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Home » Cronaca

Ostetriche, consulenti e violenza: il business della maternità sui social

Immagine di copertina
Credit: Alexander Grey - Unsplash

Predicano il ritorno alla “natura ancestrale” del travaglio, spingono le donne a diffidare del personale sanitario, le colpevolizzano se interrompono l’allattamento. Sono consulenti web che, con la scusa di spingere le madri all’autonomia, praticano in realtà coercizione e azioni di convincimento al limite del plagio. L'inchiesta sul nuovo numero del settimanale di The Post Internazionale, in edicola da venerdì 28 ottobre

Il diritto all’autodeterminazione femminile è un importante nodo teorico del dibattito politico di questo tempo incerto. La maternità è un tema ricorrente, e risulta urgente sottoporre a critica gli atteggiamenti morali verso di essa e la concezione culturale e ideologica alla base. Per farlo è necessario metterne in luce un lato inedito, che getta nell’ombra proprio quell’autodeterminazione messa in pericolo da certa politica. Dietro alla maternità esteriore di qualcuna, c’è un mondo fatto di violenze e conventicole dai torbidi operati. Si tratta, nello specifico, del lavoro di alcune consulenti auto referenziate, ostetriche social e persino personale sanitario. Le loro procedure oscillano tra esibite violenze e manovre di convincimento al limite del plagio. L’esercizio del controllo dei corpi e l’induzione del senso di colpa risultano elementi drammaticamente ricorrenti. Le continue segnalazioni, esposti e denunce pubbliche stanno portando a galla i caratteri di questo sistema, e si inizia a mettere insieme i pezzi di tutto ciò che ha frantumato finora.

«Donna, partorirai con dolore». Partiamo da qui. Nonostante i progressi della medicina, partorire è ancora un atto doloroso, brutale e troppo spesso rischioso. Non esiste soluzione ai dolori del travaglio, e la partoanalgesia è una recente conquista, non ancora davvero accessibile.

La ragione non è da ricondurre solo al maschile predefinito storicamente presente nell’ambito della medicina e della ricerca, ma ha origini ben più radicate. Sebbene tutto (o quasi) intorno a noi guardi al futuro, sul tema di gravidanza, parto e allattamento la tendenza moderna è quella di tornare indietro.

Tutto ciò che appare naturale è oggi di massima aspirazione, le donne tornano a partorire in casa con le ostetriche, imperversano i video di quelle che lo fanno al mare e negli oceani, mettendo in pratica il freebirth, la corrente di pensiero secondo cui una donna deve sentirsi libera di partorire ovunque.

La narrazione del ritorno alla natura ancestrale intesa come urgenza, inizia ai corsi preparto. Quelli più in voga oggi, che possono costare anche 500 euro, vantano un’impostazione profondamente spirituale.

Nel corso delle sedute, tenute da ostetriche o consulenti, si istituisce un percorso che disincentiva a chiare lettere la medicalizzazione del parto, descritta come esercizio di dominio e potere della medicina sui corpi delle donne.

Per scorgere il tenore delle correnti di pensiero messe in piedi da queste operatrici, è sufficiente imbattersi in uno dei loro seguitissimi profili social.

La bontà del dolore

Da una prima occhiata ai loro post e video, ci si scontra con alcuni dei loro dogmi espressi a chiare lettere: partorire non è davvero doloroso, l’andamento del parto dipende da elementi come la psiche della madre, la respirazione e la gentilezza dell’ostetrica. Risulta ricorrente il rimando alla natura selvaggia e a quelle che le consulenti definiscono “le ave” che partorivano in autonomia, accovacciate nei campi.

«Le nostre ave partorivano da sole nei campi e tutto andava bene, oggi la medicalizzazione lavora per uccidere la meraviglia del parto naturale. Vogliono toglierci il dolore, vogliono compromettere la connessione con la nostra natura». Inizia con queste parole uno dei loro video promozionali.

Ricorrere all’epidurale è sconsigliato su tutti i fronti. Anche in questo caso, uno dei principali mezzi di cui ci si avvale per perpetrare questo divieto è il terrore delle ripercussioni non solo sul parto, ma persino sulla maternità. Naturalmente è sempre non pervenuta la fonte scientifica di queste teorie. Uppa, il magazine in assoluto più letto dalle famiglie, parla della parto analgesia in questi termini: «L’epidurale conferma alla donna che il suo corpo è una macchina che non funziona bene, che deve essere gestita da esperti, anche per fare la cosa più naturale del mondo: dare alla luce un figlio. Dopo il parto, quando inizia la relazione madre-figlio, spesso si avverte una sensazione di inadeguatezza e incapacità. Il senso di gratificazione che prova una donna che ha gestito in prima persona il travaglio sostiene la madre in questi primi momenti. Al contrario, la delega al momento del parto può facilmente tradursi in una nuova delega nella gestione del figlio, attivando ulteriori meccanismi di dipendenza».

