“L’apocalisse, resti umani ovunque”: parla il carabiniere che, 18enne, arrivò per primo a Piazza Fontana
Giuseppe Flavoni aveva solo 18 anni quando da carabiniere fu tra i primi a entrare nella banca devastata dallo scoppio micidiale della bomba che causò 13 vittime a piazza Fontana, il 12 dicembre 1969
Il racconto del carabiniere che, 18enne, arrivò per primo a Piazza Fontana
“Ero solo un ragazzino, fu il secondo durissimo colpo. Il primo fu la morte di Antonio Annarumma, 22 anni. Accadde esattamente 4 giorni dopo che ero arrivato a Milano e la città viveva i pesantissimi anni di Piombo. Recenti pubblicazioni hanno ricostruito i violentissimi scontri di piazza di quel periodo ed il rischio di probabili ammutinamenti in caserme dei reparti Celeri della Polizia, dopo la scomparsa di Annarumma durante un corteo di manifestanti in via Larga”.
Giuseppe Flavoni, classe 1951, nativo della provincia di Latina, ora in congedo a Lecco, aveva solo 18 anni quando da carabiniere fu tra i primi a entrare nella banca pochi istanti dopo la violenta esplosione di quel 12 dicembre 1969. A TPI racconta quel tragico e indimenticabile giorno.
Giuseppe Flavoni, come spiega anche in questa intervista a Lecco FM, si era arruolato nei Carabinieri poco prima del 18esimo compleanno ed era stato chiamato alla scuola allievi di Iglesias per 11 mesi di addestramento: i primi sei come allievo carabiniere, gli altri tre come carabiniere allievo, dopo il giuramento. Era stato poi destinato al battaglione Lombardia di Milano, arrivando a Milano già nei giorni tragicamente e terribilmente roventi che avevano accompagnato la morte dell’agente della Polizia Antonio Annarumma.
Significa trovarsi dal niente della Sardegna a una Milano bollente. Anni che non devono tornare più. Questo ricordo ce lo porteremo da San Pietro. I ricordi riaffiorano sempre.
Ero nel picchetto armato di pronto intervento, formato da 12 uomini, presso il battaglione mobile Lombardia. Fummo contattati per l’allarme di uno scoppio potente avvenuto nelle vicinanze del Duomo, a poche centinaia di metri da noi, e venne ordinata l’immediata uscita del picchetto del quale facevo parte.
Arrivammo a piazza Fontana già intasata da automezzi di soccorso e fummo subito fatti entrare nel salone della banca: fu una visione apocalittica, agghiacciante, non solo di mobili, finestre divelte, vetrate distrutte, ma anche con lembi di stoffa, scarpe e, purtroppo, anche resti umani scaraventati in ogni angolo del salone. La maggior parte dei cadaveri era già stata recuperata e trasferita, come anche i feriti più gravi.
La scena che mi ritrovai davanti in banca, i resti umani che erano dappertutto, in alto, il sangue ovunque, tutto divelto. Quello resta nella mente e penso anche nelle menti dei miei colleghi.
>Cercammo di aiutare le persone, di proteggere la scena per non far toccare nulla. A un certo punto delle persone si radunarono fuori la banca, dalle finestre alte del salone ormai inesistenti, sventrate dopo lo scoppio, il tumultuare della folla sempre più numerosa presente in piazza Fontana, che gridava “Assassini, terroristi, codardi, vigliacchi” ed altro ancora. Lo scenario era drammatico e allucinante.
C’era la mano dell’uomo dietro quell’atrocità. Fu una cosa fuori dal mondo.
Noi 13 rimanemmo lì per non far entrare nessuno. Cinquanta anni fa le cose erano diverse, i rilievi erano diversi. Non c’erano i Ris.
Le immagini ti perseguitavano, non si dormiva. Si cercava di andare avanti. Lo sforzo era immane. Dopo 50 anni le immagini sono ancora lì. Di immagini drammatica ne ho viste tante da maresciallo in questi anni, ma queste sono indelebili.
È difficile commentare. Io ho continuato a fare il mio lavoro umilmente cercando sempre di proteggere i cittadini e onorando la divisa che indosso.