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Abusava di un bambino di 12 anni sapendo di essere positivo all’Hiv: prete di Genova ai domiciliari

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Andrea Melis, sacerdote finito agli arresti domiciliari a Genova con l’accusa di violenza sessuale su minori, è positivo all’Hiv, il virus che può provocare l’Aids. Lo ha reso noto la giudice per le indagini preliminari Milena Catalano, sottolineando la “pericolosità sociale” del prete, che avrebbe avuto rapporti non protetti con la sua vittima pur sapendo di essere sieropositivo.

Secondo il quotidiano genovese Il Secolo XIX, lo stesso don Melis ha ammesso la sieropositività durante la perquisizione domiciliare della sua stanza all’interno della struttura ecclesiastica di via San Bartolomeo degli Armeni. Il prete ha riferito di aver aver contratto l’Hiv più di dieci anni fa in Africa.

Gli inquirenti hanno disposto accertamenti sanitari sul giovane di 16 anni che per più di tre anni ha subito abusi sessuali non protetti dal sacerdote. Il giovane per ora è risultato negativo alla profilassi, ma questa condizione può cambiare da un momento all’altro. Qualora dovesse risultare dovesse risultare positivo all’Hiv, don Melis rischierebbe di essere accusato anche di lesioni dolose gravissime.

Al momento sul sacerdote pendono le accuse di abuso sessuale su minori, prostituzione minorile e tentata violenza sessuale. Oggi, mercoledì 7 agosto, è in programma l’interrogatorio di convalida degli arresti domiciliari, ma gli avvocati di Melis, Raffaele Caruso e Graziella Delfino, hanno fatto sapere in anticipo che il loro assistito non risponderà alle domande del gip, avvalendosi della facoltà di non rispondere.

Il presunto abuso sessuale risale a quattro anni fa, quando la vittima – all’epoca 12enne – frequentava come chierichetto la chiesa di Sant’Antonio da Padova a Finale Ligure in provincia di Savona, dove don Melis era parroco. Il prete avrebbe fatto costosi regali al giovane – in alcuni casi anche 200 euro in contanti o tute firmate – in cambio di rapporti sessuali.

I famigliari del ragazzo, intuendo qualcosa di sospetto, avrebbero intimato al bambino di interrompere la frequentazione, ma gli incontri sono proseguiti clandestinamente per anni nell’appartamento messo a disposizione del sacerdote dalla scuola di cui era direttore e insegnante, la elementare Assarotti di Genova.

Per la Procura, il prete avrebbe avvicinato nel corso degli anni anche altri due giovani, che tuttavia avrebbero respinto le sue avance.

“Nel rimarcare la drammaticità della vicenda e la piena consapevolezza di tutti gli aspetti che la caratterizzano – scrivono i legali in una nota – riteniamo sia necessario offrire alcune precisazioni. Il primo chiarimento: padre Melis vive con infezione da Hiv ma la sua situazione è in cura da 12 anni presso l’ospedale San Martino e da oltre 10 anni la terapia che sta seguendo ha dato esiti positivi, poiché i controlli che periodicamente esegue confermano la non rilevabilità del virus che quindi è totalmente sotto controllo e, per l’appunto, irrilevante. Quando il virus non è rilevabile non è nemmeno trasmissibile”.

“Il secondo dato – proseguono gli avvocati del prete – è quello dell’ultra sensibilità di questa informazione: su questi dati dovrebbe stendersi in maniera totale il velo della privacy per evitare che un dato di paura istintiva, che spesso è dovuta all’insufficienza delle informazioni scientifiche, non provochi uno stigma sulle persone. Il pensiero va ancora una volta alla persona offesa che si trova sulle spalle anche la diffusione di un’informazione di questo tipo che aggiunge il rischio di un peso ulteriore al dolore che la vicenda reca con sé”.

“Padre Melis – sottolineano i legali – non aveva comunicato questa notizia a nessuno, né al suo ordine, né alla sua famiglia. Nessuno conosceva questo dato, ma questo silenzio ha una sua legittimità che nasce anche dalle conquiste della scienza. Nonostante il silenzio serbato rispetto ai fatti, padre Melis ha invece comunicato agli inquirenti questa informazione (peraltro acquisita anche attraverso una serie di documenti medici), perché fosse gestita al meglio nell’interesse della persona offesa. Ci troviamo di fronte ad un fatto drammatico in cui non c’era bisogno di questo elemento di narrazione: gli elementi di gravità sono già pesantissimi e forse questa diffusione poteva essere risparmiata all’indagato e ancor più alla persona offesa”.

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