Pestaggi nel carcere di Sollicciano: nessuna tortura sui detenuti
Pestaggi nel carcere di Sollicciano: nessuna tortura sui detenuti
Non ci fu tortura nel carcere di Sollicciano, in provincia di Firenze, il 27 aprile 2019. L’accusa di reato è stata derubricata in lesioni aggravate per gli agenti in servizio quel giorno. Tutti accusati del pestaggio di due detenuti.
La decisione è arrivata a distanza di tre anni. A derubricare il reato, la giudice dell’udienza preliminare Silvia Romeo, che ha condannato l’ispettrice del carcere e altri otto agenti a pene fino a 3 anni 6 mesi. Caduti alcuni episodi di falso e calunnia. Assolto un agente, che aveva chiesto l’abbreviato, e prosciolti due medici in servizio nel carcere, accusati di aver raccontato un’altra versione su due detenuti aggrediti.
L’inchiesta partì l’8 gennaio 2020, quando furono arrestati l’ispettrice, l’agente Ponzo e l’assistenze capo coordinatore Luciano Sarno. Scattarono le misure interdittive per altri sei. I pestaggi finiti al centro dell’inchiesta sono tre, secondo la ricostruzione degli inquirenti.
La procura aveva chiesto otto anni per l’ispettrice, ritenendola l’istigatrice dei pestaggi. E pene tra 1 e 7 anni per gli altri imputati. Secondo l’accusa l’ufficio dell’ispettrice penitenziaria sarebbe stato usato come luogo di violenze per punire detenuti con pestaggi e umiliazioni.
La ricostruzione della procura
La procura aveva ottenuto 9 misure cautelari per gli indagati. Stando alla ricostruzione degli inquirenti, il 27 aprile 2019, un detenuto di origine marocchina sarebbe stato pestato nell’ufficio dell’ispettrice da 7 agenti.
Secondo la procura si sarebbe trattato di una “punizione”, inflitta a un uomo “inerme e impossibilitato a difendersi”. E il motivo sarebbe stato aver chiesto di telefonare ai parenti in Francia e poi aver reagito con un insulto alle intimidazioni degli agenti.
Sarebbe stato prima colpito con pugni, schiaffi e calci, fino a impedirgli di respirare. Poi in due gli sarebbero saliti sulla schiena e lo avrebbero ammanettato, per portarlo, infine, in una stanza di isolamento.
Qui il detenuto sarebbe stato costretto a togliersi i vestiti e a rimanere nudo davanti agli agenti per circa tre minuti, prima di essere portato in infermeria. Finì in ospedale per la frattura di due costole e raccontò la sua versione dei fatti.
Sempre secondo le ricostruzioni del pm, per coprire il pestaggio avvenuto davanti a lei nel suo ufficio, l’ispettrice avrebbe redatto una relazione in cui dichiarava che i colleghi erano stati costretti a intervenire perché il marocchino aveva cercato di aggredirla sessualmente.
In un’altra circostanza, non collegata a questo episodio, parlando di un altro detenuto, straniero, gli agenti lo avrebbero definito “un cammello”, che deve essere “trattato come un cammello”. Inoltre, sempre dagli atti, nel dicembre del 2018 un altro detenuto, questa volta italiano, sarebbe stato immobilizzato da 8 agenti nell’ufficio del capoposto e picchiato fino a perforargli un timpano.