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Strage Funivia Mottarone, Eitan torna a mangiare. Testimone: “Tadini mi disse ‘Prima che si rompa il cavo ce ne vuole'”

Immagine di copertina
Crollo della funivia Mottarone, sul lago Maggiore. Stresa, Verbania, 23 maggio 2021 ANSA/JESSICA PASQUALON

Tornano in libertà Nerini e Perocchio (il gestore dell'impianto e il direttore di esercizio). Ai domiciliari il caposervizio che secondo il tribunale di Verbania "incolpa gli altri per condividere il peso". Una testimonianza inguaia il caposervizio, ai domiciliari

Proseguono le indagini sul crollo della funivia Stresa-Mottarone del 23 maggio scorso che ha provocato la morte di 14 persone tra cui due bambini. Nella tarda serata di sabato 29 maggio la svolta inattesa: il gip di Verbania, Donatella Banci Bonamici, ha assestato un duro colpo all’indagine della Procura piemontese: i tre indagati – dispone – vanno rilasciati. Il gestore dell’impianto Luigi Nerini e il direttore di esercizio Enrico Perocchio sono stati scarcerati, il capo servizio Gabriele Tadini va agli arresti domiciliari.

Nerini, Perocchio e Tadini restano indagati per concorso in omicidio colposo plurimo e in lesioni colpose gravissime, falso in atto pubblico e rimozione dolosa di sistemi di sicurezza. La Procura aveva chiesto la conferma delle custodie cautelari in carcere, ma per il giudice per le indagini preliminari i tre possono tornare a casa. Nella sua ordinanza – emessa al termine di una giornata di interrogatori – il gip sostiene che non vi siano sufficienti elementi perché restino in carcere.

“Gravi indizi solo su Tadini”

“Allo stato iniziale delle indagini i gravi indizi di colpevolezza” che possano giustificare un provvedimento di custodia cautelare “sussistono unicamente nei confronti di Gabriele Tadini” (il capo servizio, ndr). Lo scrive il gip del tribunale di Verbania nell’ordinanza con cui ha disposto gli arresti domiciliari per il caposervizio della funivia del Mottarone.

Il punto cruciale sta nella responsabilità del blocco dei freni di emergenza che, dopo la rottura della fune traente, ha provocato il crollo della funivia. In sostanza il giudice ha creduto alle versioni fornite da Nerini e Perocchio e non a quella di Tadini.

Quest’ultimo, capo servizio della Stresa-Mottarone, ha raccontato di aver inserito il forchettone per bloccare i freni di emergenza dell’impianto e impedire così che l’impianto si fermasse malgrado le anomalie che erano state riscontrate. Tadini prima ha spiegato di aver agito in autonomia, poi ha detto di aver avvisato sia Nerini sia Perocchio. Il gestore e il direttore della funivia, da parte loro, hanno smentito di essere stati a conoscenza del blocco dei freni, che sarebbe stato invece deciso da Tadini a loro insaputa.

“Gli altri indagati? Suggestioni”

“Palese è, al momento della richiesta di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare, la totale mancanza di indizi a carico di Nerini e Perocchio che non siano mere, anche suggestive supposizioni“. Così la gip di Verbania, Donatella Banci Buonamici, nell’ordinanza che ha stabilito la libertà per Luigi Nerini, gestore della funivia del Mottarone, ed Enrico Perocchio, direttore di esercizio. Domiciliari invece per il caposervizio Gabriele Tadini perché “il già scarno quadro indiziario” è stato “ancora più indebolito”, secondo la giudice per le indagini preliminari.

La testimonianza di un operaio: “Il 26 aprile ordinò di disattivare i freni”

C’è poi la testimonianza di un operaio. È stato Gabriele Tadini a “ordinare” di mettere “i ceppi” per bloccare i freni di emergenza della cabina e la loro installazione era “avvenuta già dall’inizio della stagione”, il “26 aprile“, quando l’impianto tornò in funzione dopo le restrizioni anti-Covid. Lo ha spiegato un dipendente della funivia sentito come teste nelle indagini dei pm di Verbania, spiegando che il tecnico ordinò di “far funzionare l’impianto con i ceppi inseriti”, a causa delle anomalie al sistema frenante non risolte, “anche se non erano garantite le condizioni di sicurezza necessarie”.