L’articolo prosegue descrivendo il dolore femminile come elemento ricorrente nel processo evolutivo della donna: dal dolore mestruale a quello del primo rapporto sessuale. Il dolore emancipa e guida le donne. Il dolore, in sintesi, è buono. Questa narrazione accoglie il benestare delle tantissime consulenti che dichiarano tossica la presenza di professionisti ginecologici in fase di parto, accusati di defraudare di autorevolezza le ostetriche, descritte come supreme figure santoniche delle nascite.

Non esistono solo i corsi pre-parto che allontanano le donne dalla medicalizzazione, ma anche quelli che le allontanano da tutto il personale sanitario, ostetriche comprese.

La diffidenza verso i sanitari

Tra le migliaia di segnalazioni a riguardo, spicca quella che riguarda un noto corso pre-parto, il cui costo si aggira sui 400 euro, in cui si assicura una riduzione del 50 per cento del dolore delle contrazioni, una durata del parto di un preciso e prestabilito numero di ore, rigorosamente con lo 0 per cento di rischio lacerazioni. Le donne che si affidano a questo corso subiscono continui tentativi di convincimento a diffidare dal personale sanitario, e i loro atteggiamenti risultano riconoscibili in sedi ospedaliere: le gestanti che hanno ricevuto quel tipo di formazione assumono una particolare posizione del corpo che pretendono di mantenere per l’intera durata del travaglio. Alla richiesta di spiegazioni da parte del personale sanitario rispondono di rifarsi alla posizione del parto delle mammifere feline che partoriscono con facilità e in autonomia.

Proprio sul tema delle posizioni del corpo la titolare di questo corso pre-parto ha ricevuto un esposto dalla federazione nazionale dell’ordine delle ostetriche, a causa di un’intervista su una nota testata giornalistica in cui la protagonista parla delle «posizioni mediche del parto basate su studi superati» con rimando al sito della sua attività, qualificandolo come scientifico. Inutile specificare che, invece, non rientra nella sitografia di riferimento scientifica, facilmente reperibile attraverso una ricerca online.

Alcune mamme che hanno frequentato questa tipologia di corsi, raccontano (anche nelle recensioni pubbliche) del loro parto rivelatosi molto diverso da quello garantito dalle consulenti a suon di percentuali e numeri, e la risposta ottenuta verte su colpevolizzazione del personale sanitario che ha imposto le canoniche regole di parto, o della protagonista che non ha svolto correttamente gli esercizi appresi in quella sede.

Stessa spiegazione spetta alle madri reduci da un parto doloroso, alle quali erano stati venduti a caro prezzo «gli strumenti per accedere all’esperienza del parto orgasmico e indolore, attraverso tecniche di rilassamento».

Contro il cesareo

Esiste una terza tipologia di consulenti estremiste con un’altra scuola di pensiero, che godono anche della presenza di sostenitrici da milioni di follower. Questo grappolo di professioniste porta avanti la teoria che denuncia la pericolosità del parto cesareo, le cui impronte possono restare indelebili sul nascituro. Le conseguenze possono tradursi in ripercussioni a lungo termine sotto forma di episodi di ansia, angoscia, inquietudine e irrequietezza perenne del bambino. Il loro corso promette di «aiutare il bambino a guarire dalle impronte del parto, restituendogli la soddisfazione mancata di sentirsi potente e in grado di nascere. Possiamo restituire a madre e figlio la connessione vitale, ridurre i pianti e migliorare attività fisiologiche ed equilibri familiari». Questo testo è onnipresente nelle didascalie dei post sui loro profili social. Possono fare tutto questo in videochiamata, con certificazioni da operatrici olistiche alla mano, alla modica cifra di 400 euro.

