Porti chiusi e navi bloccate in mare: tutti gli episodi dall’inizio della “guerra” alle Ong
Porti chiusi episodi ong | Il 20 giugno è la Giornata mondiale del rifugiato, promossa con la Risoluzione 55/76 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per prevenire e risolvere i conflitti e contribuire alla pace e alla sicurezza di queste vite provate. Il documento è stato approvato il 4 dicembre 2000 in occasione del 50° anniversario della Convenzione del 1951 relativa allo status dei rifugiati e da allora in tutto il mondo la data è celebrata con eventi di sensibilizzazione di ogni tipo.
In tutto nel mondo i rifugiati sono quasi 60 milioni, quanto l’intera popolazione italiana.
Le persone in fuga da guerre, persecuzioni e carestie che tentano la traversata del Mediterraneo – spesso già provate da prolungati periodi di detenzione nelle carceri libiche, uno dei paesi con il maggior numero di partenze –, sono sempre più esposte al rischio di morte a causa della progressiva scomparsa di entità – internazionali, governative e non governative – dedite al soccorso in mare.
In coincidenza di questo anniversario, Amnesty International Italia ha evidenziato come più volte sono state ignorate le richieste lanciate dalle organizzazioni della società civile di riformare strutturalmente le politiche migratorie europee e garantire l’apertura di canali sicuri e regolari per rifugiati e migranti, in misura adeguata alla gravità della situazione.
Con l’insediamento del governo giallo-verde, seguendo il tracciato segnato dai provvedimenti dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti con il codice di condotta per le Ong e gli accordi con la Libia, la situazione nel Mediterraneo è drammaticamente peggiorata.
Porti chiusi episodi ong | Sea Watch, la testimonianza: “Tornare in Libia? Meglio morire”
Stando ai dati diffusi dall’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), nei primi cinque mesi del 2019 sono 543 le persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, di queste 343 solo nel Mediterraneo centrale.
Amnesty ha raccolto tutti gli episodi in cui l’intervento di Ong, ma anche di navi militari italiane e imbarcazioni private, si è scontrato con le politiche del governo italiano, lasciando in balia del mare – per giorni e giorni – persone innocenti e in fuga da fame e guerre in cerca di un luogo sicuro.
Il 12 giugno la Sea Watch ha recuperato 53 persone a largo della Libia. Il Viminale ha inviato una diffida ufficiale all’Ong tedesca, come prevede il nuovo decreto sicurezza bis, a entrare in acque italiane. La Sea Watch ha deciso non non rispettarla e di dirigersi comunque verso Lampedusa.
Il 15 giugno sono stati fatti scendere dalla nave donne, bambini e uomini in gravi condizioni di salute, ma il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha sottolineato che il resto delle persone può restare a bordo “fino a Capodanno”.
Da otto giorni ormai il resto dei migranti a bordo della nave non possono attraccare, per il perdurare del braccio di ferro con il governo italiano.
Dopo ore di appelli lanciati dalle ong, il 30 maggio la nave “Cigala Fulgosi” della Marina militare italiana ha concluso le operazioni di soccorso dei circa cento migranti a bordo di un gommone in difficoltà al largo della Libia. L’intervento è stato deciso perché le condizioni meteo erano in peggioramento: l’imbarcazione era senza motore e in precarie condizioni di galleggiamento. Il gommone, che versava in condizioni critiche, si era sgonfiato imbarcando acqua. I migranti sono stati fatti sbarcare il 2 giugno a Genova, uno dei porti più lontani dal punto di salvataggio.
La nave “Alan Kurdi“, operata dall’organizzazione umanitaria tedesca Sea Watch, è rimasta bloccata in mezzo al mar Mediterraneo con a bordo 64 migranti in precarie condizioni, dopo che sia l’Italia che Malta le avevano negato il permesso di sbarco nei loro porti. Alla fine, dopo 10 giorni, i 64 migranti della nave Alan Kurdi sono stati fatti sbarcare a Malta nel tardo pomeriggio di sabato 13 aprile con delle motovedette militari, dopo essere stati prelevati al largo poiché la nave gestita dell’ong Sea Eye non ha potuto attraccare a La Valletta.
Il 18 marzo 2019 la nave umanitaria Mare Jonio battente bandiera italiana ha soccorso un gommone in avaria con 49 persone a bordo. Il 19 marzo i migranti sono scesi dalla nave tra qualche applauso della gente accorsa nel molo di Lampedusa.
