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Il caso: a Torino ci sono centinaia di potenziali malati Covid di cui non si ha traccia

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CREDIT: ANSA FOTO

Negli ultimi giorni di febbraio e durante alcune settimane di marzo, decine di mail inviate dai medici di base di Torino ai Sisp sono andate perse. Mai ricevute. In quelle mail si segnalavano potenziali casi Covid-19. Cosa è successo e come si recuperano le tracce di quei pazienti? Noi di TPI abbiamo ricostruito l'intera vicenda

Mail perse a Torino: cancellate tracce di centinaia di potenziali malati Covid

Alle 20.30 del 14 aprile, sul sito della regione Piemonte è comparsa questa notifica: “Richiesta di relazione sulle comunicazioni ai Sisp. La Regione Piemonte ha chiesto all’Asl Città di Torino una relazione sulle comunicazioni dei medici di famiglia ai Servizi di igiene di pazienti con sintomi riconducibili al Coronavirus e la relativa richiesta di test diagnostico, che potrebbero essere andate perse. ‘Dalle prime informazioni – afferma l’assessore Luigi Icardi – sembrerebbe evidente che il problema sia stato causato da uno straordinario flusso di e-mail. Se ci sono delle responsabilità verranno accertate’. La richiesta di chiarimento è stata estesa a tutte le Asl”.

Cosa significa? Significa che negli ultimi giorni di febbraio e durante alcune – ancora imprecisate – settimane di marzo, decine di comunicazioni che i medici di famiglia di Torino inoltravano ai Servizi di igiene e sanità pubblica (Sisp) – per segnalare pazienti con sintomi riconducibili al Covid-19 e richiedendo il test diagnostico – sono andate perse. Mai arrivate. Tante persone, il cui numero non è più possibile quantificare, non sono mai state ricontattate, o hanno ricevuto la chiamata dopo molti giorni in seguito alle sollecitazioni dei camici bianchi. Qualcuno, nel frattempo, era guarito, qualcun altro non c’era più. Qualcuno era malato e non lo sapeva e può aver infettato altre persone. Insomma, la comunicazione tra quelle che dovevano essere le sentinelle del territorio, i medici di famiglia appunto, e il sistema centrale è andato in tilt.

Quel che è accaduto a Torino si è ripetuto nelle altre Asl del territorio fino a casi limite come quello di Elisa Franzò che ha denunciato a TPI la sua storia. Il 3 aprile, l’ex vicesindaco di Alpignano ha ricevuto una telefonata dell’Asl To3 in cui veniva fissato l’appuntamento in ospedale al suo papà per il tampone richiesto dal medico di base. Lui, però, era ormai mancato da una settimana. Deceduto per l’aggravarsi del suo stato di salute proprio a causa del Coronavirus.

“Quando il cellulare di mio padre ha squillato, lui non c’era più già da una settimana. Dall’altro capo del telefono c’era l’Asl To3 per avvertirlo, ironia della sorte, che poteva recarsi in ospedale a fare il tampone”, ci ha confessato Elisa. La donna ci ha raccontato il decorso della malattia del padre, iniziata con una febbre alta e problemi respiratori intorno al 12 marzo. “Il medico di base, seguendo il protocollo, gli prescrisse l’antibiotico, variandone il dosaggio nel corso dei giorni. Visti i sintomi, decise poi di richiedere il tampone per mio padre. Ma il tampone non venne fatto. Dopo una settimana, ossia giovedì 19 marzo, la febbre non era ancora andata via. Decidemmo di farlo ricoverare. Entrò subito il terapia intensiva”, prosegue Elisa.

“Era giovedì 19 marzo e mio padre è venuto a mancare sabato 28 marzo. Il tampone lo ha fatto in ospedale. Ce lo comunicò lui stesso con un messaggio in cui ci diceva che era risultato positivo. A oggi non abbiamo mai avuto il risultato ufficiale del tampone positivo”. Come ci racconta Elisa, “Il giorno stesso in cui mio padre ci disse di essere positivo al Covid-19, mia madre, che viveva con lui, iniziò la quarantena in isolamento. E anche io. Durante quella settimana, mia mamma ebbe 3 giorni di febbre, ma non fece il tampone. Lo aveva comunicato al medico di base, ma la febbre non si era alzata tanto e così stette solo a riposo”. Il 6 aprile, sempre la Asl To3 predispone l’isolamento dal 17 al 31 marzo per Elisa e sua madre. La comunicazione arriva molti giorni dopo il periodo in cui sarebbe dovuto iniziare l’isolamento.

