No peace no panel: un nuovo standard per la comunicazione in tempo di conflitto
L’appello “diamo voce alla pace” è un testo nato all’alba del conflitto in Ucraina (marzo 2022) firmato da Carlo Bartoli, presidente nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Beppe Giulietti, Art. 21, Daniele Macheda, segretario Usigrai, Vittorio Di Trapani (presidente FNSI), Tomaso Montanari, Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, Maura Gancitano, filosofa e scrittrice (e poi da Marco Travaglio, Peter Gomez, Lucia Goracci, Folco Terzani, Cecilia Strada, Ginevra Bompiani, Tiziana Ferrario, Simona Maggiorelli, Gianmichele Laino, Moni Ovadia, Franco Arminio, Nico Piro). L’appello era ed è rivolto ai media italiani, e recitava così: “la pace, a una settimana dall’inizio di questa crisi mondiale, latita. Latita sia negli studi televisivi, dove si costruiscono parterre senza la voce dei pacifisti, che sui giornali, così concentrati sulla narrazione del conflitto da aver dedicato all’annuncio della manifestazione nazionale per la pace di sabato nella Capitale solamente un pugno di righe. Il tutto si svolge poi in un clima nel quale, in piena contraddizione con l’articolo 21 della nostra Costituzione, caposaldo della libertà d’espressione, rischiamo di cedere alla facile tentazione di censurare qualsiasi opinione diversa da quella maggioritaria, col rischio di cadere nelle stesse trappole antidemocratiche che hanno portato la Russia di Putin all’inaccettabile gesto di invasione al quale abbiamo assistito”. Poi: “Al pari di quella bellica, dobbiamo quindi evitare un’escalation mediatica. Dobbiamo interrompere quella narrazione puramente tensiva che, ispirata da una legittima cronaca dei fatti, sta fertilizzando un terreno d’odio in grado di generare conseguenze incalcolabili”. E ancora: “C’è bisogno di dare più voce alla pace, abbassando i toni d’odio per lasciare spazio al dialogo, invitando i pacifisti in televisione, aprendo rubriche che interpellino la voce più che dei kingmaker, dei peacemaker, insomma facendo ciò che da sempre i giornalisti fanno: raccontare la complessità della realtà, con rispetto e responsabilità”.
Nella tavola rotonda online organizzata venerdì 3 marzo 2023, da Articolo 21 – con il presidente di FNSI, Vittorio Di Trapani, Beppe Giulietti (Art.21), un saluto di Carlo Bartoli, presidente Odg, e molti altri colleghi – sono emerse nuove e urgenti preoccupazioni in merito alla “no fly zone contro i pacifisti nelle redazioni”, particolarmente grave perché “se oggi non possiamo parlare di pace perché accusati di filoputinismo, domani di cosa non potremo parlare?”. E’ stata anche sottolineata l’importanza di uscire da un assurdo schema mentale per il quale “chi evidenzia una notizia che mette in cattiva luce l’Ucraina, sta automaticamente dalla parte della Russia”, al contrario invece “si può essere fermamente contrari all’invasione della Russia, fermamente vicini al popolo ucraino, e non per questo smettere di farsi delle domande ed esercitare il senso critico”. Il linguaggio giornalistico in tempo di conflitto “deve rimanere libero ma sempre vincolato ai doveri deontologici di continenza, evitando la pericolosa “disumanizzazione” del nemico, stigmatizzando alcuni tioli come “In trincea, aspettando gli orchi” (La Stampa) o la narrazione dei russi come “zombie”. Poi, prendendo spunto dalle parole del giornalista iraniano Ahmad Rafat ci si chiede “perché non si inizi a parlare anche di inviati di pace, oltre che inviati di guerra.
Nel pieno di quella che Papa Francesco ha definito una “terza guerra mondiale a pezzi”, il dibattito pubblico è animato quotidianamente dal tema della guerra (non più solo quella Ucraina, ma anche quella in Medio Oriente). Eppure, i rappresentanti dei movimenti nonviolenti non sono quasi mai interpellati, le associazioni pacifiste non compaiono quasi mai tra gli ospiti dei talk televisivi, l’analisi degli scenari è affidata quasi sempre alla voce unica degli analisti geopolitici se non direttamente a militari ed ex militati. Diventa così difficilissimo immaginare percorsi di pace, sviluppare un dibattito che informi i cittadini sulle alternative al bellicismo, stimolare la politica e la diplomazia a costruire quei tavoli e quei confronti necessari a far cessare i conflitti senza ulteriore spargimento di sangue.
La proposta nasce nell’ambito del panel organizzato dai sottoscrittori dell’appello “diamo voce alla pace” ad un anno dalla sua prima pubblicazione. L’idea viene subito accolta dai relatori e diventa parte dell’azione promotrice. “Da sempre l’informazione italiana è votata al pluralismo e all’equilibrio informativo, ma se in tempo di pace l’equilibrio si svolge nelle dinamiche tra maggioranza e opposizione, sindacati e imprenditori, procura e avvocati difensori e così via, in tempo di conflitto dobbiamo urgentemente rivedere i nostri schemi. In tempo di conflitto l’unico contraddittorio all’altezza della guerra: è la pace”. Così recita l’appello, che nel solco della mission Rai, individua un necessario adeguamento del concetto di pluralità delle voci e garanzia di contraddittorio, in un nuovo scenario mondiale nel quale i mezzi d’informazione di occupano per ore del tema della guerra. Uno standard necessario per una comunicazione pubblica all’altezza dei tempi che stiamo vivendo. Così al pari dell’iniziativa “No Women No Panel” – che su impulso dalla Commissione europea per una rappresentazione paritaria ed equilibrata nelle attività di comunicazione, è stata sottoscritta dalla Rai – si inaugura la campagna “No Peace No Panel” per una rappresentazione paritaria ed equilibrata delle opinioni sulla guerra nei dibattiti tv e non solo. Un nuovo decalogo che nasce nel tentativo di colmare le attuali carenze nel sistema informativo italiano.