La nave aveva ricevuto il divieto di avvicinarsi alle coste italiane da parte della guardia di finanza, ma il capitano Pietro Marrone ha forzato l’ingresso nelle acque italiane. Alla radio ha risposto: “Abbiamo persone da mettere in sicurezza, non fermiamo i motori”. La nave è stata ancorata per molte ore in fonda a pochi metri dalla Cala dei francesi, a Lampedusa. Poi intorno alle 19.30 è entrata nel porto commerciale dell’isola siciliana. La nave è stata messa sotto sequestro.
Il 25 gennaio 2019 nave Sea Watch 3, con 47 migranti a bordo, dopo una settimana ( i migranti erano stati soccorsi il 19 gennaio) ha ottenuto l’autorizzazione a gettare l’ancora ad un miglio e mezzo dal porto di Augusta, a causa delle cattive condizioni meteo. Il 31 gennaio, dopo 13 giorni, si è concluso a Catania lo sbarco dei 47 migranti soccorsi.
Lo scorso 9 gennaio la stessa nave ha vagato per 19 giorni con 49 migranti a bordo (recuperati in varie operazioni di salvataggio) prima di ottenere l’autorizzazione allo sbarco a Malta.
L’ong spagnola Proactiva Open Arms ha soccorso circa 300 persone al largo della Libia, che sono state sbarcate in Spagna. La decisione del governo spagnolo è arrivata dopo che Malta e Italia avevano fatto sapere che non intendevano accogliere la nave e le persone a bordo nei propri porti. La nave dell’Ong Proactiva, Open Arms ha attraccato al molo di Crinavis nella baia di Algeciras il 28 dicembre, dopo aver trascorso 8 giorni in mare.
A settembre, la linea dura del governo ha costretto la nave Aquarius dell’ong Sos Mediterranee a vagare per nove giorni senza un porto dove approdare. Fino alla mossa a sorpresa del neopremier socialista spagnolo Pedro Sanchez che ha annunciato la volontà di accogliere la nave con 629 migranti a bordo. Prima della comunicazione di Madrid, il pressing di Onu e Ue sui due litiganti, Italia e Malta, per far prevalere le ragioni umanitarie non aveva dato esito positivo.
Ci sono voluti 22 giorni prima che l’odissea dei 40 migranti (tra cui due donne incinte) a bordo della Sarost 5, bloccata al largo delle coste tunisine, si chiudesse: la nave ha attraccato al porto di Zarzis. Ad accogliere i migranti, il personale della Mezzaluna Rossa, dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni e dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Lo sbarco, rifiutato da Malta e Italia e inizialmente anche dalla Tunisia, è stato poi autorizzato proprio dal governo di Tunisi per ragioni umanitarie.
Il mercantile Asso Ventotto, battente bandiera italiana e della flotta “Augusta Offshore” di Napoli del gruppo armatoriale CA.FI.MA. che fa capo alla famiglia Cafiero-Mattioli, dopo aver raccolto da un gommone nel Mediterraneo centrale 101 migranti ha fatto rotta verso le coste di Tripoli e sotto il coordinamento della Guardia costiera libica li ha riportati nel Paese africano.
Il 17 luglio 2018, un’imbarcazione era andata a fondo con circa 150 persone a bordo, dinanzi alle coste libiche, un naufragio del quale Open Arms aveva attribuito la responsabilità al mercantile con bandiera panamense Triades, che lo avrebbe abbandonato prima dell’arrivo dei soccorsi. Il 19 luglio la Open Arms soccorreva Josefa, la donna camerunense raccolta in mare aperto mentre andava alla deriva aggrappata ai resti della sua piccola barca; insieme a lei, in mezzo al mare, sulla tavola di legno, c’era il corpo senza vita di un bambino, tra i 3 e i 5 anni, e di una donna anche lei morta, tra i 20 e i 30 anni.
A metà giugno la nave della Ong tedesca Lifeline, con 230 migranti salvati a bordo, è stata lasciata in mare aperto per quasi una settimana dopo che l’Italia si è rifiutata di farla entrare in un suo porto. Alla fine, il 27 giugno è approdata a Malta, dopo che nove Paesi dell’Ue (oltre a Malta, Italia, Francia, Irlanda, Portogallo, Belgio, Olanda e Lussemburgo) hanno accettato, di accogliere ciascuno una quota dei migranti a bordo.
