Minorenne vittima di stupro e incinta: quali tutele? Quali conseguenze?
A Busto Arsizio una 11enne vittima di stupro ha dato alla luce un neonato. Che ora è stato affidato a un’altra famiglia. Per la minore il trauma potrebbe essere irreparabile. Il suo caso fa emergere i limiti del sistema di norme e prevenzione
«Difficile dire quello che sta sperimentando e ha sperimentato questa ragazzina di 11 anni – età che soprattutto nell’epoca moderna significa ancora non essersi distanziata dagli orizzonti culturali dell’infanzia – in un periodo in cui noi tradizionalmente ci affidiamo ad altre figure adulte che dovrebbero tutelarci. Qui è evidente che la dimensione di tutela e sicurezza è venuta meno. Ciò che la ragazzina soffre è il fatto di essere stata lasciata andare, esposta a una dimensione di rischio di cui ha già fatto le spese. La bambina, allora, a 10 anni, se non è vissuta in un contesto troppo compromesso, si poteva aspettare di essere protetta. Anzitutto dalla violenza, da una persona che ha potuto esercitare una forma di abuso senza che intervenissero meccanismi di protezione. E poi la gravidanza, un altro grande tema. Una gravidanza portata avanti. C’è da domandarsi seriamente come questa ragazzina abbia potuto vivere quel tempo lungo».
Quanto una bambina di 11 anni può scegliere effettivamente di avere una gravidanza?
«Questo non lo sappiamo. Non ci è noto. Che cosa abbia potuto capire quella particolare ragazzina, con la sua storia, se abbia potuto fare proprio qualcosa di quello che stava succedendo e di quello che sarebbe successo dopo. Incluso il fatto che il bambino che sarebbe nato da questa gravidanza lei non lo avrebbe potuto conoscere, crescere, seguire. Cosa questa ragazzina ha potuto sentire di quello che le stava succedendo? Sicuramente una ragazzina di 11 anni ha qualche strumento per capire cosa le sta capitando, ma affrontare una gravidanza a 11 anni? Avrà potuto costruirsi una rappresentazione molto semplificata di quello che le stava succedendo, di quel qualcosa di ingovernabile che cresceva nel suo corpo. Questo non significa che per esempio non abbia potuto avere paura o instaurare un legame affettivo con il bambino che sapeva che avrebbe generato. Questo noi non lo sappiamo. E’ piuttosto sorprendente che questa gravidanza sia stata portata a termine, questo sì. Per cui c’è da interrogarsi sul processo decisionale.
Se c’è qualcosa che può provocare un trauma nella storia di un essere umano, questa è la violenza sessuale. Ci sono altre forme di violenza che producono effetti devastanti dal punto di vista psicologico, ma la violenza sessuale, soprattutto se esercitata in giovanissima età a volte produce addirittura l’interruzione dei processi di pensiero. Un bambino violentato spesso non riesce più a pensare, si evidenziano dei veri e propri ritardi dello sviluppo cognitivo».
Cosa pensa di un’opzione alternativa, ossia l’aborto al quarto mese?
«Poteva essere valutata, certo, perseguendo il principio del superiore interesse della minore. Apparentemente l’interruzione volontaria di gravidanza in questo caso poteva essere un elemento di tutela. Ma perché? Perché non ci sarebbe stato tutto quel tempo. Nove mesi passati in una situazione che per una ragazzina di quella età non può essere totalmente pensabile. E ciò che non può essere pensato genera il trauma. Il trauma fa diventare il soggetto sintomatico perché non riesce a essere metabolizzato dalla psiche dell’individuo. L’evento traumatico, così, torna in varie forme nella storia di vita della persona. Non lo lascia dormire, si presenta in forma di incubi, di pensieri intrusivi durante la veglia, di sintomi somatici, in alcuni casi perfino con fenomeni simili ad allucinazioni. Tutto questo sempre perché il soggetto non riesce a metabolizzare quell’esperienza. Quindi mi chiedo: questa bambina di 11 anni in tutto il tempo della gravidanza che cosa avrà sentito, che cosa sarà riuscita a pensare?
Se non è riuscita, come è probabile, a rendere pensabile quello che le stava succedendo, ogni giorno di quella gravidanza è stato un trauma che, a strati, si sono sovrapposti l’uno all’altro. Allora penso che ridurre il tempo di quella stratificazione del trauma avrebbe potuto proteggere quella ragazzina. Questo senza evocare gli altri eventi che ha dovuto subire, come il parto cesareo e l’abbandono forzato del bambino. E’ naturale pensare che una scelta diversa potesse essere più tutelante per la minore. Fatto salvo che una vera analisi del caso si può fare solo con l’incontro soggettivo con quella particolare ragazza.
Non si può dire in assoluto che sia stata una scelta sbagliata portare a compimento la gravidanza, ma in astratto, sembra più traumatico così. Partirei dal presupposto che è necessario indagare da dove sia venuta la scelta di tenere il bambino, il che definisce tutto l’orizzonte delle tutele».
Il caso, data l’età della ragazzina, è molto delicato e particolare.
«Ho seguito molti casi, dai 14 anni in su, in situazioni simili. Mi chiedo: se una ragazza di 14 o 15 anni, molto più strutturata di una bambina di 11, non riesce a pensare al frutto di una violenza che si trasforma in una realtà che si ripete ogni giorno, può farlo una bambina di 11 anni?
Mi chiedo se un’eventuale interruzione di gravidanza al quarto mese potesse essere considerata alla stregua di un aborto terapeutico, nel caso, non peregrino, in cui il sistema giudiziario dovesse intervenire e porre delle protezioni intorno a questa ex bambina che ha dovuto crescere troppo presto. E’ una grande domanda in cui rientra il rispetto delle leggi. La mia esperienza mi porta a esprimere grande fiducia nei confronti dei nostri tribunali, dove lavorano persone straordinarie che sanno assumersi ogni giorno grandi responsabilità. L’istituzione surroga, fa da protesi, supporta. E risponde a domande scomode, anche sull’opportunità, per questa ragazzina, di portare avanti una gravidanza difficile. Sarebbe stato doveroso. Almeno poterselo chiedere».