Il boom di contagi in Piemonte

Le due donne, nonostante non avessero eseguito il tampone, hanno deciso di isolarsi in quarantena ed evitare la possibile diffusione del virus. Questo perché erano consapevoli di avere un caso di Covid in famiglia. Ma quanti sono i casi mai giunti sulla scrivania del Sisp e quindi mai attenzionati? Nel frattempo, va sottolineato che negli ultimi giorni si è registrata un’impennata di contagi in Piemonte, con picchi di oltre 8mila casi solo per la provincia di Torino.

Al 14 aprile, sono 17.773 le persone finora risultate positive al Covid-19 in Piemonte: 2.384 in provincia di Alessandria, 870 in provincia di Asti, 703 in provincia di Biella, 1.762 in provincia di Cuneo, 1.640 in provincia di Novara, 8.383 in provincia di Torino, 841 in provincia di Vercelli, 893 nel Verbano-Cusio-Ossola, 205 residenti fuori regione ma in carico alle strutture sanitarie piemontesi. Viene da chiedersi se l’impennata dei contagi degli ultimi giorni possa trovare fondamento in un mancato isolamento predisposto per i casi, tanti casi, di pazienti potenzialmente infetti che non sono stati mai ricontattati dalle Asl di riferimento. La sola Asl Torino 3, ricopre un territorio in cui vive oltre mezzo milione di persone.

Roberto Testi: “Non sono i tamponi a salvare la vita dei pazienti con Covid-19”

Noi di TPI abbiamo contattato il dottor Roberto Testi, presidente del Comitato tecnico scientifico costituito dalla Regione e responsabile del settore di medicina legale nell’Asl unica di Torino (da cui dipendono i Sisp), per ricostruire l’accaduto.
“Nella vita faccio il medico legale, sto parlando di un servizio che non è neanche il mio, quindi avrei potuto semplicemente dire ‘rivolgetevi all’Asl di riferimento’. Ma posso dire che è successa la cosa più comune in un disastro come questo: sono arrivate talmente tante mail che hanno superato la capacità della casella. Quando abbiamo scaricato la posta, le altre mail non sono arrivate perché erano state rimandate indietro. Per cui qualche persona ha dovuto rimandare le mail una/due volte. Tutto questo è capitato a un servizio di igiene e sanità pubblica il cui compito è chiamare la gente e dire di rimanere a casa”.

Lei dice che si tratta di alcune decine di casi. Queste persone sono state ricontattate?
Questa cosa è capitata a un servizio che di norma gestisce 120 casi di malattie infettive e all’improvviso ha dovuto seguire 4.500 persone. È stato un problema di casella postale e quando me ne sono accorto ho telefonato all’informatica dell’azienda e ho fatto aumentare la capacità della casella. Adesso il sistema è stato superato da una piattaforma regionale (Csi) dove tutti i medici di base possono scrivere. Il disservizio sarà durato una settimana, in cui qualche decina di persone avrà dovuto inviare più volte la segnalazione.

Nella settimana di cui parla, quante sono state le persone che non hanno rimandato la mail?
Io non potevo leggere quelle mail, dunque non posso saperlo. Dopo di che abbiamo risolto la cosa. Noi non siamo il 112, i Sisp non sono il 112 (il numero delle emergenze ndr), al quale la gente che sta male chiama e noi non siamo a soccorrere, questo deve essere chiaro. Si deve partire dal presupposto che le persone sul territorio devono essere curate dal medico di base, il medico di base le cura, se ha un dubbio chiede al Sisp di autorizzare il tampone. Se il Sisp non risponde per 2-3-4 giorni, il medico di base che pensa che il paziente stia male, lo manda in ospedale. È chiaro che deve esserci un servizio, specie se bisogna fare un’ordinanza di quarantena, ma siamo in una pandemia. A decidere clinicamente su un paziente deve essere il medico di base.

