La Milano post-Coronavirus avrà poche auto e aria pulita: il piano di Sala
La Milano post-Coronavirus avrà poche auto e aria pulita: il piano di Sala
Ancora non è iniziata la fase 2 ma Milano già pensa alla vita post-Coronavirus. Il capoluogo lombardo ha annunciato oggi l’introduzione del piano “Strade aperte“, presentato come uno degli schemi più ambiziosi d’Europa per ridurre l’uso dell’automobile dopo il lockdown e per implementare gli spazi dedicati a biciclette e pedoni, garantendo il requisito minimo per una nuova normalità: il distanziamento sociale. Più piste ciclabili, corsie preferenziali per gli autobus e contapasseggeri: così la città ripensa alla mobilità urbana dopo il Covid.
Milano è tra le città più inquinate d’Europa. Secondo il report annuale di Legambiente sull’inquinamento atmosferico “Mal’aria”, solo nelle prime tre settimane del 2020 Milano ha superato ben 19 volte i valori limite di polveri sottili (PM10). La regione Lombardia, tra le zone maggiormente colpite dall’epidemia di Coronavirus, non figura meglio nei ranking, anzi. Numerosi studi sostengono una correlazione tra l’inquinamento dell’aria e la facilità di propagazione del virus. Come riporta Ansa, lo smog, pur non trasportando il virus, sembrerebbe avere un ruolo di “amplificatore” peggiorandone l’infiammazione, laddove i nostri polmoni sono già messi a dura prova dall'”aria cattiva”.
Cerchi sui pavimenti di metro e tram: le idee di Sala
Sotto il blocco nazionale però, la congestione del traffico è diminuita fino al 75 percento, e di conseguenza anche l’inquinamento atmosferico. E nella città che non si ferma mai, oggi l’amministrazione comunale inizia già a pensare a come riorganizzare i trasporti pubblici, spingendo i cittadini ad abbandonare sempre di più l’utilizzo dell’automobile in futuro. Per capire quali potrebbero essere i modelli di mobilità da applicare nella fase 2 i Comuni attendono indicazioni dal Governo. Ma nel frattempo l’amministrazione di Sala sforna idee a raffica come limitare l’accesso alle stazioni con l’utilizzo di contapasseggeri o disegnare cerchi sui pavimenti della metrò o del tram per assicurare il distanziamento.
“Strade aperte” per una Milano diversa
In quest’ottica è stato annunciato, martedì 21 aprile, il piano Strade Aperte: piste ciclabili temporanee a basso costo, marciapiedi nuovi e ampliati, limiti di velocità di 30 km/h e strade prioritarie per pedoni e ciclisti. 35 km di strada si trasformeranno nel corso dell’estate: una rapida e sperimentale espansione in tutta l’area metropolitana degli spazi dedicati a pedoni e in biciclette. “Vogliamo riaprire l’economia, ma dobbiamo farlo su una base diversa da prima” ha detto l’assessore alla mobilità e ai lavori pubblici, Marco Granelli. “Dobbiamo immaginare Milano in una maniera diversa – afferma Granelli. – E quando tutto sarà finito, le città che avranno fatto questo passo avranno un vantaggio, e Milano vuole essere in questa categoria”.
Grazie alla sua configurazione Milano si presta molto a questa trasformazione: vi sono solo 15 km che separano un capo e l’altro della città, dove vivono 1,4 milioni di persone. Secondo i dati il 55 percento dei cittadini utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro, il pendolarismo medio è inferiore ai 4 km e questo agevola per molti residenti il passaggio dall’auto a modalità di spostamento attivo come la bicicletta. I lavori potrebbero iniziare da corso Buenos Aires, una delle vie centrali dello shopping cittadino, con una nuova pista ciclabile di 8 km e marciapiedi ampliati già all’inizio di maggio. Il resto dei lavori sarà completato entro la fine dell’estate.
“Invece di pensare al futuro, dobbiamo pensare al presente”
Nonostante l’avvicinamento della fase 2 e l’uscita graduale dal lockdown è necessario fare i conti con il fatto che “per mesi o forse per un anno ci sarà una nuova normalità, e dobbiamo creare delle buone condizioni per vivere questa nuova normalità per tutti” ha detto l’assessore all’urbanistica Pierfrancesco Maran. “Nel prossimo mese saremo costretti ha decidere una parte del nostro futuro per il prossimo decennio. Prima progettavamo per il 2030, ora la nuova fase la chiamiamo 2020: invece di pensare al futuro, dobbiamo pensare al presente“.
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