Saviano a processo per diffamazione a Salvini: “Fiero di difendermi dall’orrore di questa politica populista”
“Matteo Salvini, il ministro della malavita”: inizierà il 1 febbraio il processo per diffamazione che vede come imputato Roberto Saviano per alcuni post contro l’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti.
I messaggi social risalgono al giugno 2018, verranno analizzati dai giudici del Tribunale monocratico di Roma, che stabiliranno se siano “lesivi della reputazione” del leader leghista. “Mercoledì sarò in Tribunale, a Roma – scrive il giornalista e scrittore – portato a processo per un reato d’opinione da Matteo Salvini. Salvini mi porta a processo per averlo definito Ministro della Mala Vita”.
Saviano ha detto su Twitter di essere “fiero” di difendersi “dall’orrore di questa politica populista”, e ha poi spiegato il perché di quelle parola: “Piacerebbe, a Salvini, poter dire: ‘Querelo Saviano che mi ha definito malavitoso’, ma la questione è un tantino più complessa. Gaetano Salvemini definì Giovanni Giolitti ‘Ministro della Mala Vita’ perché utilizzava il sud Italia come bacino di voti dimenticandolo una volta vinte le elezioni e soprattutto perché sottovalutava e ignorava i problemi più gravi e atavici da cui il Sud era (ed è) afflitto”.
“Matteo Salvini a Napoli, nel 2019 – prosegue – durante la sua prima conferenza stampa in città da Ministro degli Interni, disse che i problemi di Napoli erano i troppi motorini sequestrati e tenuti nei depositi comunali e gli immigrati. Praticamente un marziano in città”.
Il giornalista ricorda un altro episodio che ha visto protagonista il leader leghista nel sud Italia: “A Rosarno, nel 2018, tenne un comizio davanti ad affiliati di ‘ndrangheta, persone della cosca Bellocco e imparentate con i Pesce. Sapete cosa fece Salvini con queste persone nelle prime file? Disse che il problema di Rosarno era la baraccopoli, mica la presenza capillare della ‘ndrangheta sul territorio… E la soluzione? Ruspe, mica alloggi dignitosi per chi lavora da schiavo, vittima di caporali italiani legati alle cosche. Qualcuno teme i professionisti dell’antimafia, peggio sono gli incompetenti in ruoli apicali”.