Quei morti di freddo che non rientrano in nessun bollettino Covid
Aveva acceso una candela per scaldarsi Marian Barzyczak, 61enne di origine polacca, ormai da tempo insieme alla compagna inquilino stabile della torretta in disuso di piazzale del Verano, a Roma. Dapprima il fuoco per ripararsi dal freddo, d’improvviso il rogo nel riparo rabberciato la notte del 3 gennaio scorso, poi la morte dopo nove giorni di agonia.
“Una morte ignobile, prevedibile e sicuramente evitabile”, afferma Maria Tridico, presidente dell’associazione Assobus onlus, impegnata nel supporto degli ustionati. “Marian – sottolinea – è morto di freddo, non per le ustioni. All’alba del 2021, nella grande e immensa Roma, si muore ancora di freddo”. Nella Capitale Marian non è l’unico a perire in queste condizioni. Lui è solo un anello della catena di vittime di queste settimane. Da inizio anno sono cinque i decessi tra i senza fissa dimora registrati a Roma. Dallo scorso novembre sarebbero undici, secondo i calcoli di Sant’Egidio. L’ultimo nella mattinata di oggi. Come Roma anche Milano: tre decessi nelle ultime settimane, di cui uno nel pavese. E poi ancora Firenze con due morti, Genova, Napoli, Salerno. Si snoda per le principali città italiane la conta delle vittime “dell’emergenza freddo”.
Più che un’emergenza, una drammatica consuetudine: la gelata invernale arriva puntuale ogni anno, e così le morti tra i senzatetto, senza che siano registrate in alcun bollettino. Già negli scorsi mesi, la comunità di Sant’Egidio e la Caritas avevano chiesto al Comune di Roma, alla Prefettura e alla Regione Lazio di programmare spazi di accoglienza straordinari per l’arrivo del freddo invernale, ma le istituzioni hanno risposto con un piano freddo che non appare sufficiente a contenere gli effetti della gelata di questi giorni. È quanto rivendicano anche le associazioni riunite nel progetto “Akkittate”, nato a Roma da un’iniziativa di Arci Pianeta Sonoro per sostenere i senzatetto.
“Il freddo non è un’emergenza come il virus – affermano – Le stagioni sono cicliche e gennaio con i suoi zero gradi arriva ogni anno. È evidente che il piano freddo non stia dando i risultati sperati se ad oggi contiamo già undici morti”. Per questo i volontari, ogni sabato già a partire dalla prima ondata pandemica, scendono in strada portando cibo caldo, vestiti e generi di prima necessità ai senza fissa dimora di Termini, piazza Vittorio, Tiburtina, Pigneto, San Lorenzo, Ostiense. È un percorso corale, sostenuto da una rete di associazioni sin dalla scelta dei beni da consegnare: i Gas (gruppi di acquisto solidale) acquistano dai piccoli produttori; poi i volontari – una cinquantina di persone ogni sabato sera – partono in contemporanea portando 250 pasti ai senzatetto delle zone coperte.
“Non è solo il pasto o la coperta – afferma Davide Conte, presidente di Arci Pianeta Sonoro – ma è il riconoscimento dell’altro: per strada incontriamo persone che hanno perso il lavoro a partire da marzo e sono scivolate sul marciapiede, migranti venuti in Italia a cercare fortuna, altri in transito e bloccati qui per il Covid; abbiamo incontrato ex panettieri, muratori, sarti, lavapiatti. Tutta gente abbandonata dalle istituzioni. La scorsa notte intorno alle tre in via Marmolada abbiamo trovato un ragazzo in ipotermia: aveva solo un giubbino primaverile, tremava senza fermarsi. Abbiamo chiesto l’intervento della sala operativa sociale apposta dal Comune. Ci hanno risposto di chiamare l’indomani perché ormai era tardi”.
È proprio la denunciata negligenza delle istituzioni ad aver dato la stura alle mobilitazioni di questi giorni. Dopo un sit-in di protesta in piazzale di Conca d’oro e una petizione lanciata dall’associazione Nonna Roma, l’assemblea capitolina ha votato a maggioranza una mozione che impegna la giunta ad aprire le stazioni metro ai senza fissa dimora. “Ma ad oggi non c’è stata alcuna apertura. La risposta istituzionale è del tutto insufficiente”, afferma Alberto Campailla, dell’associazione Nonna Roma.
“La città è piena di edifici chiusi e inutilizzati, a maggior ragione con il covid che ha aggiunto alberghi e altre strutture comunali al bacino degli edifici già potenzialmente in grado di sopperire all’emergenza in corso”. Proprio Federalberghi, per bocca del presidente Giuseppe Roscioli, ha aperto alla possibilità di ospitare i senzatetto, ma ad oggi risulta ancora in attesa di una chiamata.
“Noi abbiamo sempre dato disponibilità per ogni emergenza”, afferma Roscioli a TPI. “Lo abbiamo fatto anche stavolta, ma non abbiamo ricevuto risposte. Chiaramente qualora si facesse avanti qualcuno dovremmo discutere i termini dell’accordo a livello di protocolli e indennizzi, che variano a seconda delle esigenze degli ospiti e dunque del tipo di assistenza che si ritiene necessaria. Lo abbiamo detto settimane fa, lo ribadiamo oggi: noi siamo disponibili, ora l’amministrazione si faccia sentire”.
