Dal ponte Morandi alla tragedia del Mottarone: l’Italia che si spezza per il “dio Denaro”
Evitare il blocco dell’impianto che avrebbe comportato la rinuncia a cospicui incassi (140.000 euro solo in questo mese): è questa l’incredibile motivazione alla base della decisione di inserire entrambi i forchettoni sui freni d’emergenza della funivia Stresa Mottarone e che ha impedito alla cabina di frenare la fatale domenica in cui il cavo trainante si è rotto, determinando la morte 14 persone e il ferimento di un bambino di 5 anni che si trova ancora ricoverato in ospedale.
Quella del Mottarone è solo la più recente di una lunga serie di tragedie verificatesi in Italia negli ultimi anni. Un bollettino terrificante in cui figurano – tra gli episodi più scioccanti – il crollo del ponte Morandi (il 14 agosto 2018), il deragliamento di un treno a Pioltello ( il 25 gennaio 2015), il crollo di un ponte all’altezza di Camerano (tra Loreto e Ancona Sud), durante i lavori per la costruzione della terza corsia (il 9 marzo 2017), lo scontro tra treni a Corato, in Puglia (il 12 luglio 2016). E ancora: la tragedia di Rigopiano, con le responsabilità ancora da accertare sulla costruzione di parte dell’edificio in una zona a rischio (il 18 gennaio 2017) e quella nella discoteca di Corinaldo, in cui morirono 5 ragazzi e una donna (l’8 dicembre 2018).
Fato? Casualità? Accidenti? Perché in Italia la lista non fa che allungarsi e cosa unisce tutti questi eventi? Cosa resta dopo il conto dei morti e le dichiarazioni di politici e istituzioni? Cosa ha spinto i gestori della funivia a preferire il rischio al fermo dell’impianto per le dovute azioni di manutenzione?
“Il fattore umano prevale quasi sempre su tutto: è un aspetto che in generale ho dovuto sempre rilevare purtroppo nelle attività di ingegneria forense di cui mi sono occupato tra cui il ponte Morandi”. A parlare a TPI è Gianpaolo Rosati, ordinario di Tecnica delle Costruzioni al Politecnico di Milano, in passato consulente della Procura di Genova nell’indagine sul crollo del Ponte Morandi.
“È sempre il denaro a decidere, è lì che cambia l’atteggiamento delle persone. Non dobbiamo dimenticare – prosegue Rosati – che se lo Stato abbandona i cittadini abbandonando i controlli, non c’è più regola. È la catena del controllo che non deve spezzarsi”.
Ma possibile che succeda sempre tutto in Italia? Secondo l’esperto del politecnico di Milano, no: eventi simili accadono anche all’estero. “Due anni fa c’è stato un crollo di un ponte in costruzione in Bolivia dove hanno perso la vita gli operai, si trattava di un ponte modernissimo. In Canada un sovrappasso che era evidentemente non manutenuto è crollato, in Germania c’è stato un crollo di una copertura a Berlino sotto il proprio peso, dopo 10 dall’inaugurazione, è un crollo di un ponte in Inghilterra. Va però detto che ora in effetti in Italia di questi episodi il conteggio sia troppo elevato”.
E allora perché da noi così di frequente? La prima riflessione che fa il professor Rosati è di carattere tecnico: “Ci sono aspetti da valutare come l’età delle strutture e la manutenzione appunto. Non si può completamente paragonare un impianto a fune con un ponte, certo sono sempre infrastrutture della mobilità, hanno delle parti in comune perché come strutture inserite nell’ambiente reagiscono alle sollecitazioni ambientali, all’uso delle persone e dei mezzi, e quindi hanno tanto in comune. Ma in un sistema di funi, in cui ci sono aspetti di movimenti di carattere meccanico conta l’apparato di conoscenze che non sono “tarde” come quelle che si usano per i ponti. Nel ponte alcuni concetti sono stati introdotti purtroppo solo negli ultimi 20 anni. E solo negli ultimi 20 anni si è forzato sulla manutenzione. Nel campo delle macchine il concetto delle manutenzione era fissato già da 50-60 anni, per le automobili per esempio”.
“Detto questo, noi italiani però abbiamo un ampio parco di infrastrutture che sono datate, sono a fine vita. Fine vita che viene raggiunto anche in modo ottimale per alcune infrastrutture, per impianti che spesso vengono correttamente manutenuti. Però la vecchiaia non è solo di manutenzione, ma anche della concezione progettuale dell’oggetto e questo significa necessità di sostituire l’oggetto, demolirlo e rifarlo completamente. È questa la delicata scelta che ha un pesante risvolto economico”.
In Italia qual è lo stato delle cose, dobbiamo preoccuparsi specie in questa fase di crisi economica? “Sono stati fatti degli studi, non ho un quadro preciso ma potremmo avere anche il 50% di strutture che comunque vanno riviste, alcune delle quali vanno anche pesantemente rifatte. Gli studi ci sono, non è un problema tecnico, abbiamo tutte le conoscenze necessarie, è sempre un problema deontologico”, prosegue Rosati. E qui arriviamo al nocciolo della questione.
“La problematica è di carattere etico, deontologico e morale. Esaminando i casi, in molte parti d’Italia, di fronte alla leva economica si fanno scelte che non sono morali. Anche la sicurezza sul lavoro è legata a questo ragionamento. E’ una questione della coscienza singola ma purtroppo anche della coscienza collettiva”. L’esperto spiega che un cavo come quello della funivia del Mottarone può essere ispezionato fino al suo interno con grande accuratezza. “Si possono fare tac industriali, ossia tomografie, sofisticatissime, si arriva a un millesimo di millimetro di definizione, si vede se è ossidato, come si è rotto. Ma questa è la parte tecnica. Dal punto di vista delle conoscenze tecniche gli atenei italiani hanno posizioni invidiatissime, come prestigio, come ranking. Non è un problema di definire quali sono i passaggi per una corretta manutenzione. Ma di mentalità”.
“Se non cambiamo la mentalità non cambia molto. A voler essere duri e banali basta paragonare gli stipendi di un calciatore e quello di un ricercatore. Si preferisce mandare via una persona che potrebbe salvare delle persone. È chiaro che se io la persona la disincentivo perché quasi non la pago, trasformo i controlli in un puro atto di volontariato, è tutto lasciato alla coscienza singola. Questa è una miscela esplosiva”.