Il piano per superare i campi rom che funziona all’estero ma che la Raggi rifiuta
Il dossier presentato dall'Associazione 21 luglio è frutto di un lungo lavoro di analisi da parte degli esperti e si basa su due modelli di progettazione partecipata che hanno avuto riscontri a livello internazionale
C’è un piano che in circa 4 anni potrebbe portare Roma fuori dalla stagione dei campi rom, basato su una metodologia che esclude l’approccio etnico ed è fondata sulla partecipazione. Un metodo che ha dimostrato di funzionare in altri Paesi, ma che è stato bocciato a pochi giorni dalla sua presentazione dall’amministrazione di Virginia Raggi: è questo l’ultimo sviluppo dell’ormai lunga e travagliata storia sulla gestione dei campi rom della Capitale durante il governo pentastellato.
Una “saga” iniziata nel 2017, quando la sindaca di Roma annunciava il suo piano per il superamento dei campi e l’attuale garante del Movimento, Beppe Grillo, parlava di un “capolavoro da applausi“, proseguita con oltre 15 milioni di soldi spesi e con il fallimento del bonus affitti. A quattro anni di distanza, quasi tutti gli insediamenti sul territorio della Capitale sono ancora lì, ad eccezione del Camping River, Schiavonetti, e Foro Italico, che sono stati sgomberati.
A presentare il nuovo piano è stata l’Associazione 21 luglio, che da dieci anni si occupa di diritti umani. Il dossier, che prevede sei fasi per sedici azioni, è stato presentato la scorsa settimana nella sala stampa della Camera dei deputati, ma è stato bollato come “inattuabile” a Roma da Monica Rossi, delegata all’inclusione della giunta Raggi.
Il piano dell’Associazione 21 luglio per superare i campi rom a Roma
Il piano, una vera e propria Agenda politica 2021 per la città di Roma, è intitolato “Superare i campi rom? Si può fare!” ed è consultabile sul sito dell’associazione. Il documento è frutto di un lungo lavoro di analisi che ha visto coinvolta un’equipe multidisciplinare di esperti nazionali, e punta ad essere uno strumento utile per il prossimo sindaco della Capitale, “qualunque sia lo schieramento che vincerà le elezioni” del prossimo autunno, come ha dichiarato Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio.
Il piano propone 6 fasi, declinate in 16 azioni, estremamente concrete, per superare la stagione dei campi in circa 4 anni. Le sei fasi sono le seguenti: 1) La comunità locale; 2) Il gruppo di azione comunitario (GAC); 3) Il piano di azione locale (PAL) 4) Finanziare e realizzare; 5) Campagna comunicativa; 6) Monitoraggio e sostenibilità.
Il documento si basa inoltre su due assi portanti: l’abbandono dell’approccio etnico, a cominciare dalla fine dell’esperienza dell’Ufficio Speciale Rom, Sinti e Caminanti, e il passaggio ad una programmazione territoriale specifica per ogni insediamento da superare secondo un modello il più partecipativo possibile.
L’associazione, per la sua proposta, si è ispirata a due modelli di progettazione partecipata: la metodologia Romact, programma di sviluppo voluto dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea dal 2013, sviluppato teoricamente e comprovato dalla prassi in diverse municipalità, e dalle pratiche di Community organizing, ideate a Chicago e presenti oggi in vari Paesi europei (si tratta di pratiche che puntano alla formazione di leader locali e alla creazione di coalizioni civiche per la rigenerazione urbana, lo sviluppo territoriale e l’inclusione sociale). Secondo la 21 luglio, grazie a queste metodologie oggi nella città di Roma ci sono le condizioni per uscire da condizioni croniche di emergenzialità, con un forte risparmio economico per la collettività e tramite strumenti ordinari.
La replica del Campidoglio: “Piano inattuabile a Roma”
“Quello che l’Associazione 21 luglio presenta come il piano che permetterà di superare e chiudere i campi rom si basa su una metodologia, come quella del Romact, che seppure funziona in altri paesi europei, in Italia non ha avuto successo ed è del tutto inattuabile a Roma”, ha commentato Monica Rossi, delegata all’inclusione della giunta Raggi.
Rossi ha sottolineato che “gli incontri tra associazioni, stakeholder, rappresentanti dei campi e gruppi locali, previsti dal programma, hanno portato a scarsi risultati. Lo dimostra il fatto che il progetto, partito nel 2014 nelle grandi città italiane, è poi stato progressivamente interrotto. Dal 2016, infatti, il progetto Romact è presente esclusivamente in quattro piccole città italiane (Agropoli, Garbagnate Milanese, Prato e Trento) le cui dimensioni rendono evidente che non possa essere replicato nella Capitale”.
La delegata ha invece rivendicato i “risultati concreti” ottenuti dall’amministrazione Raggi: Sono infatti già stati chiusi tre campi – Schiavonetti, Camping River e Foro Italico – abbiamo sgomberato una parte importante del campo di Castel Romano, mentre i campi di Barbuta e Monachina hanno visto una riduzione delle presenze di oltre il 70%” ha concluso.
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