Cts, ecco il Piano di risposta alla pandemia tenuto segreto dal governo: i tre scenari di rischio delineati a febbraio
Cts, il Piano segreto del governo: cosa prevedeva
Venerdì 4 settembre il Comitato tecnico scientifico (Cts) ha reso pubblici i circa 100 verbali delle riunioni tenutesi per supportare le scelte dell’esecutivo durante l’epidemia di Coronavirus in Italia, e uno di questi indicava l’esistenza del “Piano Sanitario nazionale per la risposta a un’eventuale pandemia da Covid-19“: il Cts chiese al governo che restasse secretato e che i numeri contenuti al suo interno non fossero condivisi con la stampa. In tutti questi mesi il ministero della Salute ha sempre negato l’esistenza del “Piano segreto”, e all’indomani della pubblicazione dei verbali Roberto Speranza ha derubricato il documento a “studio in itinere”.
Secondo il Corriere della Sera, il Piano è stato redatto tra il 19 e il 22 febbraio, e il suo obiettivo dichiarato era quello di “Garantire un’adeguata gestione dell’infezione in ambito territoriale e ospedaliero senza compromettere la continuità assistenziale, razionalizzando l’accesso alle cure, per garantire l’uso ottimale delle risorse”. “L’erogazione di cure appropriate ridurrà la morbilità e la mortalità attenuando gli effetti della pandemia”, recita il documento di circa 40 pagine. Per gli esperti dell’Iss e del Cts bisognava avere scorte adeguate di mascherine e DPI e soprattutto maggiore disponibilità dei posti in terapia intensiva. Ma, com’è noto, queste dotazioni nelle prime settimane di pandemia si sono rivelate insufficienti.
Già ad aprile il direttore generale per la Programmazione sanitaria del ministero della Salute, Andrea Urbani, aveva spiegato al quotidiano che il piano era rimasto segreto “per non spaventare la popolazione”, perché gli scenari contenuti al suo interno erano troppo drammatici: quello basato sul “livello di rischio 2“, prefigurava una situazione di “diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie preordinate” e quello di “livello 3” parlava di una “diffusa e sostenuta trasmissione locale con aumentata pressione sul Ssn che risponde attivando misure straordinarie che coinvolgono anche enti e strutture non sanitarie”. Entrambi gli scenari, in proiezione, avrebbero prodotto il più ampio gap di posti in terapia intensiva. Solo il “livello 1“, inserito all’interno del Piano come “caso scuola”, prefigurava una situazione meno allarmante, di “sostenuta ma sporadica trasmissione e diffusione locale dell’infezione”: uno scenario che non si è mai verificato.
Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, il documento si apre con alcuni “messaggi chiave”: la Cina aveva dimostrato l’”elevato potenziale epidemico” del virus Sars-CoV-2, e “le misure di contenimento tempestive e radicali sono efficaci nel ridurre l’R0 sotto il livello soglia e nel tenere sotto controllo l’epidemia”. “Dalla conferma del primo caso di trasmissione locale diventa fondamentale attivare tempestivamente misure di contenimento”, sottolineavano gli scienziati nel documento. Uno dei punti più politici del Piano è quello relativo al rapporto tra Stato e Regioni, che secondo gli esperti del Cts avrebbe dovuto adattarsi alla situazione d’emergenza, con le Regioni pronte a sacrificare la propria autonomia in favore delle scelte del governo centrale.
“È attivato un Coordinamento nazionale che opera secondo un modello decisionale centrale ben definito e un mandato forte e direttivo che, nel rispetto delle singole organizzazioni regionali, definisca l’efficienza degli interventi da attuare ma soprattutto l’efficacia delle azioni pianificate”, si legge nel documento. “In stato di emergenza nazionale, le Regioni e le Province autonome devono superare le regole, i principi e le attuali differenze programmatiche che derivano dall’adozione di modelli organizzativi fortemente differenti soprattutto per le attività di emergenza”, raccomandavano gli esperti. Ma lo scontro tra amministrazioni regionali e governo centrale è stato all’ordine del giorno in quasi tutte le scelte prese nel corso della pandemia, non ultime quelle relative alla riapertura delle discoteche durante l’estate, decise a luglio dai governatori attraverso una serie di ordinanze che derogavano alle disposizioni del Dpcm.
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