Il Black Friday del patriarcato
Siamo al Black Friday del patriarcato. Nel clamore mediatico che si è alzato intorno all’efferato femminicidio di Giulia Cecchettin, al grido di “uomini tutti, fate mea culpa”, girano diffusamente meme social ancorati su generalizzazioni del male a tutti gli uomini, a cui corrisponde un’opposta pretesa di circoscrivere del tutto simili fatti ai soli rei. A tal proposito, me n’è capitato uno che recita che “Filippo non rappresenta tutti gli uomini come la Franzoni non rappresenta tutte le mamme”. Direi che non è così: bisognerà prima o poi ammettere che alcuni uomini Filippo li rappresenta, come pure bisognerà ammettere che c’è, in misura individualmente variabile, un po’ di Filippo in tutti gli uomini. Però con la stessa onestà dovremmo capire anche che alcune mamme la Franzoni le rappresenta, che c’è in varia misura anche un po’ della Franzoni in tutte le mamme…e anche che alcune donne sono rappresentate da Alessandra Galea (una donna che uccise il compagno), che c’è in varia misura un po’ di Alessandra Galea in tutte le donne.
Intendiamoci, questo non vuol dire affatto che si possa cassare la questione attraverso un relativismo all’acqua di rose che la risolve in un “pari e patta”: quando si parla di uccisioni, quella che va dagli uomini alle donne è la direzione della violenza largamente prevalente. Largamente prevalente, ma non unica. Per le altre forme di violenza (psicologica, verbale) è difficile quantificare le proporzioni, ma l’impressione è che a questi livelli ci sia meno sproporzione.
Voglio dire che la forzatura interpretativa di certi temi oggi di moda, la generalizzazione delle colpe a tutti i maschi, si basa su una percezione in gran parte ingannevole, isterica: ogni anno in Italia i femminicidi classificabili come tali (uomini che uccidono donne in una cornice di relazione di coppia guastata o pretesa) sono uno per un milione di abitanti. Almeno in senso statistico-quantitativo non si tratta di una pandemia di violenza, non ci sono picchi emergenziali; soprattutto se si guarda ai dati degli altri paesi e degli altri continenti. Questo non vuol dire che il problema non c’è: quelle vittime sono la punta dell’iceberg di una relazionalità malata. Malata per colpa del partiarcato? Solo per colpa del patriarcato? Direi di no: certamente è anche colpa del patriarcato ma non è solo colpa del patriarcato.
Il punto è che i rapporti di coppia, e le relazioni domestiche in generale, sono da sempre anche un luogo di violenza. Questa violenza ha varie forme e intensità, e una direzione che, seppure prevalentemente maschile, non è sempre a senso unico. Poi, in particolare, siamo sempre meno capaci di sostenere, riconoscere, sopportare l’altro, anche a causa del dilagare di una forma di soggettività sempre più narcisistica, proiettata sulla soddisfazione di un desiderio egoico di godimento in cui l’altro è ridotto ad accessorio, derubricato a gadget da indossare per addobbare la nostra sete di presenza. E questo a partire da un’antropologia delle emozioni e una pedagogia dei sentimenti che sono sempre più calate nell’alveo del consumo neoliberista. Qui se ci fossilizziamo a prendercela solo con il patriarcato ci priviamo della possibilità di comprendere che queste forme di violenza rimandano a un’articolazione più ampia di certe loro rappresentazioni monodimensionali.
Alcuni reati sono culturalmente condizionati, c’è un nesso di causalità tra il reato e il background culturale del reo, e in questo si sta iniziando a capire che l’indefinita nebulosa della semiosfera del patriarcato in qualche modo c’entra con certi fatti di sangue. Ma non è solo questione di patriarcato: fare del patriarcato uno spauracchio da agitare in generalizzazioni rivolte conto i maschi tutti, e in particolare contro i maschi bianchi, etero, occidentali (che già si vuole mettere in ginocchio per espiare le colpe del colonialismo, del razzismo, di tutto, come se l’Occidente avesse solo colpe e come se gli altri avessero solo meriti), serve più che altro da paraocchi. Tantopiù che se l’Occidente deve risolvere, tra i tanti suoi mali, anche il problema che ha con il patriarcato, sarebbe il caso di riconoscere che l’Occidente è probabilmente tra le società meno patriarcali della storia della nostra specie; se non forse proprio il luogo dove maggiormente si è sviluppata una possibilità di emancipazione femminile dal patriarcato.
Perciò, in linea di principio, mi pare che non bisognerebbe né generalizzare la colpa a intere categorie né circoscrivere la responsabilità sociale unicamente alla soggettività di chi commette i reati, per rimuovere in nessi di causalità culturale che sottostanno a certe condotte. Ma questo non vale solo per i femminicidi. E in tal senso dovremmo imparare a riconoscere la causalità culturale che sottostà anche a molte altre forme di violenza che funestano il nostro presente.