“Cacciata di casa perché amo una donna. I miei genitori dicevano: meglio drogata che lesbica”. La tremenda storia di Malika
Malika Chalhy ha 22 anni e viene da Firenze. A gennaio è stata cacciata di casa dei genitori perché, in una lettera, aveva confessato di amare una donna. La madre, il padre e il fratello, da quel momento, hanno iniziato a minacciarla di morte e a riempirla di insulti violenti. Così Malika si è rivolta alla polizia per essere protetta, e ora la procura di Firenze indaga per per violenza privata e inosservanza degli obblighi di assistenza familiare.
“Se torni ti ammazziamo, meglio 50 anni di carcere che una figlia lesbica”, le ha detto sua madre. A Fanpage, a cui ha raccontato la sua storia per la prima volta, la 22enne ha fatto ascoltare tutti i 20 messaggi inviati dai genitori dopo il coming out. “Meglio una figlia drogata che lesbica”; “Dì a quella faccia di m… che se l’acchiappo le strappo il cuore dal petto”. Minacce inascoltabili che hanno scosso l’opinione pubblica e per cui tantissimi si sono già mobilitati.
“Il momento peggiore è stato quando i miei genitori mi hanno cacciato da casa. Ho provato paura, infinita tristezza, rabbia. Hanno cambiato la serratura, non ho potuto neanche recuperare le mie cose. Non riuscivo a crederci. In quei giorni ho avuto pensieri terribili, ho anche pensato di farla finita”, ha raccontato oggi Malika in un’intervista a Repubblica.
La giovane ricorda il messaggio del padre che la accusava di aver distrutto la famiglia. “All’improvviso sono scomparsa dalla vita della mia famiglia. Ci ho messo un po’ per realizzare, poi ho fatto l’unica cosa che dovevo fare, difendere la mia libertà”. Malika non sa come spiegarsi tanto odio, anche se con i genitori non aveva mai avuto un rapporto semplice proprio per via delle sue inclinazioni.”Quando mia mamma venne a sapere che giocavo a calcetto fu la fine. Mi picchiò, era una furia, diceva che il calcio fa venire le gambe storte, che è uno sport da uomini e da lesbiche. E giù botte. Ripeto, non ho mai capito perché. Non ne faceva una questione religiosa, lo stesso mio padre. Erano ossessionati dall’idea di avere una figlia lesbica e dal giudizio degli altri”, racconta al quotidiano.
Per fortuna, in questi mesi, al suo fianco c’è stata la sua compagna. “È riuscita a farmi sopportare tutto – dice Malika – Mi ha dato quello che non avevo e che avevo sempre cercato. Non saprei neanche come definire questo sentimento, l’unica parola che mi viene in mente è respiro. E non ne voglio fare a meno”. La 22enne ha deciso di raccontare la sua storia perché “non poteva rimanere in silenzio” . “Mi stanno scrivendo in tanti, sono grata per questa solidarietà, non me l’aspettavo. È importante non essere soli in momenti come questi”.