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Home » Cronaca

La Commissione Antimafia riapre i casi Pasolini e Moro: ecco gli ultimi sviluppi svelati da TPI

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Nuove audizioni e nuove ricostruzioni sui due maggiori cold case italiani. La Commissione Antimafia, pur con i limiti di tempo intervenuti a causa della fine improvvisa della legislatura, riapre i casi Moro e Pasolini: a Via Fani individuati almeno 5 nuovi soggetti e uno sparatore esterno, mentre il furto delle bobine del film "Salò" del regista come “trappola per condurlo all’Idroscalo”. L’ex boss della Magliana Maurizio Abbatino sentito per entrambi i casi

Troppo breve il tempo a disposizione per indagare sulle complesse vicende irrisolte che ancora attanagliano il Paese, ma la Commissione Antimafia presieduta dal senatore Nicola Morra, insieme ai comitati specifici guidati dai vari componenti (questi su Pasolini e Moro, guidati nello specifico dalla deputata Stefania Ascari), hanno provato a ricostruire i fili della tensione che su questi ed altri fatti indagati dai Commissari vanno a intrecciarsi con il ruolo della criminalità organizzata. Ruolo che insieme ai segreti da essa conservati ha nel tempo rafforzato la sua crescita esponenziale, su tutte la ‘ndrangheta. Ma non solo.

Pier Paolo Pasolini e quella trappola che lo ha condotto all’Idroscalo di Ostia

A prevalere nelle indagini della Commissione Antimafia è stata la testimonianza dell’ex agente di Polizia, del Sismi e della DEA, Nicola Longo, che ha riferito del suo ruolo nel recupero delle pizze del controverso film Salò o le 120 giornate di Sodoma tramite l’aiuto di un boss importante che fece ritrovare le pellicole al poliziotto in un luogo prestabilito. Un furto avvenuto la settimana di ferragosto del 1975, infatti, ne aveva pregiudicato il montaggio già deciso, tanto da dover far scegliere alla produzione di montare altre scene presenti soltanto come scarti.

Le bobine di quelle scene finali  – raffiguranti un “ballo consolatorio” con la troupe, le comparse e lo stesso Pasolini a rappresentare vittime e carnefici insieme – erano conservate presso gli stabilimenti della Technicolor di Roma. Oggetto queste di un elevato ricatto economico che ha fatto desistere la produzione dal recuperarle e la cui pista era stata già percorsa dalla Procura di Roma nelle ultime indagini preliminari, ma senza troppa convinzione.

Gli approfondimenti portati avanti dalla Commissione Antimafia sono ripartiti dalla testimonianza del regista e amico dello scrittore, Sergio Citti, che quasi in punto di morte durante le indagini aperte nel 2005 aveva riferito come Pasolini, attraverso la sua intermediazione, si fosse messo in contatto con alcuni personaggi per la restituzione delle pellicole. Per l’intellettuale, ucciso 47 anni fa all’Idroscalo di Ostia e di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita, recuperare quel suo ultimo lavoro era fondamentale, come ha anche sempre affermato l’allora montatore di Salò Ugo De Rossi.

Il racconto dell’ex agente Longo era stato prima riversato sulle pagine del settimanale Oggi, nel marzo 2022, destando così l’attenzione della Commissione che aveva già chiamato a testimoniare Maurizio Abbatino, ex esponente di spicco della banda della Magliana e, dai primi anni ’90 collaboratore di giustizia. Abbatino ha dichiarato di «aver partecipato da giovanissimo ad un furto di pizze cinematografiche che era stato commissionato dal proprietario di una bisca di cui ha fatto il nome. Tale soggetto conosceva anche Pasolini, in quanto questo occasionalmente aveva frequentato il suo locale. Infatti lo stesso Abbatino aveva visto l’autovettura di proprietà di Pasolini dinanzi al locale e ricordava bene tale circostanza in quanto all’epoca era a sua volta possessore di una autovettura dello stesso modello».

Una testimonianza che andrebbe a confermare la necessità espressa da Pasolini stesso di rientrare in possesso delle pellicole, e la sua ricerca a tale riguardo attraverso persone del posto. La Commissione, che ha dovuto interrompere le indagini su questo filone, auspica che «le ricerche sul movente e sulle modalità della sua morte, entrambe mai chiarite, siano riprese in sede di una prossima Commissione d’inchiesta». I tentativi per aprirne una specifica sul caso sono stati molti e risalgono al 1979 fino ad arrivare al più recente 2017: tutti risultati in un nulla di fatto.

La Commissione Antimafia ha poi citato la vicenda delle lettere che l’ex neofascista Giovanni Ventura inviava allo scrittore, come da noi indicato in questo articolo, inserendo così la strage di Piazza Fontana tra i possibili moventi su cui indagare.

