazione. D’altronde “queste cose qui non succedono” continuano a ripeterti tutti gli abitanti del quartiere ancora sotto shock per quello che è accaduto.
“Aho mica stamo a San Basilio” esclama Mario, artigiano 84enne che all’Appio Latino c’è nato e vissuto quando qui c’erano le baracche di Borghetto Latino, proprio a pochi metri da dove Luca è stato ammazzato.
Ed effettivamente non siamo a San Basilio né al Bronx, eppure un ragazzo di appena 24 anni è stato ucciso a sangue freddo mentre passeggiava in strada con la sua fidanzata.
“Era un ragazzo solare, educato, sempre disponibile” continuano a ripetere tutti coloro che lo conoscevano in via Vittorio Fiorini, la via dove Luca viveva con i suoi genitori e il fratello.
Via Vittorio Fiorini non è molto distante dal luogo dove Luca è stato ucciso. Si tratta di una via privata a pochi passi dal parco della Caffarella, elegante e silenziosa.
La strada confina con una piazzetta, largo Gregorovius, dove sono presenti alcuni banchi che un tempo formavano un piccolo mercato rionale. Di cinque o sei banchi presenti, uno è stato demolito e tutti gli altri chiusi: solo un banco resiste ancora, ma chissà per quanto.
E quella piazzetta è proprio lo specchio di un quartiere che no, non sarà il Bronx, che ma sta lentamente scomparendo insieme alle sue attività storiche, che stanno chiudendo per lasciare spazio a suk e negozietti dal dubbio gusto.
Qui non siamo al Bronx, ma intanto il cinema Airone, sala cinematografica che si trova a pochi metri da dove viveva Luca e che vanta al suo interno le decorazioni del pittore Giuseppe Capogrossi, versa da anni in totale stato di abbandono, mentre un suo illustre “collega”, il cinema Maestoso di via Appia, ha chiuso i battenti da ormai più di un anno.
Ed è un paradosso che proprio qui, all’Appio Latino, dove Monicelli e Fellini giravano i loro film o dove potevi prendere un caffè con Franco Franchi, titolare di un bar in piazza Cesare Cantù, i cinema stiano chiudendo, mentre tanti altri luoghi culturali e di aggregazione muoiono giorno dopo giorno.
E forse proprio l’Appio Latino è lo specchio di una città, che ogni giorno che passa si scopre sempre più brutta, sporca e incazzata.
Perché qui non siamo al Bronx, ma non siamo nemmeno a New York se è per questo. Siamo a Roma, città ferita dal malaffare dei potenti e dalle prepotenze dei suoi abitanti, sempre più incattiviti e sgarbati e in fondo anche un po’ conniventi di quella Mafia Capitale che, aldilà delle inchieste giudiziarie, a Roma esiste e che, in qualche maniera, fa parte della vita quotidiana di tutti i romani.
“Non siamo mica al Bronx” continuano a ripeterti come un mantra all’Appio Latino forse per convincersi del fatto che questa zona è ancora un’oasi felice dove non può accadere che un ragazzo di 24 anni venga freddato davanti al pub sotto casa.
No, è vero, non siamo al Bronx, siamo a Roma, città dove un ragazzo è stato ucciso pochi mesi dopo la sparatoria, avvenuta in un altro quartiere della Capitale, che ha costretto il nuotatore Manuel Bortuzzo sulla sedia a rotelle.
Non siamo mica al Bronx, ma intanto la città ha paura e le persone, aldilà di quello che dicono i dati ufficiali sulla criminalità, percepiscono un senso di insicurezza sempre più crescente.
E non saranno né i poteri speciali da dare al sindaco di cui ciancia qualcuno, né tantomeno le promesse elettorali (“Il vento sta cambiando” ricordate?) di maggioranza e opposizione a salvare una città a un passo dal coma irreversibile.
Perché qui non siamo al Bronx, il Bronx è direttamente qui.