La violenza ostetrica

La problematicità della gestione e visione dei corpi delle partorienti e, nello specifico, del dolore femminile non si limita alle consulenti auto referenziate. È necessario dedicare un drammatico capitolo a parte all’operato del personale sanitario, quello sulla violenza ostetrica. Di seguito il doloroso racconto dell’episodio subìto lo scorso anno da Giusy Rondinelli, a Bologna. «Il mio travaglio è stato caratterizzato da dolori lancinanti per un tempo lunghissimo, durante il quale il personale respingeva le mie richieste di supporto al dolore, chiedevo una semplice borsa dell’acqua calda o di poter fare una doccia calda. In compenso, mi era continuamente intimato di smettere di urlare, perché “tanto non serve a nulla”. L’ipotesi del cesareo e dell’epidurale che chiedevo continuamente non è stata neppure vagliata, nonostante la mia statura di 1,48 cm e 50 kg di peso. Dopo un lungo e sofferto parto, il compito di applicarmi i punti di sutura è stato affidato a delle specializzande che hanno commesso un errore procedurale, per cui la sezione vulvare ha iniziato a gonfiarsi in maniera anomala. Dopo qualche ora in cui lamentavo di questo gonfiore, si sono decisi a controllare. Bisbigliavano tra loro, non mi dicevano nulla. A un certo punto mi sono ritrovata trattenuta con forza da gambe e braccia da alcuni tirocinanti e, senza essere avvisata, mi vengono rimossi i punti senza anestesia. Successivamente, sul referto scriveranno che i punti sono caduti da soli. A tutto questo trambusto segue un episodio di dissenteria, e prima di essere sottoposta a pulizia passeranno circa quaranta minuti. Il contatto prolungato con materiale fecale mi ha provocato un’infezione da escherichia coli che mi ha costretta a letto per due mesi, con una neonata da accudire e un conseguente diagnosticato disturbo post traumatico da stress».

Il dolore è buono, dicevamo. Episodi come questi sono la massima espressione di una mentalità pericolosamente diffusa, per cui la donna deve sopportare il dolore e può essere ridotta a carne da macello, se necessario. Nel momento del travaglio il suo corpo non le appartiene davvero, ma funge da dolorante involucro dell’unica vita da tutelare: quella di suo figlio.

Questione allattamento

Capitolo a parte è da dedicare alle consulenti di allattamento. La consulente d’allattamento è una figura professionale specializzata nella gestione degli allattamenti. In questi ultimi anni risultano in allarmante aumento le segnalazioni di consulenti estremiste che promuovono l’allattamento al seno a tutti i costi, con dinamiche alla stregua della violenza psicologica.

Queste consulenti si dichiarano spesso fedeli ai principi della Leche League, un’associazione internazionale che si occupa di diffondere informazioni sui benefici dell’allattamento al seno, nata da un gruppo religioso tradizionalista, il “Christian family movement”.

La concezione originaria della League è influenzata dalle sue radici: nello scenario familiare ideale da loro descritto, la madre dedica la sua vita alla cura di casa e prole, soprattutto attraverso l’allattamento a termine e a richiesta.

Molte donne si rivolgono a queste figure professionali per avviare l’allattamento al seno. È il caso di Natalia Ceravolo, che racconta di essersi rivolta a una consulente di Torino per ricevere supporto nella fase iniziale. «Subito dopo le presentazioni, espongo alla consulente le ragioni che mi avevano condotta lì. Lei afferma fin da subito di avermi inquadrata e inizia ad attribuirmi pensieri che, in realtà, non mi appartenevano. Tuttavia, data l’urgenza delle mie necessità, decido di fidarmi. Dopo la sesta seduta, mio marito mi fa notare alcune manifestazioni affrante, irascibili e dolenti del mio stato d’animo che coincidevano sempre con il giorno della seduta. In quell’occasione trovo il coraggio di confessargli ciò che accadeva durante quelle sedute: la consulente, in un’ora del nostro tempo insieme, dedicava dieci minuti a controllare le modalità in cui attaccavo mio figlio al seno, e tutto il resto del tempo parlava di me. Mi diceva che le ragioni del mio problema di allattamento erano da ricondurre alla mia pigrizia e che io non volevo davvero creare un legame con mio figlio, che lei lo aveva capito bene. Avevo partorito da dieci giorni, tornavo a casa e non riuscivo a togliermi le sue parole dalla testa. Amavo mio figlio, l’ho desiderato tanto. Questa consapevolezza ha fatto luce dentro di me, così ho deciso di abbandonare il corso alla sesta seduta, nonostante ne avessi pagate dieci in anticipo – circa 350 euro – perché lei diceva che solo così sarei stata davvero motivata a completare il percorso insieme. È un po’ come la palestra, diceva».

Le testimonianze di donne che scelgono di non completare il percorso di ausilio all’allattamento sono migliaia, ma neanche lontanamente vicine al numero di quelle che invece, al termine, tornano a casa con meno soldi di prima, gli stessi problemi e un’inedita dose di frustrazione, senso di colpa e fallimento per non essere riuscite a risolvere il loro problema.

