Il toccante editoriale di Renzo Piano per i genovesi a un anno dal crollo del ponte Morandi
L'architetto che ha disegnato il nuovo viadotto ha inviato un messaggio alla città dalle pagine del Secolo XIX, di cui è direttore per un giorno
Ponte Morandi, l’editoriale di Renzo Piano ai genovesi
È un toccante, forte, messaggio quello che Renzo Piano in un editoriale sul Secolo XIX ha deciso di inviare a tutti i genovesi oggi, ad un anno esatto dal crollo del Ponte Morandi. L’architetto che ha disegnato il nuovo viadotto sulla Valpolcevera, un’opera che ha l’obiettivo di dare un’idea di sviluppo e di futuro all’intero territorio, è stato scelto per un giorno come direttore del quotidiano di Genova e dalle pagine dello storico giornale si è rivolto alla gente della città ferita.
“Oggi – ha scritto Piano nel suo editoriale – possiamo solo rimanere in silenzio a guardare il mare, cari genovesi. E questa è una cosa che a noi riesce piuttosto bene. Perché guardare il mare è la nostra grande consolazione: lo è per un pensiero irrisolto, un dolore ancora da sopire, un lutto che ci tormenta”.
L’archistar ha evidenziato la scelta della foto pubblicata oggi in prima pagina sul Secolo XIX, per un’edizione dedicata al ponte Morandi: si tratta di uno dei 10mila scatti di un suo storico collaboratore giapponese, Shunji Ishida. L’immagina mostra il mare di Genova, l’orizzonte una nave. Piano dice di essersi fatto aiutare nella scelta da tre bambini, i figli di un suo amico, perché – ha spiegato – i più piccoli “la sanno lunga”. I tre bambini hanno tutti scelto quella foto tra diverse immagini, dando tre motivazioni significativa: l’orizzonte, la nave che va, la luce immortalate in quello scatto.
Sono le tre cose che l’architetto dice di voler “condividere” con i genovesi “in questa giornata di memoria”. “Genova guarda lontano, verso la linea indecifrabile che separa mare e cielo”, dice Piano nel suo messaggio. “Sì, lo ha sempre fatto e, con lei, i genovesi”.
“Quell’orizzonte – spiega ancora – suggerisce mondi sconosciuti da esplorare, con la sua linea immobile ci proietta verso l’immenso, ci promette l’infinito. Fernand Braudel, lo storico che tanto ha studiato e amato la nostra città, ne ‘I Tempi della Storia’ scrive di Genova come di una città potente, ma dal corpo fragile. Sottile sottile, stretta tra un mare subito troppo profondo e monti immediatamente troppo alti”.
“La sua forza è altrove, e così è sempre stato. Selvatica per necessità, un po’ taciturna forse. Ma di questi tempi abbassare la voce e alzare lo sguardo verso l’orizzonte è un grande insegnamento. Genova non chiede, per questo non si è mai data”, scrive l’architetto.
“Conosce la dignità, La Superba”, conclude.