Pallanuotista 16enne umiliato per mesi da allenatori e compagni: “Sei molliccio”
“Sono 7 anni che ti alleni e non sei buono nemmeno a tirare una palla”, oppure “Che cazzo ti guardi allo specchio? Tanto là sotto ci sta tutto tranne muscoli”: un pallanuotista di 16 anni della provincia di Roma ha dovuto subire per mesi le vessazioni e le umiliazioni dei compagni di squadra e del suo allenatore, che se la prendevano costantemente con lui giudicandolo non abbastanza bravo.
“Alludeva al mio grasso corporeo e ci ho sofferto tanto”, ricostruisce il giovane, al quale una volta sono anche stati rubati gli occhialetti dallo zaino. Al termine di un allenamento, il ragazzo ha reagito in malo modo, tirando un pugno al compagno che lo bullizzava, fratturandogli il naso.
È stato denunciato per lesioni, la squadra lo ha sospeso per 15 giorni. Lui, a sua volta, che sporto querela per violenza privata: agli inquirenti ha raccontato i tormenti ai quali sarebbe stato sottoposto, che hanno avuto un forte impatto sulla sua vita, costringendolo a restare in casa senza più voglia di uscire.
Nel suo esposto ricorda “frasi sminuenti, dispetti, umiliazioni” che in lui hanno generato “un forte disagio”. L’aggressione dopo il suo esordio in serie A con la under 20, lo scorso 29 gennaio: “Ero teso ma concentrato a dare il massimo, ero uno dei più piccoli a giocare – si legge – l’allenatore però a ogni mio piccolo sbaglio invece di correggermi mi prendeva in giro davanti ai miei compagni e io mi sono vergognato tantissimo”.
“Sei incapace, sei molliccio”, sarebbero state le parole del coach. Due giorni dopo quell’incontro, con la tensione alle stelle, il giovane ha proposto al suo allenatore di usare i pesi anche in piscina.
Il “bullo” avrebbe iniziato a prenderlo in giro dopo la richiesta, fino al pugno. Da quel giorno il 16enne si è chiuso in casa, non vuole più andare a scuola. “Mio figlio ha nel sangue la pallanuoto che è stato lo sport di famiglia, vuole cambiare società ma è sotto contratto”, spiega il padre.
“È una sconfitta per noi adulti – aggiunge – che dovremmo insegnare il rispetto e nell’ambito sportivo il coach dovrebbe promuovere il lavoro di squadra. Lui l’ha ridicolizzato davanti a tutti in una partita che per mio figlio era importante. La società non è mai intervenuta e nessuno mi ha mai contattato. Un giorno è tornato a casa con un livido sul petto e ho pensato che rientrava un po’ nella vita di uno sportivo che si scontra con gli altri compagni negli allenamenti. Invece nell’ultimo anno gli episodi sono stati continui”.