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“Ai giovani dico: fate come Peppino, scegliete legalità e antifascismo”. Parla Giovanni Impastato

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“Se si insegnasse la bellezza alla gente, le si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. Perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”, con queste parole che riassumono il suo pensiero, riportate in parte anche su un murale, viene ricordato Peppino Impastato, giovane rivoluzionario che ha pagato con la vita il suo sogno di vedere le terre povere del Sud finalmente libere dalla morsa di Cosa Nostra e dalla politica del malaffare.

Lui che la criminalità organizzata l’aveva conosciuta sin da piccolo, direttamente nella sua famiglia, il cognato del padre, Cesare Manzella, era addirittura il boss di Cinisi. Peppino non solo non si sentiva parte di quella società malata, che desiderava rovesciare e ricostruire attraverso principi di uguaglianza, di equità e di giustizia sociale, ma si sentiva soffocato dal fardello di avere lo stesso sangue di mafiosi; così non passò molto tempo dalla sua rottura con il padre e con gli altri membri della famiglia collusi con la criminalità organizzata.

Cresciuto culturalmente vicino a Danilo Dolci, il sociologo disubbidiente, Peppino Impastato nel ’67 parteciperà alla marcia dei sei giorni, attraverso i territori più poveri della Sicilia, manifestando contro la guerra del Vietnam e portando avanti i temi del lavoro, dello sfruttamento dei caporali nelle terre e dei padroni nelle fabbriche. Le sue azioni di disobbedienza civile proseguirono negli anni a venire quando si troverà accanto ai contadini che si battevano contro l’esproprio delle terre destinate alla costruzione della terza pista dell’aeroporto di Punta Raisi, agli studenti nell’occupazione dell’Università di Palermo e nella lotta per il problema dell’acqua a Terrasini.

A queste attività accompagnava iniziative di denuncia tramite il suo giornale l’Idea Socialista, di impegno culturale con il Circolo Musica e Cultura e con le mostre itineranti sulla mafia e il territorio, fino ad arrivare alla fondazione di Radio Aut. Le sue azioni e soprattutto il suo pensiero gli creano fuoco bruciato intorno, Peppino si guadagna come una medaglia al valore l’odio di mafiosi, di fascisti e di politici corrotti.

Egli conosce bene i rischi che corre, ma non rinuncia alla candidatura alle elezioni comunali di Cinisi del ’78 nelle liste di Democrazia proletaria. Elezioni per le quali sarà simbolicamente eletto, ma di cui non conoscerà mai il risultato. Qualche giorno prima dello spoglio, infatti, precisamente il 9 maggio del 1978 mentre le telecamere di tutto il mondo sono puntate sul ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, Peppino verrà brutalmente ucciso.

I suoi aguzzini tenteranno di infangare la sua memoria, inscenando un tentativo di attentato kamikaze finito male: “Giuseppe Impastato, militante di Democrazia Proletaria, saltato in aria mentre stava preparando un attentato sulla linea ferrata Palermo-Trapani”, così scrissero alcuni giornali dell’epoca. Senza poche difficoltà, a riportare la verità dei fatti sono stati soprattutto la madre Felicia e il fratello Giovanni, che 43 anni dopo lo ricorda nel suo recente volume “Mio fratello: Tutta una vita con Peppino” (Pienogiorno Edizioni) e in quest’intervista per TPI.

Oggi tutti sono a conoscenza di come sono andate le cose, ma quanto è stato difficile ottenere il riconoscimento della verità dei fatti sulla morte di Peppino?

La verità è arrivata in ritardo, perché in questa vicenda ci sono stati numerosi depistaggi, da parte di diversi organi istituzionali collusi. L’Arma dei carabinieri stava indagando soltanto sulla pista dell’attentato finito male. Noi fin da subito sapevamo che le cose fossero andate diversamente e ci siamo dovuti sostituire agli investigatori. Si tratta di una vicenda giudiziaria – chiamiamola così – che si sarebbe potuta concludere subito e invece ci sono voluti trent’anni.

L’epigrafe sulla sua tomba non lascia dubbi: “Rivoluzionario e militante comunista. Assassinato dalla mafia democristiana”.

Un’epigrafe che rappresenta un atto di coraggio, soprattutto in quegli anni. Mio fratello è stato un simbolo e un precursore dell’antimafia, un’antimafia che non solo si prometteva di combattere la criminalità organizzata, ma che era anche impegnata ogni giorno nel sociale, vicino agli ultimi, agli oppressi, agli uomini senza diritti. La Democrazia Cristiana – con le dovute eccezioni – in quel contesto storico e geografico era il partito della corruzione, dell’arroganza, del sopruso, e gli accordi sottobanco con la mafia erano all’ordine del giorno.

Peppino Impastato è la prova che non si può scegliere dove si nasce, ma si può scegliere come vivere.

Certo, Peppino è un caso unico di rottura radicale con un contesto sociale e familiare. Si possono sempre cambiare le cose, questo va ricordato. Lui era un scoperta continua, si interessava a tutto, dal tema della bellezza e a quella del paesaggio, era vicino alla civiltà e alla cultura contadina e alla natura, quella stessa natura depredata e devastata dall’urbanizzazione selvaggia e dagli interessi politico-mafiosi.