Chi lavora al Sisp?
Quelli che lavorano al Sisp sono igienisti, a parte una dottoressa che si occupa di profilassi. Un medico e due infermieri in una settimana si sono trovati proiettati nell’incubo. È una questione di priorità. Il Sisp non prende decisioni cliniche.

No, però decide per i tamponi.
Il tampone non guarisce le persone. Serve solo eventualmente a tranquillizzare le persone o a indirizzare l’isolamento di quella persona. Questo è importante e va fatto. Ma non è un’urgenza. Da quando io autorizzo un tampone, a quando viene fatto, passano due giorni. Ormai dopo i primi giorni nessuno si preoccupa più del tampone per un paziente che arriva in insufficienza respiratoria in ospedale, perché a questo punto se è un Covid i medici lo sanno già.

Le sottopongo la vicenda di Angelo Franzò. I ritardi nel predisporre il tampone e il mancato isolamento dei parenti del defunto, come li commenta?
È un’altra Asl rispetto alla mia, ma è una cosa inaccettabile. È probabile, anzi sono certo, che è accaduta una cosa simile anche da me. L’unica cosa di cui sono sicuro, è che quel signore non è morto perché non gli hanno fatto il tampone.

Non crede che il paziente se avesse saputo di avere il Coronavirus si sarebbe fatto ricoverare prima in ospedale, invece di arrivare in quelle condizioni?
Non c’è un lavoro in letteratura che corredi la precocità del trattamento e della diagnosi con il decorso della malattia. Purtroppo la malattia è bastarda e si presenta in modi diversi. Voglio dire che se il tampone fosse uscito positivo, probabilmente il medico di base gli avrebbe detto comunque di restare a casa e andare in ospedale solo quando peggiorava.

Quanto accaduto con le mail è grave per il fatto che non rispondere alla gente lascia le persone nell’ansia. È la cosa che a me dispiace di più. Abbiamo sbagliato e bisogna dirlo. Ma sono certo che non c’è stato un danno.

Roberto Venesia: “Situazione fuori controllo”

Rispetto alle dichiarazione rilasciate dal dottor Testi, abbiamo chiesto riscontro a Roberto Venesia, segretario regionale medici di base Piemonte.

Decine di mail inviate che non sono mai state evase. Quando ci si è accorti dell’errore e come stima i numeri?
Che avessimo avuto l’impressione che il Sisp – acronimo di Servizio di igiene e sanità pubblica dell’Asl di Torino che riceve le segnalazioni dei medici di base – non funzionasse è accaduto da subito. Però per la prima settimana dall’esplosione dell’epidemia lo abbiamo considerato comprensibile. Quello che non è comprensibile è che ancora oggi abbiamo queste difficoltà.

Le mail tornavano indietro? Qual era il problema?
Né noi, né i cittadini ricevevano risposte. La difficoltà era mettersi in contatto con i Sisp. Lo abbiamo dichiarato da subito. Abbiamo sempre seguito per far fronte all’emergenza Convid-19 i dcm del consiglio dei ministri e le linee guida delle comunità scientifiche, secondo le quali i pazienti con febbre e sintomi respiratori devono contattare il loro medico di medicina generale, sottoponendosi al triage telefonico e al seguito del quale, il medico di medicina generale, sotto la propria responsabilità, consiglia un trattamento medico-comportamentale ai casi non sospetti. Invece, contatta il Sisp per i pazienti sospetti. Qui sorge il problema.

Ce lo spiega? 
La rete territoriale del Sisp è stata colta decisamente impreparata. All’inizio, totalmente. Sia per numero di addetti, sia per capacità ricettiva, sia per capacità di risposta. Il Sisp ha dimostrato di essere impreparato nel rispondere alle richieste meritevoli di essere prese in carico. All’inizio c’erano proprio difficoltà oggettive: anche chiamando non rispondeva nessuno, o le linee erano occupate. A una certa ora, il servizio veniva proprio staccato. Abbiamo segnalato subito la cosa, ho segnalazioni fatte all’unità di crisi regionale che risalgono al 24 febbraio. Man mano qualcosa è cambiato. Avevo proposto di impiegare medici in formazione di medicina generale che potevano – ed effettivamente poi è stato fatto – essere impiegati nel servizio territoriale e quindi sopperire alle mancanza di personale per i Sisp. Ma il tutto è stato fatto con lentezza.

