Processo Mafia Capitale, la sentenza della Cassazione: “Mondo di mezzo non è mafia”
La Suprema Corte era chiamata a pronunciarsi sul 416bis, il reato di associazione mafiosa
Processo Mafia Capitale, la sentenza della Cassazione: “Mondo di mezzo non è mafia”
Oggi, martedì 22 ottobre 2019, è arrivata la sentenza della Cassazione sul processo di Mafia Capitale, che ha dichiarato esclusa l’associazione mafiosa nel processo “mondo di mezzo”, ribattezzato Mafia capitale. La sentenza d’appello aveva invece riconosciuto l’articolo 416 bis. Cadono anche molte delle accuse contestate a Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.
La decisione dei giudici della VI sezione penale, presieduta da Giorgio Fidelbo, è arrivata dopo tre giorni di udienze, che si sono svolte da mercoledì 16 a venerdì 18, giorno in cui era inizialmente prevista la sentenza. La decisione della Cassazione, infatti, era slittata per decisione della Suprema Corte. “Siamo abbastanza stanchi e provati – aveva ammesso Fidelbo – ora abbiamo bisogno di rileggere le carte, pensare e ricordare quanto è stato esposto in udienza”.
Il pronunciamento della Cassazione ruotava soprattutto sul 416bis, il reato di associazione mafiosa (leggi qui cosa prevede), caduto in primo grado, ma riconosciuto in appello. I giudici, quindi, erano chiamati a stabilire se davvero si trattò di “Mafia Capitale”.
Mafia Capitale: come si è arrivati alla sentenza della Cassazione
Tutto ha avuto inizio nel 2014 con l’inchiesta, denominata dagli inquirenti Mondo di mezzo, che, il 3 dicembre del 2014, portarono all’arresto di 37 persone, tra cui figuravano l’ex membro dei Nar Massimo Carminati, il criminale Salvatore Buzzi, l’ex capo di gabinetto del comune di Roma Luca Odevaine, l’ex amministratore di Ama Franco Panzironi e l’ex amministratore delegato di Eur spa Riccardo Mancini (morto nel giugno 2018 dopo che la sua posizione era stata archiviata).
Una seconda ondata di arresti, poi, si è verificata il 4 giugno del 2015: questa volta furono 44 le persone a finire in manette, tra cui molti esponenti politici locali.
Secondo l’inchiesta della Procura, allora guidata da Giuseppe Pignatone, tra le persone arrestate vi sarebbe stato un sodalizio criminale. Una vera e propria associazione di stampo mafioso capace di mettere le mani, con la complicità di politici e funzionari, sugli appalti pubblici: dai centri di accoglienza per i migranti ai campi nomadi, dal verde sino al business rifiuti.
Il processo di primo grado
Il processo di primo grado prende il via il 5 novembre del 2015 nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, e termina circa due anni dopo, il 20 luglio del 2017.
Il dibattimento termina con 41 condanne e cinque assoluzioni per un totale di poco meno di 300 anni di carcere complessivi a fronte dei 500 richiesti dalla Procura. Tra coloro che vengono condannati per reati che vanno dalla corruzione all’estorsione, sino all’usura e al riciclaggio di denaro, figurano Massimo Carminati, a cui vengono dati 20 anni di reclusione, Salvatore Buzzi, la cui pena detentiva è di 19 anni, Luca Gramazio, condannato a 11 anni e Franco Panzironi, punito con 10 anni di carcere.
Tuttavia, nel processo di primo grado cade l’accusa più importante, ovvero quella di associazione mafiosa. Massimo Carminati, così, dopo la sentenza viene tolto dal regime di carcere duro, il 41bis, riservato ai detenuti mafiosi e al quale era sottoposto dal dicembre del 2014.
Mafia Capitale: la sentenza d’appello
L’11 settembre del 2018 la sentenza di primo grado viene ribaltata. Rispetto al primo grado, infatti, le pene per i due maggiori imputati vengono ridotte: 5 anni e 5 mesi in meno per Carminati e 6 mesi in meno per Buzzi, i quali, dunque, vengono condannati rispettivamente a 14 anni e 6 mesi e a 18 anni e 4 mesi.
La Corte d’Appello, però, stabilisce la sussistenza del “metodo mafioso”, riconoscendo, dunque, il 416 bis e ribaltando così la sentenza di primo grado.
Nel processo d’appello vengono ridotte anche le pene a Luca Gramazio, condannato a 8 anni e 8 mesi, e a Franco Panzironi, la cui pena detentiva scende a 8 anni e 4 mesi.