Open Arms, Lorenzo il cuoco di bordo racconta l’equipaggio: “Se non sono eroi loro, chi lo è?”
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Lui solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, quando la sua flotta
fu affondata. Nessun altro pianse?
Federico II vinse la guerra dei Sette Anni. Chi
vinse oltre a lui?
Ogni pagina una vittoria.
Chi cucinò la cena della vittoria? Ogni dieci anni un grande uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante vicende.
Tante domande.
Il cuoco in una nave è colui che si prende cura di tutti, senza distinzioni di ruolo.
Deve conoscere eventuali problemi, allergie. Deve sapere i gusti per orientare la sua cucina, soprattutto lavora sempre: i motori possono anche essere in stand-by ma a pranzo e a cena tutto l’equipaggio mangia.
“L’unica preoccupazione che avevo prima di imbarcarmi per la prima volta era legata al mare. Io al massimo avevo preso un traghetto per qualche ora. Così ho chiesto all’unico non marinaio che si era imbarcato sulle navi delle ONG e che avevo conosciuto poche settimane prima, Erri De Luca. Mi ha detto di andare e mi ha detto anche ‘Se lo fai, raccontalo'”.
Lorenzo Leonetti si racconta a cuore aperto, senza risparmiarsi. Con lui passo circa due ore, gli faccio compagnia mentre cucina dei pesci al forno.
“Ho avuto la fortuna di fare l’Erasmus a Timișoara, in Romania, un luogo abbastanza particolare per andare a studiare. In quella esperienza mi sono innamorato dell’idea di viaggiare e quando sono rientrato ho accettato un lavoro d’ufficio nella pubblica amministrazione per mettermi i soldi da parte e fare la scuola del Gambero Rosso. Doveva durare 3 o 4 mesi e invece sono rimasto la quasi un anno. Mi sono immerso in quel mondo ed è diventata la mia passione. Con questo lavoro posso girare il mondo”.
Infatti Lorenzo alla prima occasione utile torna nell’Est Europa e passa un anno a Budapest, facendo il cuoco ma soprattutto un’esperienza di vita. “Quando viaggi cresci, l’Erasmus fu già un momento di crescita e l’esperienza in Ungheria fu molto bella”.
Appena tornato lavora in un ristorante stellato del centro di Roma, uno di quelli esclusivi. “Vedevo persone straricche mangiare le cose che cucinavo ma quello che volevo fare era altro. Non era cucinare per chi si può permettere tutto ma farlo per chi cerca un luogo dove sentirsi a casa. Così ho deciso di aprire una trattoria al Quadraro, il Grandma, e di coniugare il mio lavoro all’attivismo dando lavoro a persone migranti”.
Il primo dipendente che ha avuto in cucina, come lavapiatti, è diventato prima cuoco e ora suo socio in un’altra esperienza, il Caffè Nemorense, che oltre ad essere un bar porta avanti attività culturali.
“Sono socio insieme alla persone della Cooperativa Barikamà che hanno sia dei campi dove producono e successivamente trasformano. E al Bar Nemorense diamo lavoro a molte persone, è un bel traguardo”.
Una vita tra le cucine e l’impegno sociale che oggi vede Lorenzo impegnato dalle 18:00 fino a tarda sera nella trattoria e la mattina a fare corsi di formazione per i neet, i giovani che non lavorano e non studiano. “La cosa bella è che si crea un melting pot tra i giovani della periferia romana figli di italiani, quelli figli di stranieri e gli stranieri arrivati da poco. Io non insegno a fare i piatti ma solo le tecniche di cucina, al resto ci pensano loro mescolando tutto”.
Lorenzo ferma il racconto e dice: “In uno di questi corsi ho conosciuto un ragazzo egiziano, arrivato via mare. Per sua fortuna non era passato dalla Libia quindi non ha subito le violenze come gli altri. Mi parlava del momento del soccorso come di un momento importante nella sua vita e così ho deciso di venire a vedere quello che succedeva”.
Valentina, la compagna di Lorenzo, si occupa da tempo di diritti umani ed era in contatto con Open Arms. In meno di due settimane Lorenzo si ritrova a bordo con un mix di sorpresa e ammirazione.
Sorpresa perché il primo impatto, causa ritardo del suo aereo, è stato di notte nella casa che Open Arms aveva in affitto a Malta.
“Sono entrato e c’erano tante persone che dormivano, sembrava un covo di pirati. Poi la mattina dopo ho capito che era tutto l’equipaggio che da lì a poche ore si sarebbe imbarcato. Sembrano un po’ pirati e un po’ hippie ma una volta salito a bordo ho capito che erano tutti professionisti, specializzati nel proprio settore e che avevano preso le ferie per venire a fare i volontari”.
Lorenzo la sua prima missione l’ha fatto a marzo 2018, quando l’autoproclamata Guardia Costiera Libica ha minacciato di sparare alla Open Arms dopo un soccorso, intimando all’assetto spagnolo di dirigersi verso il porto di Tripoli, contro ogni legge internazionale.
“So che a loro non piace essere chiamati eroi, e questo credo sia anche uno dei punti di forza, ma ho visto persone non muoversi davanti ai fucili puntati. L’unica cosa che hanno fatto è stata quella di dire alla radio: ‘Comandante non lasciamo la posizione, aspettiamo ordini dal ponte ma da qua non ci muoviamo’. Onestamente non ho mai visto tanta consapevolezza nel salvare vite”.
Quella missione si concluse a Pozzallo con un interrogatorio al comandante Marc Reig e alla capo missione Anabel Montes, a cui Lorenzo ha fatto da interprete con non poco imbarazzo.
“In quella missione abbiamo evacuato una bimba di pochi mesi che aveva la scabbia. Il mare era molto mosso e la Guardia Costiera Maltese non riusciva ad avvicinarsi. Quando hanno preteso di farsi passare la bambina da nave a nave, in modo pericoloso, uno dei nostri piloti delle lance, che di mestiere fa il pompiere, ha detto: ‘scendo io con il gommone’. Con lui andarono l’infermiera con la bimba in braccio e la capo missione per accompagnare la mamma, che ovviamente era molto impaurita. Quello che avrebbero dovuto fare dei professionisti lo hanno fatto i volontari, si sono presi il rischio di scendere con il gommone e il mare mosso, pur di tutelare quella bambina e la mamma. Se non sono eroi quelli che mettono a rischio la propria vita per quella degli altri, chi sono gli eroi?”.