Al via lo storico processo sull’omicidio Regeni: le tappe, i nomi e i fatti
I genitori di Giulio non hanno mai perso la speranza, la tenacia e la forza e ora si apprestano ad affrontare una data storica, la prima di un nuovo inizio: domani, giovedì 29 aprile, si terrà a Roma l’udienza preliminare per il processo sulla sparizione e l’omicidio di Giulio Regeni.
Sono quattro gli 007 egiziani per cui è stato chiesto il processo: si tratta di Tariq Sabir, e di Athar Kamel Mohamed Ibrahim, Uhsam Helmi, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, gli ufficiali iscritti nel registro degli indagati dal pm Sergio Colaiocco il 4 dicembre del 2018. La prima questione da affrontare davanti al giudice dell’udienza preliminare sarà l’assenza dell’elezione di domicilio per gli imputati. Il gup dovrà, infatti, affrontare questo tema oggetto di rogatoria della procura di Roma firmata dal procuratore Michele Prestipino e dal pm Sergio Colaiocco nell’aprile del 2019 e più volte sollecitata nel corso degli incontri con le autorità egiziane.
In questi cinque anni di indagini e depistaggi, sono tanti i nomi che sono stati affiancati a Giulio e ai generali che sono stati coinvolti nella sua morte. Il procuratore Michele Prestipino e il sostituto Sergio Colaiocco stanno effettuando accertamento su altri cinque uomini appartenenti agli 007 egiziani. Si tratta di cinque colleghi degli ufficiali già iscritti nel registro degli indagati.
Ricostruendo la catena di depistaggi e inganni ai danni del ricercatore di Fiumicello, ci sarebbero ad esempio da verificare le persone coinvolte nella finta rapina: risultano coinvolti almeno 8 appartenenti alle forze dell’ordine ancora da individuare.
I nomi
1. Tariq Sabir, nato il Egitto nel 1963, generale della Polizia presso il Dipartimento di Sicurezza Nazionale.
2. Athar Kamel Mohamed Ibrahim, classe 1968, attualmente direttore di Ispezione presso la Direzione della Sicurezza di Wadi al-Jadid, già capo delle Investigazioni Giudiziarie del Cairo.
3. Uhsam Helmi, Colonnello, classe 1968, attualmente in servizio presso la Direzione Passaporti e Immigrazione, già in forza presso la direzione sicurezza Nazionale.
4. Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, il più giovane di tutti, classe 1984, Maggiore in servizio presso la Sicurezza Nazionale.
Il carceriere di Giulio Regeni sarebbe proprio Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato lui a torturare il giovane ricercatore italiano. A inchiodarlo, le testimonianze di 5 testimoni oculari. In particolare, uno di loro avrebbe raccontato di aver visto Giulio Regeni, nei 9 giorni della prigionia, legato alla sedia della National Security, legato e con addosso i segni delle torture subite.
Domani il giudice dovrà vagliare la richiesta di processo arrivata il 20 gennaio scorso dopo la chiusura delle indagini, firmata dal procuratore capo di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Sergio Colaiocco.
Nei confronti del generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, viene ipotizzato il reato di sequestro di persona pluriaggravato. Al quarto ufficiale, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, la procura romana contesta anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
La reticenza egiziana
La Procura egiziana, che non ha mai collaborato con quella egiziana se non con atti minimi e lenti, non condivide la posizione dei giudici capitolini. In una nota diramata qualche mese fa, il procuratore egiziano al-Sawy ha dichiarato in una nota che la pubblica accusa del Cairo non ha intenzione di “perseguire un procedimento penale per l’omicidio, il rapimento e la tortura di Giulio Regeni perché l’autore è sconosciuto”. Gli investigatori continueranno comunque a cercare l’identità dell’assassino, ma il pubblico ministero egiziano ha respinto le accuse mosse contro quattro funzionari e un poliziotto dell’agenzia di sicurezza nazionale.
La vicenda di Giulio Regeni è tutt’altro che conclusa e la testimonianza di tre nuovi testi avvalorerebbe le colpe dei 4 indagati. Stralci delle testimonianze sono presenti nel documentario “Buried Facts”, prodotto da Al Araby tv e andato in onda sulle reti arabe e in Inghilterra.
Le testimonianze
Gli 007 egiziani sapevano della morte di Giulio Regeni già dalla mattina del 2 febbraio 2016, un giorno prima che il suo corpo venisse ritrovato nudo e mutilato in un fosso alla periferia del Cairo lungo la strada per Alessandria, e per deviare l’attenzione decisero di inscenare una rapina finita male.
È quanto emerge da una delle tre nuove testimonianze acquisite agli atti dai magistrati di Roma che indagano sul sequestro e omicidio del ricercatore di Fiumicello ucciso cinque anni fa in Egitto. A parlare è un amico del sindacalista Said Mohamed Abdallah, il rappresentante del sindacato indipendente dei venditori ambulanti che aveva denunciato Regeni ai servizi. Il sindacalista “era spaventato -ha detto l’uomo agli inquirenti- perché aveva saputo da un ufficiale di polizia che Regeni era morto e che avrebbero messo in scena una finta rapina come motivo dell’omicidio”.
L’ufficiale in questione è il colonnello Usham Helmi, uno dei quattro appartenenti alla sicurezza nazionale egiziana per i quali la Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio considerandoli gli autori del sequestro, delle torture e dell’omicidio di Giulio Regeni.