“Mi licenzio. Così non si può più andare avanti”. Storie di medici stremati dal Covid
“Ho chiesto un congedo ma ho deciso, lascio la sanità pubblica. Così non è più possibile andare avanti“. Maria è un medico. Uno di quei “medici eroi” che ogni giorno vivono l’inferno del Covid nei reparti degli ospedali pubblici stremati dopo turni di lavoro massacranti. “Da tempo assisto a scelte che compromettono l’efficacia del nostro lavoro”, continua la specialista nel suo racconto tagliente a Repubblica.
Sono profondamente sconfortati i medici e gli infermieri per quello che si sarebbe potuto fare nei mesi estivi “di apparente tranquillità” e non è stato fatto. Questa volta c’era il tempo di prepararsi all’arrivo della seconda ondata. “Siamo sfiniti e adirati. Il reparto dove lavoro è diventato Covid e non lo era durante la prima ondata, ma nessuno questa estate ha pensato di organizzare qualche corso di formazione per insegnarci un mestiere che non sappiamo fare. Allora il disagio era accettabile, ora no. Tutto era totalmente prevedibile, inutile raccontarcela. Se ci fosse stata una pianificazione durante i mesi di tranquillità adesso saremmo più sicuri, non avremmo addosso questa sensazione di costante incertezza”.
Le decisioni, dice il medico ancora a Repubblica “non sono prese di giorno in giorno, ma di minuto in minuto. Respingo questa idea dell’emergenza e sono certa che a pensarla come me sono tutti i miei colleghi”. “Chi non è ammalato di Covid è molto arrabbiato, deve rinunciare a visite e esami, in molti casi gli stessi che erano stati annullati mesi fa. Un diritto negato che genera intolleranza. Io capisco la loro rabbia. I pazienti Covid invece sono lì spaesati, le cure sono certamente garantite ma la modalità è quella di una maxi-emergenza, con standard che sarebbero scarsamente accettabili in una condizione ordinaria”. E conclude: “La nostra è una professione. Siamo chiamati a una grande responsabilità a cui non ci siamo mai sottratti, ma non siamo missionari“.