Il metodo

Il meccanismo che certe consulenti mettono in pratica è sistematico. Affermano di conferire alla donna gli strumenti per aiutarsi da sola, attraverso promesse più grandi di loro e per lo più irraggiungibili. Se la donna non ci riesce, esito che al netto delle segnalazioni risulta ricorrente, la responsabilità è solo sua. Se invece ci riesce, con molta probabilità avrà assorbito tutti i dogmi delle filosofie del corso estremista, per cui costituirà parte dell’infuocato esercito delle consulenti. Pronta a giurare l’efficacia universale dei loro operati, con l’obiettivo di diventare admin dei loro gruppi Facebook, in cui vige la tendenza a demolire le madri che chiedono anche solo un consiglio sul latte formulato o che manifestano la volontà di interrompere l’allattamento prima dei tre anni del figlio.

È proprio nella fase finale dell’allattamento che alcune mamme decidono di chiedere il supporto delle consulenti. Se si smette di allattare senza il supporto di consulenti e secondo tempistiche autogestite, il bambino «si limiterà a soffrire in solitudine, perché ha raggiunto una conclusione: la mamma non mi vuole bene. Non mi servono altre prove», racconta il celebre blog “Siamo mamme”, attraverso un articolo sul tema.

Martina Guglielmi (nome di fantasia) racconta di aver scelto di affidarsi a una delle guru più seguite sui social proprio in quella fase. «Dopo un rapido scambio di messaggi, mi ha chiesto 90 euro per una consulenza che si sarebbe svolta via chat. Era evidente fin da subito il suo tentare di convincermi che io non volevo davvero smettere di allattare, erano le persone attorno a me e la società a volerlo. Il suo intento era sottopormi a una specie di seduta psicologica senza alcun titolo (ho otto anni di psicoterapia all’attivo, e ho riconosciuto perfettamente le dinamiche maldestramente scimmiottate). Quello era un periodo di fragilità per me, e l’incontro con lei ha drasticamente acuito il senso di colpa e d’inadeguatezza che provavo. Oggi riesco a parlarne con lucidità, ma non è stato facile realizzare quello che avevo subìto».

Gli effetti di questi operati possono accompagnare le donne per anni e condizionare gravemente la loro vita, oltre alla maternità. Ne è convinta la dottoressa Sasha Damiani, dalla sua esperienza in qualità di medica e co-fondatrice della pagina “Mamme a Nudo”.

«Quanti di questi meccanismi di potere tra chi detiene il sapere e le partorienti si verificano anche nell’ambiente apparentemente neutrale di un ospedale? Tanti, troppi. È soprattutto sul tema dell’allattamento che si rischia di utilizzare atteggiamenti a discapito della salute mentale materna. Come tante pazienti raccontano, l’immediato postpartum può diventare una delle peggiori esperienze legate alla nascita anche per le pressioni psicologiche ricevute, che a volte sfociano in veri e propri abusi. Le madri vengono trattate come se smettessero all’improvviso di essere le proprietarie dei loro corpi. Le evidenze scientifiche sul tema allattamento sembrano essere sbiadite dall’estremismo di certe correnti. Non possiamo parlare di benessere materno-infantile finché i presupposti saranno questi».

A conclusione, alcuni necessari reminder:

● Non c’è una percentuale scientifica per valutare la percezione dolore, dunque non può essere legittimata l’esistenza di corsi che promettono il dimezzamento di una percentuale che non esiste.

● Non esistono evidenze scientifiche a sostegno della tesi che attribuisce al ricorso all’epidurale neppure potenziale responsabilità sulla futura maternità.

● Non esistono evidenze scientifiche a sostegno di un parametro standard di correlazione tra mancanza di lattazione e affetto della mamma nei confronti del neonato.

● Per tracciare quadri psicologici il possesso dei titoli è imprescindibile, chi si lancia in prestazioni di questo tipo, previo pagamento, sta commettendo un reato.

● Naturale non è sinonimo di universale.

● La figura dell’ostetrica non può in alcun modo sostituirsi a quella del personale medico, il cui intervento tempestivo può rivelarsi salvifico in caso di imprevisti, e l’eventualità di incorrere in situazioni emergenziali non può essere esclusa prima dell’avvenuto parto.

● La violenza ostetrica è un crimine.

È necessario tracciare anzitutto nuovi percorsi di emancipazione, colpire l’impalcatura che sostiene queste violenze sistemiche, come il determinismo biologico che inchioda la donna a un ruolo totalizzante, subalterno e deprivatizzante. Oltre al deplorevole scopo di lucro sulle spalle delle vite umane che questo sistema vuole fagocitare e allo stile comunicativo terrorizzante e violento delle sue esponenti.

L’intento di queste pagine non è gettare il discredito sulle citate categorie professionali, ma denunciarne le anomalie. Le segnalazioni di operati problematici e gravemente dannosi di figure che orbitano attorno alla maternità risultano in incontrollabile aumento e non possiamo, né vogliamo ignorare i numeri. Che, ricordiamo, sono persone.

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