Ricorda qualcosa in particolare di quegli anni, di quei giorni in cui in Peppino stava crescendo un sentimento di ribellione nei confronti di quel sistema marcio nel quale involontariamente si trovava? Cosa ricorda, inoltre, della reazione di vostro padre o dei familiari che intessevano rapporti o erano parte di Cosa Nostra?

Ricordo quando fu cacciato di casa da mio padre, che non riusciva a sopportare il fatto che Peppino raccontasse la verità sui mafiosi locali, mettendovi la faccia. Ricordo anche che mia madre era una donna che cercava in tutti i modi di proteggerci, lei veniva da un contesto cattolico e tradizionale e per lei era impensabile abbandonare la famiglia. Felicia era contemporaneamente la moglie di un mafioso e la madre di un militante che combatteva la mafia. Nonostante tutto, ha sempre rispettato mio padre, ma quando si è trovata al bivio, non si è schierata dalla parte del marito, dalla parte della mafia, ma si è schierata dalla parte della legalità senza alcuna esitazione.

Peppino non temeva di denunciare, facendo nomi, cognomi e anche indirizzi. Lei ha più volte ribadito che oltre la mafia, va sconfitta la mentalità mafiosa, che è subdola e radicata.

La mentalità mafiosa non è solo quella del criminale, ma è una mentalità che può essere mia, tua, nostra. È un modo di pensare, un atteggiamento di vita che spesso ci conduce sulla strada più comoda, sulla via dell’indifferenza. È necessario sconfiggere il mafioso che vive dentro di noi.

Peppino aveva la capacità di prendersi gioco dei potenti e dei mafiosi utilizzando anche l’ironia.

L’ironia forse è stata una delle armi più forti di mio fratello. Li ha smitizzati, li ha sbugiardati, ha messo a nudo il loro falso impero. Con essa ha mostrato alle persone comuni il vero volto di questi piccoli criminali che si credevano grandi. I mafiosi possono rinunciare a una speculazione di centinaia di milioni, tanto poi recuperano in qualche modo i soldi, ma non possono restare in silenzio dinanzi a una derisione che fa perdere loro consenso sul territorio. Peppino è stato ammazzato perché non era corruttibile e non si poteva “calmare”, come dicevano loro.

Una vicenda ancora poco chiara è quella della strage di Alcamo Marina, inchiesta sulla quale sono rimaste numerose ombre e sulla quale Peppino stava indagando.

Non è detto che Peppino avesse scoperto qualcosa, ma questo probabilmente non lo sapremo mai. Abbiamo subito tantissime perquisizioni da parte dei carabinieri, a volte neanche autorizzate e tanto materiale è scomparso. Alcuni giovani del posto furono anche torturati per estorcere false confessioni, Peppino era su quella pista, ma tuttora non sappiamo fino a che punto si fosse spinto avanti con le indagini.

Peppino si era messo in testa di cambiare il mondo sin da ragazzino, cosa pensa invece dei giovani che oggi sono sempre più indifferenti verso la politica?

I giovani oggi sono in possesso di strumenti che al tempo di Peppino non erano neanche immaginabili. Strumenti grazie ai quali si potrebbero smuovere le coscienze, svelare i trucchi del potere, combattere il malaffare; tuttavia molti ragazzi sprecano le loro possibilità, standosene ore e ore sui social. Non è un discorso generalizzato, molti ragazzi si impegnano su diversi fronti. Loro oggi hanno ereditato una battaglia cruciale: quella del cambiamento climatico, che è forse più urgente del Covid. Le Terra non ha molto tempo a disposizione: o si agisce ora o mai più.

Vuole spiegare ai nostri lettori quale funzione ha la “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato” e come è possibile sostenerla?

È un luogo dove si coltivano la storia e la memoria, un altare laico. Ci sono diversi modi per sostenerla, venendoci a trovare, supportando il nostro lavoro. Sul sito ci sono tutti i dettagli, ma soprattutto è possibile sostenerci accompagnandoci nelle nostre battaglie. Anche questo voglio dire ai ragazzi: siate partigiani, questo è il tempo delle scelte, schieratevi dalla parte della legalità, della Costituzione, dell’antifascismo.

La mafia verrà sconfitta un giorno?

I mafiosi non sono niente, non valgono nulla. Falcone diceva: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Questi non sono marziani, certo che possono essere sconfitti. Il problema è che li hanno resi invincibili, ma in realtà non lo sono. La mafia non è l’antistato, la mafia è all’interno dello Stato e cresce nei finanziamenti per la grandi opere pubbliche, negli appalti truccati, nello sperpero del denaro pubblico, nella malapolitica. Il nostro Paese ha sconfitto e superato altri fenomeni storici come il brigantaggio e il terrorismo, perché mai dovremmo ritenere la mafia invincibile?

Leggi anche: 1. Peppino Impastato: le frasi celebri contro la mafia / 2. Una canzone per Peppino Impastato / 3. Caro Peppino, ecco perché non ti meritiamo

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