“Noi, volontari partiti per salvare migranti in mare”: diario di bordo dalla Open Arms
Le storie di Angel, Esther, Cecilia e delle altre persone che hanno scelto di togliere tempo a se stessi e ai loro affetti per trascorrere settimane su un rimorchiatore ad aiutare gli altri
Open Arms, reporter di TPI bordo: giorno 23
Volontariato (da treccani.it): “Prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto e di assistenza, esplicata per far fronte a emergenze occasionali oppure come servizio continuo”.
Parto dalla parola “volontariato” per chiudere questo diario, tirando le somme e restituendo il massimo possibile a chi, in queste quattro settimane e non solo, si è messo a disposizione per gli altri. Sono tempi bui quelli in cui c’è bisogno di specificare che un volontario che aiuta le persone lo fa gratis, perché crede in quello che fa, non per soldi. Anzi, quello che spendono qua è tempo libero tolto alle famiglie, agli amici e a loro stessi perché vivere due settimane o un mese su di un rimorchiatore non è il massimo.
Quando si incontrano le persone nello stretto corridoio all’inizio ci si sorride a vicenda e si lascia il passo, dopo qualche giorno diventa automatico aspettare, passare, incastrarsi e scontrarsi. Andare al bagno accanto ad altre persone, non avere mai un attimo di privacy, nemmeno in cabine. Un “normalità” che alla lunga pesa, nonostante il clima positivo che c’è. C’è chi dorme in due e chi dorme in quattro e mediamente i turni di guardia sono sempre alternati e quindi chi si sveglia o chi torna a dormire nel cuore della notte sveglia gli altri, inevitabilmente.
Le crociere, quelle tanto decantate da Ministri della Repubblica e dai loro seguaci, sono cose sconosciute. Ogni volontario o volontaria porta con sé un’esperienza umana oltre che professionale, tutte la persone hanno qualcosa da raccontare, da scoprire: “Il primo sbarco l’ho visto a 6 anni dal balcone di casa di mia nonna, erano albanesi e tutto il paese scese per aiutarli. Siamo persone di mare e solidali ed è naturale farlo”. Emma è pugliese, ha una laurea in psicologia e fa l’insegnate. Ha passato l’ultimo anno a perfezionare la sua preparazione come soccorritrice in acqua per poter partire ed essere utile. Il suo percorso umano passa per Ventimiglia, un’altra frontiera difficile: “A volte aiutare vuol dire anche solo passare una bottiglia d’acqua. Però alla lunga ti senti impotente e ho preferito specializzarmi ed essere utile in un altro passaggio della migrazione verso il Nord Europa”.
Di questo argomento a bordo si parla spesso. Chi ha già fatto soccorsi ed è in contatto con altre persone sa bene che tutti vedono l’Italia, la Grecia e la Spagna come Paesi di passaggio verso il nord, dove hanno familiari o amici da raggiungere. Chi ha esperienza da vendere è Isabel, messicana rifugiata in Europa perché minacciata dai narcos per il suo attivismo. “Quando cerchi di contrastare queste bande la cosa peggiore che fanno non è prendersela con te. che sei più esposto. ma con chi ti sta vicino, con la tua famiglia”. Ora vive a Londra e insegna arrampicata, altra sua passione. “Sono andata a Lesbo per un mese e ci sono rimasta due anni e mezzo, facevo la soccorritrice in mare per chi arrivava dalla Turchia”. Quel tratto di mare è piccolo, circa 11 miglia nautiche separano le due coste ma le numerose rocce a filo d’acqua e le correnti rendono difficile e pericoloso il passaggio.
Opern Arms: le storie dei volontari a bordo
Di Santi, il pompiere di Barcellona, ne ho già parlato in un altro diario, ma con lui c’è Angel, uno dei pompieri più specializzati di Valencia nel soccorso in ogni situazione. Tutti insieme, con il loro bagaglio professionale e umano, a bordo sono fondamentali. Sono quelli che fanno i peggiori turni di guardia, quelli notturni, che insieme a me e al mio collega Olmo Calvo puliscono la nave, aiutano Lorenzo, il nostro cuoco volontario di cui ho parlato nel diario di ieri e, nel momento in cui c’è un’emergenza si cambiano, mettono la tuta di neoprene e scendono in mare a salvare le persone.
Quando scendono in mare ci sono Esther e David, i due piloti delle lance veloci. Sono volontari e a bordo sono marinai. Si prendono cura della nave, pitturano e fanno manutenzione. Esther l’ho raccontata nel diario di qualche giorno fa, classe 1990 ma con 4 anni d’esperienza nel soccorso, mentre David è un tecnico radio di Mallorca che ha molti brevetti da soccorritore e pilota.
Ilaria e Cecilia invece sono il personale medico a bordo. Ilaria lavora negli ospedali italiani anche se ha iniziato la gavetta a Spagna, dove studiava. Ha preso l’abilitazione a Napoli, da lì si è spostata a Genova e ora Milano. “Il pronto soccorso mi piace, è quello che voglio fare perché impari tanto e ogni caso è diverso dagli altri”. Ilaria è giovane, ha poco più di 30 anni ma di esperienza ne ha. Cecilia è ancora più giovane, ha preso una laurea in infermeria a Madrid e da più di un anno lavora in un centro medico per i senzatetto: “Ufficialmente è per i clochard ma abbiamo persone molto diverse tra loro. A volte sono tossici che hanno una casa ma preferiscono non tornare per la situazione che li aspetta di scontro con la famiglia, abbiamo molti migranti che non sono nel circuito dell’accoglienza e non possono farsi nemmeno una doccia. In questo anno e mezzo ho imparato molto”. Anche Ilaria e Cecilia nella vita quotidiana svestono i panni del team medico e lavano, cucinano e fanno le guardie, entrambe senza mai perdere il sorriso.
Arriviamo a terra, vediamo la Sicilia dove a breve sbarcheremo. L’ultima sera è diversa dalle altre, siamo tutti in coperta a chiacchierare e a raccontarci di più, a dirci che se qualcuno di noi passa per Madrid, Londra, Roma, Barcellona o Valencia ha un divano, un letto o almeno una birra pagata e quattro chiacchiere da fare. Ogni missione è così, si condivide un’esperienza particolare ma che unisce. D’altronde se ci si pensa quello che avviene qua è qualcosa di strano: un gruppo di persone, tutti professionisti specializzati che si trovano su di un rimorchiatore di 35 metri in mezzo al Mediterraneo a pattugliare le coste libiche. Siamo tutti un po’ pazzi, ognuno a modo suo, però in questo mese abbiamo aiutato più di 100 persone, scortando, dando cibo e assistenza medica. Una bella follia insomma.