La risposta del Campidoglio arriva da Veronica Mammì, assessora alla persona, scuola e comunità solidale della giunta Raggi. “In base a un’indagine di mercato fatta già in precedenza dal Dipartimento politiche sociali tra gli albergatori romani – spiega a TPI – è risultato un costo indicativo di circa 60 euro per ogni persona senza dimora ospitata. Una ipotesi di questo tipo porterebbe a spendere circa il doppio rispetto alle strutture che abbiamo attualmente in piedi. Ciò detto, nonostante l’Amministrazione abbia appreso dell’appello di Federalberghi a mezzo stampa, saremo noi a sollecitare l’invio di una proposta in tal senso”.
Sull’apertura delle stazioni, invece, c’è ancora da attendere: “La fattibilità è in corso di valutazione sulla base delle norme di prevenzione sanitaria che si dovrebbero applicare. Tutti gli ingressi nelle strutture di accoglienza sono subordinati a uno screening specifico e così deve essere anche per l’apertura notturna delle stazioni della metro. L’impegno dell’Amministrazione è massimo e costante per aumentare i posti di accoglienza. Proprio ieri abbiamo superato i 1200 posti attivi. Tengo sempre a ringraziare le molte associazioni che con i fondi capitolini gestiscono le strutture di accoglienza e le mense sul territorio cittadino. Fare rete è fondamentale e il Comune non ha mai fatto mancare impegno e azioni concrete”.
Nel frattempo, i residenti del rione Esquilino hanno diffidato il Comune a “ripristinare il decoro”; sotto i portici di piazza Vittorio, dove si rifugiano i senzatetto in assenza d’alternative. “Più che di decoro, bisognerebbe parlare della dignità e della salvaguardia delle persone”, chiosa Davide Conte. Intanto Nonna Roma, con l’aiuto della comunità di Sant’Egidio e la Caritas, ha aperto un centro notturno ad Ostiense ed uno al Pigneto, per tamponare l’effetto dell’abbassamento delle temperature ed evitare la conta di altri morti nelle prossime settimane. Anche a Milano, al momento, sono i volontari a colmare le lacune delle istituzioni. Nonostante il piano freddo sono tre le morti registrate tra i senza fissa dimora tra fine dicembre e inizio gennaio. Tanti, invece, i buchi amministrativi nella gestione dell’assistenza ai senzatetto denunciati dalle associazioni.
“L’amministrazione comunale non si vede, c’è un piano ma non è funzionale. La trafila al Casc (centro aiuto stazione centrale) è lunga, e molti senzatetto sono appesi soltanto agli aiuti forniti dai volontari”, spiega Alessandra Capone, dell’associazione Mutuo Soccorso di Milano. “In strada c’è stato un aumento esponenziale di persone: molti italiani, moltissime donne e anche coppie che prima vivevano in appartamento. Superiamo lo stereotipo del clochard che ha scelto di vivere per strada: la stragrande maggioranza è gente sprofondata nella povertà a causa della crisi”. È questa la fotografia impietosa restituita anche dall’ultimo rapporto povertà della Caritas, da cui emerge l’aumento dell’incidenza dei nuovi poveri, passata dal 31 per cento al 45 per cento, e l’impennata di richieste. Uno su due, infatti, chiederebbe aiuto per la prima volta.
È così che il Mutuo soccorso – con l’aiuto di altre realtà locali – ha lanciato l’operazione Drago Verde, in sostegno dei senzatetto. Le zone coperte, per ora, sono tre: San Babila, Lambrate e Stazione Centrale, anche con il supporto dei ragazzi del Liceo Vittorio Veneto. Una rete di supermercati aderisce al sistema della spesa solidale; cibo, vestiario, coperte e altre donazioni vengono raccolte in magazzino e smistate ai volontari che operano in strada. Anche qui l’obiettivo è anzitutto instaurare un rapporto fiduciario con i senzatetto per intercettare i bisogni di ciascuno, ma il soccorso – è questa la denuncia principale – è complicato dall’assenza di collaborazione delle strutture istituzionali. “Abbiamo scoperto con rammarico che le tende che noi consegniamo ai senzatetto per consentire una minima protezione contro il freddo sono state requisite dall’Amsa, il servizio di raccolta rifiuti di Milano. Noi diamo, loro tolgono. Gli aiuti sono sempre a carico dei volontari e a volte osteggiati dalle istituzioni. Una delle scorse notti abbiamo soccorso un senzatetto in stazione centrale finito in ipotermia. Al momento è in ospedale. Un altro si è dato fuoco. Ci chiediamo, il comune di Milano in tutto questo, dov’è?”.
Contattato da TPI, l’assessore alle politiche sociali e abitative di Milano, Gabriele Rabaiotti, risponde alle critiche avanzate dalle associazioni territoriali. “Da parte dell’amministrazione c’è sempre stato grande interesse per i senzatetto. I rallentamenti sono dettati dalla pandemia in corso e dalla necessità che chi entra nelle strutture si sia sottoposto a tampone risultato negativo. Queste procedure è possibile che abbiano scoraggiato alcuni a presentarsi al Casc, ma – continua – da qui a imputare i tre morti alle necessarie accortezze richieste non mi sembra immediato. Non eravamo a conoscenza del ritiro delle tende fornite dalle associazioni: non è novità di quest’anno che ci siano atteggiamenti che tendono a scoraggiare le soste in alcuni posti della città e può essere nei fatti che Amsa ogni tanto faccia un intervento un po’ brusco. Dico una cosa: in presenza d’alternative non è bello per la salute loro e per la salute di tutti che si ostinino a stare in certi luoghi, in particolare quando questi luoghi siano visibili, esposti e di grande transito. Detto questo, non sono diventato un fautore di queste misure di ‘pulizia’, e uso questo termine nel senso più laico possibile, ma questo tema oggi diventa più ingombrante. Io mi sono sempre mosso per l’ospitalità e l’accoglienza e le misure dell’amministrazione sono orientate in questa direzione”.
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