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Proiettili italiani sui civili in Myanmar nonostante l’embargo di armi: come ci sono arrivati?

Immagine di copertina
credit: Emanuele Fucecchi

Proiettili italiani sui civili in Myanmar nonostante l’embargo di armi

Un foro in un’ambulanza che trasportava feriti a Yangon, in Myanmar, e un bossolo calibro 12 che riporta chiaramente la scritta “Cheddite”, il nome di un’azienda italiana che produce inneschi, polveri e altro materiale di munizionamento. È ciò che resta di uno dei numerosi scontri che da settimane infiammano il Paese, dopo le proteste scoppiate per il colpo di stato militare del primo febbraio, che ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi. Dall’inizio delle proteste, la violenza della repressione è cresciuta in modo esponenziale: sono 543 i morti per mano dei militari del regime birmano. Lo riporta il quotidiano locale The Irrawaddy, ricordando che la violenta repressione dei civili continua nonostante la condanna della comunità internazionale. Il conteggio delle vittime è tenuto dalla Ong Assistance Association for Political Prisoners. Di queste 543 vittime, sono almeno 43 i bambini uccisi dalle forze armate.

Un dato allarmante che pone un grande interrogativo: come ha fatto quel bossolo ad arrivare lì? Come è finito nelle mani della polizia birmana? Il fatto risale a inizio marzo: i poliziotti hanno picchiato i soccorritori e sparato contro i vetri del veicolo. Poco dopo l’aggressione una persona ha sollevato il bossolo lasciato dall’arma da fuoco della polizia e l’ha mostrato a un fotografo. Sul bossolo si legge chiaramente la parola Cheddite, il nome di una nota azienda livornese che produce soprattutto armi e munizioni da caccia.

La scoperta che munizioni italiane sono state sparate in Myanmar contro i manifestanti, e addirittura contro un’ambulanza, fa emergere ancora una volta le falle nella nostra legislazione. Diverse organizzazioni della società civile italiana, tra cui Amnesty International Italia, Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (Opal), Italia-Birmania, Insieme e Rete Italiana Pace e Disarmo, hanno scritto all’azienda Cheddite Italy per chiedere chiarimenti, e hanno presentato interrogazioni parlamentari in merito.

Cosa dice la legge e cosa ha fatto Cheddite

Dal 1991 in Myanmar è in vigore un embargo sulla vendita di armi imposto dall’Unione Europea, che nel 2000 è stato esteso e reso ancora più severo. Da tre decenni il timore dei paesi europei è che le armi possano finire alle forze di sicurezza e ai militari, che in Myanmar hanno una lunga storia di ingerenza nella vita politica.

La Cheddite si è iscritta nel 2014 al registro del ministero della Difesa per le imprese esportatrici di armamenti, ai sensi della legge 185/90, ma non risulta alcuna menzione dell’azienda negli elenchi delle autorizzazioni rilasciate da Uama negli anni successivi. È pertanto probabile che queste esportazioni siano avvenute secondo le norme previste dalla legge 110/75, che regolamenta le esportazioni di armi e munizioni di tipo comune, sportivo o da caccia, o tramite joint ventures o aziende intermediarie.

Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) di Brescia, ha spiegato a TPI che l’ipotesi più probabile è che le munizioni italiane trovate in Myanmar – che a prima vista appartengono a un proiettile per fucili a pompa – siano arrivate attraverso la cosiddetta “triangolazione”, cioè passando da un paese in cui teoricamente l’Italia può esportare armi e munizioni.

Come riportato da Amnesty International: “Foto e video mostrano anche che la polizia ha accesso ad armi tradizionali meno letali, tra cui pistole al peperoncino e fucili caricati con proiettili di gomma prodotti dall’azienda turca Zsr Patlayici Sanayi A.S., che utilizza cartucce dell’azienda italo-francese Cheddite”.

La triangolazione

“I bossoli ritrovati in Myanmar – commenta Beretta – riportano l’anno di fabbricazione: il 2014. Da un’attenta analisi dei dati Istat sul commercio estero e del registro del commercio internazionale delle Nazioni Unite (Comtrade) emerge una interessante coincidenza: nel 2014 sono state spedite dalla provincia di Livorno, dove ha sede la Cheddite, “armi e munizioni” alla Turchia per un valore di 363.961 euro. E nello stesso anno dal registro Comtrade risulta che sono state inviate dalla Turchia a Myanmar 46mila munizioni del valore di 223.528 dollari. E quindi possibile, stando ai dati, che una parte delle cartucce prodotte da una azienda di Livorno inviate in Turchia sia stata poi esportata da un’azienda turca a Myanmar”.

L’unica citazione dell’azienda presente nelle Relazioni annuali al Parlamento sull’export militare (previste dalla Legge 185/90) si trova in quella relativa all’anno 2014 (pubblicata il 30 marzo del 2015) e che riporta l’iscrizione della Cheddite srl nel Registro delle imprese autorizzate all’esportazione (ottobre 2014). Non risulta però poi alcuna richiesta di licenza da parte dell’azienda negli anni successivi, il che significa che tutte le esportazioni sono state effettuate con le procedure previste da altre norme (relative all’export di armi e munizioni “comuni”, non di tipo militare) sicuramente meno trasparenti e con più possibilità anche di aggiramento successivo da parte dei destinatari, come sembra dimostrare la “triangolazione” verificatasi in questo caso.

Le organizzazioni italiane hanno chiesto quindi all’azienda Cheddite informazioni riguardo al lotto con codice “produzione 1 luglio 2014 – Lotto 1410?807”, ricostruito grazie alle immagini dei bossoli sparati dalla polizia, chiedendo se gli accordi di licenza di esportazione con l’azienda turca Zsr Patlayici Sanayi consentono in qualche modo l’esportazione di munizioni riportanti il marchio Cheddite in Myanmar e se tutto ciò avvenga con il consenso dell’azienda stessa.

La falla

“Le nostre autorità dovrebbero indagare su come munizioni italiane, prodotte da una ditta italiana siano finite nelle mani delle forze di polizia in Myanmar. Dal momento che questa munizione ha un nome, che si chiama “Cheddite”, bisognerebbe indagare anche presso la “Cheddite”. Non è impossibile ipotizzare che munizioni esportate a uso comune, sportivo da caccia, dall’Italia alla Turchia, non ai sensi della legge militare, ma ai sensi delle legge 110/75,  siano state poi completate ed esportate in Myanmar aventi la parte del bossolo col marchio Cheddite. Questo ci fa dire che c’è una falla nella legislazione dell’export di armi e munizioni. La falla è la seguente: mentre la legge 185 del 1990 chiede sempre di sapere qual è il destinatario finale di ogni tipo di arma esportata, la 110/75 questo non lo richiede. Così è molto più semplice esportare armi o munizioni senza dover verificare il destinatario finale o incorrere in sanzioni. È la legge che permette questo.

La risposta di Cheddite

L’azienda, contattata da TPI, non ha voluto rispondere alle nostre domande rispetto al fatto che un bossolo recante il loro nome si stato rinvenuto nel teatro degli scontri in Myanmar. Alla domanda: “Potete chiarire come mai questa munizione con il vostro marchio sia stata ritrovata a Yangon? Dall’azienda hanno replicato “Nulla da dichiarare o da chiarire”.

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