Il Caso Moro: il rebus di Via Fani e la criminalità organizzata 

Più poderoso e dettagliato, invece, il dossier che la Commissione ha raccolto sul Caso Moro ripartendo in parte dalle ultime risultanze della Commissione Parlamentare d’inchiesta dedicata al Caso e chiusa con la fine della passata legislatura nel dicembre del 2017. Un lavoro approfondito per quanto parziale che qui anticipiamo per poi riprendere nel prossimo numero cartaceo di TPI.

Secondo la Commissione Antimafia, infatti, a ribaltare i risultati della perizia predisposta dalla passata Commissione guidata da Giuseppe Fioroni, così come quelle presenti in processi e attività di indagine precedenti, è soprattutto la testimonianza di Cristina Damiani, una testimone di cui i vecchi inquirenti non avrebbero tenuto conto e che la Commissione ha nuovamente voluto sentire insieme al racconto incerto di Franco Bonisoli, che la mattina del 16 marzo 1978 era parte del commando che ha decapitato la scorta di Moro e rapito il Presidente della DC. Bonisoli è da tempo impegnato in un percorso di riabilitazione verso i familiari delle vittime.

La Damiani ha testimoniato, con più precisione rispetto ai verbali del 1978, sulla presenza di un tiratore esterno che “con una canna di arma da fuoco lunga circa 30 centimetri spuntava da dietro una vettura parcheggiata davanti al bar Olivetti” (verosimilmente la MiniCooper lì parcheggiata). La testimone seguendo la planimetria ricostruita dalla Commissione stessa, ha poi ribadito di aver visto sul lato sinistro di via Fani “sei persone impegnate nella sparatoria, non tutte con la divisa di colore azzurro”, contro i soli 4 vestiti da “avieri” presenti nella ricostruzione ufficiale.

Un’affermazione questa “molto rilevante”, sottolinea il magistrato Guido Salvini che ha firmato la relazione. Uno sparatore a tutt’oggi sconosciuto che ha aggiunto la Damiani si era “dileguato autonomamente” rispetto agli altri aggressori ubicati nella parte più bassa di via Fani. Finora, e nonostante i multipli tentativi di ricostruzione, la scena fissa più o meno nota è quella che vede, la mattina del 16 marzo 1978, percorrere Via Fani: la “130” di Moro, l'”Alfetta” bianca targata Roma (che la segue con tre uomini di scorta) e davanti la “128” con la targa diplomatica falsa, con a bordo i brigatisti che si muovono come se guidassero il convoglio.

La 128, che dopo un primo rallentamento deve accelerare affinché le due auto di Moro non la superino, deve arrivare per prima sul luogo dell’agguato: all’incrocio con Via Stresa dove alle 9.02 tutto accade. E da dove in parte alcuni BR si dilegueranno. In questo racconto ufficiale si inserisce secondo la Commissione Antimafia uno sparatore esterno e altre figure, in tutto 4 o 5 in aggiunta ai 9 indicati dai BR nelle ricostruzioni consegnate alla giustizia.

Per quanto riguarda il ruolo della criminalità organizzata, di cui ci siamo occupati sul settimanale del 10 maggio scorso con elementi inediti, e che la Commissione Antimafia ha acquisito, un focus è stato dedicato in particolare tra gli altri alla figura del legionario Giustino De Vuono per cui la Commissione ha svolto anche audizioni apposite. Tra i tanti spunti la convinzione che il legionario De Vuono legato alla ‘ndrangheta, ma non a una particolare cosca, non sia mai deceduto alla data ufficiale riportata sul suo certificato di morte (novembre del 1994) come rivelato da TPI.

Una presenza quella della criminalità organizzata, scrive la Commissione, che «può aver avuto finalità diverse tra loro». Abbatino nella stessa giornata del 24 febbraio ’22 ha confermato quanto da lui già riferito alle autorità giudiziarie dopo la sua collaborazione in merito al ruolo di Raffaele Cutolo e della sua richiesta alla Banda di individuare il covo con il prigioniero Moro. È soltanto una delle vie seguite per tentare di liberare lo statista e mai portate a termine.

Inoltre, la testimonianza dello storico collaboratore di ‘ndrangheta Filippo Barreca, rilasciata già alla Commissione Moro 2 e rivelata solo più tardi (di cui abbiamo approfondito nel nostro servizio diversi aspetti) è stata considerata nel quadro tutto di interferenze che hanno contribuito a cambiare il volto del Paese quel 16 marzo del 1978. Gli spunti e le novità approfondite dalla Commissione potranno essere utili alla Procura di Roma che si sta ancora occupando del caso.

I documenti

Sul settimanale di TPI in edicola da venerdì 23 settembre prosegue l’inchiesta sul sequestro e sull’omicidio Moro, con la rivelazione di episodi inediti relativi a un vertice tra Br e ndrangheta.

Qui sotto invece un articolo de L’Unita datato 24 dicembre 1978 che riferisce di diverse operazioni effettuate dalle forze dell’ordine in alcuni luoghi della Calabria frequentati o abitati da esponenti di Prima Linea e delle Br, e che si collega ad altre rivelazioni dell’inchiesta.

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