“Fermatevi e negoziate”: Arci e Acli spiegano perché scendono in piazza per la pace in Ucraina
"Solo la diplomazia può salvarci dal disastro nucleare": ecco le ragioni di chi manifesta per la pace
Parlarsi anziché spararsi contro. Cercare una soluzione diplomatica almeno con la stessa forza con cui finora è stato armato il conflitto. Non arrendersi all’ineluttabilità della guerra. Mai. Con la consapevolezza che l’aggressore russo e l’aggredito ucraino non sono certo sullo stesso piano, ma anche che esacerbare lo scontro non giova a nessuno, ma anzi può condurci tutti verso il punto di non ritorno del disastro nucleare. È da questo appello che prenderà il cammino la Manifestazione nazionale per la Pace in programma oggi, sabato 5 novembre a Roma, organizzata dalla rete “Europe for Peace”, a cui aderiscono centinaia di associazioni fra cui Acli, Arci, la Comunità di Sant’Egidio, Emergency, i ragazzi del Fridays for Future e i sindacati Cgil, Cisl e Uil.
Il torto e la ragione
Nel corteo da piazza della Repubblica a piazza San Giovanni in Laterano non ci saranno bandiere di partito, ma sono attesi alcuni leader politici come Giuseppe Conte ed Enrico Letta e diversi esponenti di Movimento 5 Stelle, Pd, Sinistra Italiana e Unione Popolare (nessuno di loro, però, interverrà sul palco allestito a piazza San Giovanni).
In quelle stesse ore, davanti all’Arco della Pace di Milano, si terrà un presidio pro-Ucraina, promosso dal Terzo Polo per marcare la distanza rispetto alla mobilitazione capitolina: manifesteremo, spiega Carlo Calenda, «contro la resa di Kiev, perché chiedere lo stop dell’invio delle armi non vuol dire favorire la pace, ma consegnare l’Ucraina agli aggressori russi».
Una lettura che gli organizzatori del corteo di Roma respingono con forza: «In questa guerra è chiarissimo dove sta il torto e dove la ragione», chiarisce a TPI Sergio Bassoli, coordinatore della Rete Italiana Pace e Disarmo. «È evidente che siamo in presenza di una palese violazione del diritto internazionale da parte della Russia ed è ovvio che occorre stare dalla parte dell’aggredito e sostenerlo nella difesa. Ma se ci fermiamo a questa analisi non andiamo da nessuna parte».
«Qui – osserva Bassoli – non si tratta di stabilire chi ha torto e chi ragione, questo è già chiaro: il punto è cosa fare. Se diamo per assunto che la politica non è in grado di fermare la guerra, allora possiamo anche rassegnarci al disastro nucleare. Se invece il conflitto atomico vogliamo evitarlo, allora dobbiamo prendere atto che la guerra non è la soluzione». Nella piattaforma alla base della manifestazione per la Pace, che le organizzazioni aderenti hanno affinato per settimane soppesando ogni singola parola, dopo aver precisato da quale parte si sta («Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime»), si lancia un monito: «È urgente lavorare ad una soluzione politica del conflitto».
Un’istanza davanti alla quale l’obiezione ricorrente è: ma com’è possibile arrivare a un accordo, se Putin e Zelensky non hanno alcuna intenzione di concedere un centimetro? Risponde Bassoli: «Tocca alla comunità internazionale affidare un mandato pieno alle Nazioni Unite, cioè a una parte terza, affinché metta in campo tutta la forza della diplomazia e della politica per un cessate il fuoco e faccia sedere attorno a un tavolo i contendenti dando corso a un negoziato». Che poi è anche la posizione espressa più volte in questi mesi da Papa Francesco («L’unica cosa ragionevole da fare sarebbe fermarsi e negoziare»).
Tabù sfatato
Raffaella Bolini, membro della presidenza di Arci, la spiega così al nostro giornale: «Il diritto internazionale, che, ricordo, è l’alternativa che abbiamo alla barbarie, riconosce ai Paesi invasi il diritto alla resistenza, ma allo stesso tempo impone alla comunità internazionale di intervenire il prima possibile per ristabilire la pace e la sicurezza». «È evidente – dice – che i negoziati si fanno fra nemici e a partire da condizioni molto distanti fra loro, altrimenti non ci sarebbe nemmeno bisogno di trattare… La mediazione internazionale serve proprio a esercitare pressione da una parte e dall’altra affinché si arrivi a una soluzione la più giusta possibile». «Noi pacifisti siamo sempre dalla parte delle vittime – prosegue Bolini – e quindi oggi stiamo con gli ucraini, ma il punto è come ci si sta. Tutti i governi europei stanno aumentando a dismisura le spese militari, come se la soluzione migliore per garantire la nostra sicurezza fosse armarci fino ai denti. Una follia, un arretramento sul fronte della civilizzazione». Al punto che è stato infranto anche il tabù del ricorso alle armi nucleare, dagli avvertimenti minacciosi del Cremlino al presidente americano Biden che non esita a paventare il rischio «Armageddon».
«Se ne parla con troppa facilità», riflette amaro il presidente di Acli, Emiliano Manfredonia. «Alla bomba atomica si è sempre fatto riferimento come strumento di deterrenza, invece oggi viene citata come possibile arma per sbloccare una situazione. Sembra si stia davvero andando in quella direzione, è preoccupante».
Non chiamateci putiniani
«La nostra piattaforma – fa notare il presidente di Acli a TPI – non offre una soluzione ma una prospettiva: la prospettiva di una pace giusta. Tuttavia purtroppo oggi gli unici canali di dialogo aperti sono quelli fra generali per trattare di scambi di prigionieri: finora non ho visto sul fronte della diplomazia lo stesso impegno che c’è stato sul fronte delle forniture di armi». E vale anche per l’Italia: «Quello che critico nell’azione del governo è essersi impuntato solo sul sostegno militare. Lo Stato italiano, anche per i suoi tradizionali rapporti con la Russia, avrebbe potuto giocare un ruolo dal punto di vista negoziale. E invece qui sembra che parlare di trattativa equivalga a cedere la testa a Putin. Non è così: parlare di negoziato significa fermare le atrocità di oggi».
Pacifista, insomma, non fa rima con putiniano: «Abbiamo vissuto molto male le accuse che ci sono state rivolte in questi mesi», racconta Manfredonia. «Si è creata una frattura amplissima nell’opinione pubblica e in questo la politica si è dimostrata spesso irresponsabile. Chiedere la pace non significa darla vinta a Putin, ma avere come obiettivo fondamentale il far cessare la guerra e dare la parola alla diplomazia. Noi pacifisti abbiamo sempre messo al centro il disarmo, che è un’utopia, certo, ma senza utopie l’uomo di cosa vive?».