Domenica 10 giugno il ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, non ha concesso l’autorizzazione alla nave Aquarius della flotta della Ong Medici Senza Frontiere di fare ingresso in un porto italiano.
Le 629 persone a bordo dell’Aquarius erano state soccorse nella notte tra sabato e domenica, in sei diverse operazioni di salvataggio e trasferimento nell’arco di 9 ore, tutte sotto il coordinamento della Guardia Costiera Italiana (MRCC).
L’MRCC italiano ha coordinato queste azioni dal principio e ha assunto la responsabilità del soccorso di tutte queste persone.
Ma dopo aver trasferito le persone soccorse dalle navi delle autorità italiane sull’Aquarius, l’Italia he negato un porto sicuro alle persone soccorse e ha chiesto a Malta di occuparsi del soccorso.
La Aquarius, prima rifiutata dall’Italia e poi da Malta, nella tarda mattinata di lunedì 11 giugno, è rimasta diverse ore a metà strada fra in due paesi.
Nel pomeriggio di lunedì il governo della Spagna si è offerto di accogliere la nave e i migranti nel porto di Valencia.
La questione forse più delicata, fino al rischio dello scontro istituzionale, ha riguardato la nave Diciotti della Guardia Costiera italiana con a bordo 177 migranti, soccorsi il 9 luglio dal mercantile Vos Thalassa.
La Guardia costiera era intervenuta perché il comandante del mercantile aveva segnalato una situazione di “grave pericolo” per l’equipaggio, tutto composto da italiani, minacciato da alcuni migranti soccorsi all’arrivo in zona di una motovedetta libica che li avrebbe riportati sulle coste africane. La nave, entrata nel porto di Trapani nel pomeriggio del 12 luglio è rimasta per ore ferma senza far scendere nessuno.
Ed è stato alla fine l’intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sbloccare la situazione contattando direttamente il premier Giuseppe Conte, che ha dato l’ok allo sbarco.
Mai si era vista una vicenda del genere. Una nave militare italiana bloccata in un porto italiano. Di qui la telefonata al presidente del Consiglio. Con il ministro che ha dovuto cedere, non mancando di far sapere il suo “stupore” per l’intervento del Quirinale.
Il 15 marzo del 2018 la nave da soccorso della Ong Proactiva Open Arms soccorre in acque internazionali tra la Libia e l’Italia due gommoni su cui viaggiano ammassate 218 persone.
Il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma (IMRCC) è stato avvertito della presenza di alcuni gommoni in difficoltà a una settantina di chilometri dalla costa libica. A quel punto l’IMRCC ha avvisato tutti i centri di soccorso potenzialmente interessati nella zona.
Alla chiamata hanno risposto il centro di Tripoli – che fa capo al governo di unità nazionale della Libia, che controlla solo una porzione del territorio libico ma che è l’unico interlocutore considerato legittimo dalla comunità internazionale – e la nave di Open Arms, che è arrivata sul posto per prima e ha soccorso i migranti a bordo dei due gommoni.
A quel punto però la Guardia costiera italiana ha fatto sapere a Open Arms che le operazioni di soccorso sarebbero state gestite dalle autorità libiche, e ha raccomandato di consegnare i migranti soccorsi a una nave libica poco distante. Open Arms si è rifiutata di farlo, sostenendo che gli agenti libici sono noti per compiere abusi sistematici sui migranti. La nave della ong è stata quindi avvicinata dalla Guardia costiera libica che ha iniziato a comportarsi in maniera molto aggressiva, minacciando con le armi il personale a bordo.
Dopo due ore di tensioni, gli agenti libici si sono ritirati e la nave di Open Arms ha potuto lasciare le coste libiche per dirigersi verso quelle europee.
La situazione si è risolta venerdì 16 marzo quando il governo italiano ha consentito alla nave di sbarcare a Pozzallo, in provincia di Ragusa: lo sbarco è avvenuto infine sabato 17 marzo, in mattinata.
Porti chiusi episodi ong | Amnesty International Italia ha anche attivato la campagna IWelcome per chiedere alla comunità internazionale di intraprendere azioni concrete per sostenere la protezione dei rifugiati, attivare canali sicuri e opportunità di mobilità e creare un’alternativa alle pericolose traversate irregolari.