Interrogato dal gip, Tadini aveva ammesso di aver messo il ceppo blocca freno, e di averlo fatto altre volte. Difeso dall’avvocato Marcello Perillo, l’uomo ha spiegato che le anomalie manifestate dall’impianto non erano collegabili alla fune ed ha escluso collegamenti tra i problemi ai freni e quelli alla fune. “Non sono un delinquente. Non avrei mai fatto salire persone se avessi pensato che la fune si spezzasse“.

Non salirei mai su una funivia con ganasce, quella di usare i forchettoni è stata una scelta scellerata di Tadini”, ha detto al gip Enrico Perocchio, secondo quanto riferito dal suo legale, avvocato Andrea Da Prato. Poi lasciando il carcere: “Sono contento di tornare dalla mia famiglia, ma sono disperato per le quattordici vittime”. “L’errore è stato mettere i forchettoni per ovviare ad un problema che si sarebbe risolto – ha aggiunto -. Se avessi saputo che erano stati messi non avrei avvallato la scelta, in carcere stavo male per le persone mancate e per la mia famiglia”.

Dalle dichiarazioni dei dipendenti della funivia del Mottarone, tutte riportate nell’atto, “appare evidente il contenuto fortemente accusatorio nei confronti del Tadini”, il caposervizio dell’impianto, perché “tutti concordemente hanno dichiarato che la decisione di mantenere i ceppi era stata sua, mentre nessuno ha parlato del gestore o del direttore di servizio”, ha scritto il gip di Verbania nell’ordinanza con cui ha disposto i domiciliari per Tadini e ha rimesso in libertà gli altri due fermati, spiegando che quelle dichiarazioni “smentiscono” la “chiamata in correità” fatta da Tadini.

“Tadini mi disse, prima che si rompa il cavo ce ne vuole”

Prima che si rompa una traente o una ‘testa fusa’ ce ne vuole”. Lo avrebbe detto Gabriele Tadini, caposervizio della funivia del Mottarone, a un altro dipendente, come messo a verbale da quest’ultimo. Lo si legge nell’ordinanze del gip. Quando il tecnico gli “ordinò di non rimuovere il ceppo dalla cabina 3” un giorno, l’altro gli chiese, stando al verbale, se la cabina potesse viaggiare “con persone a bordo e ceppo inserito”. A quel punto, stando al racconto del testimone, Tadini avrebbe replicato che prima che si rompa un cavo traente, quello che si spezzò poi il 23 maggio, “ce ne vuole”.

“Assolutamente non la vivo come una sconfitta sul piano investigativo, anche perché l’aspetto più importante è che il giudice abbia condiviso comunque la qualificazione giuridica dei fatti”. Lo ha spiegato, intervistata da Radio Veronica One, la procuratrice di Verbania Olimpia Bossi, dopo che il gip ieri ha scarcerato i tre fermati per l’incidente della funivia del Mottarone. Per Gabriele Tadini, a cui è stata applicata la misura dei domiciliari, sono stati riconosciuti “proprio i reati così come noi li avevamo qualificati”, ossia l’omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro e gli omicidi colposi.

A breve potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati anche altri dipendenti della società che gestisce la funivia del Mottarone. “Valuteremo in che termini sapevano dell’uso dei forchettoni”, ha detto Bossi, e “valuteremo se hanno consapevolmente partecipato o se si sono limitati ad eseguire indicazioni provenienti dall’alto”. L’indagine prosegue poi per capire come si è rotto il cavo: “quando saremo in grado di fare gli avvisi avendo un quadro chiaro di tutte le persone e società da coinvolgere le coinvolgeremo negli accertamenti tecnici”.

Eitan migliora e comincia a mangiare

Nel frattempo arrivano buone notizie dall’ospedale Regina Margherita di Torino dove è ricoverato Eitan, il bambino di 5 anni unico sopravvissuto alla strage del Mottarone. Il piccolo ha cominciato a mangiare. “Le condizioni di Eitan – dicono i medici – sono in significativo miglioramento anche se la prognosi rimane riservata. Per la prima volta ha potuto assumere alimenti morbidi e leggeri”. Il bimbo rimane in Rianimazione per precauzione. Se non ci saranno complicazioni nei prossimi giorni verrà sciolta la prognosi. Accanto a sé ha sempre la zia Aya e la nonna arrivata da Israele nei giorni scorsi.

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