Da cosa derivano queste lentezze?
Bisogna considerare il contesto. Qui si è pensato che l’epidemia si risolvesse solo con un’ottica ospedalocentrica, ossia puntando tutto sugli ospedali. Giustamente sono stati raddoppiati i posti letto e le terapie intensive, ma adesso c’è da dare uno sguardo al territorio e fare altrettanto. Non ci sono due epidemie. Soprattutto nei primi tempi questa consapevolezza non c’era.

Il dottor Testi sostiene che il problema è durato una settimana ma ora è stato risolto.
Allora, diciamo che si è risolto intorno al 10 aprile, ma non è detto che sia risolto. Loro hanno fatto quello che hanno potuto, ma ancora fino alla scorsa settimana i casi venivano registrati con una notevole quantità di disservizi. Ma è dal Sisp che dipende il provvedimento della quarantena, il domicilio coatto, la cui violazione comporta anche conseguenze penali per il soggetto. I Sisp sono dei pubblici uffici, ma alcuni casi non sono mai pervenuti loro. Le situazioni emergenziali fanno venire i nodi al pettine.

Il numero dei contagi è drammatico, c’era la possibilità di non arrivare a questo punto?
Mi pare che il dottor Testi nelle sue dichiarazioni abbia cercato di minimizzare, riducendo la cosa a un disguido postale. Qui non parliamo di disguidi postali, ma di atti che dovevano essere posti in essere e che hanno anche conseguenze sulla salute. Il paziente che abbiamo messo in quarantena perché ha il tampone positivo, per essere dichiarato guarito deve ottenere altri due tamponi che risultino negativi. Abbiamo ancora persone che hanno fatto la quarantena, ma che non hanno ricevuto il secondo e il terzo tampone, perché magari i Sisp non sono ancora attrezzati. Cosa fanno quei pazienti? Una seconda quarantena?

Quando abbiamo capito che il Sisp non li contattava, abbiamo iniziato noi a seguire i pazienti più volte al giorno tutti i giorni. Adesso dovremmo cercare di validare il livello clinico. Lo stiamo facendo con lo studio sulla popolazione con i medici sentinella. I primi dati di un campione significativo che ricomprende la popolazione adulta piemontese – quindi superiore ai 18 anni – ci dicono che abbiamo un numero 4 volte superiore di casi fortemente sospetti di essere Covid-19, rispetto alle stime ufficiali. Ho chiesto alla Regione di fare una sperimentazione con 500 tamponi. Vorremmo applicare dei protocolli terapeutici e servirebbe una linea guida.

Le sottopongo la vicenda di Angelo Franzò. I ritardi nel predisporre il tampone e il mancato isolamento dei parenti del defunto, come li commenta?
Vorrei dire che non è un caso isolato, anzi, oserei dire che è stata la prassi per molte settimane. Adesso la Regione ha accettato quello che ho proposto il 14 marzo in videoconferenza con l’unità di crisi: l’attivazione di una piattaforma (il Csi). Soltanto il 5 aprile siamo riusciti a fare un primo accesso. Dal 10 aprile abbiamo la possibilità di fare le segnalazioni sulla piattaforma e dovrebbe essere una garanzia che non andrà più perso niente. Ieri ho lanciato una “survey” ai medici per capire se è affidabile la piattaforma: ho chiesto loro di andare a vedere le loro situazioni – si tratta di 7-12 pazienti a testa, e controllare la gestione di questi ultimi. Dal “carotaggio” che avevo fatto io c’erano già un paio di errori, bisogna lavorare in spirito di collaborazione.

Non si riesce a fare una stima di quante mail e segnalazioni sono andate perse?
Non so fare una stima ma posso dire che tutti i medici di base hanno avuto più disguidi con il Sisp. Le difficoltà con il Sisp sono acclarate e da quando abbiamo iniziato sono la costante, non l’eccezione. Adesso con questa piattaforma dovremmo fare un salto di qualità. Dal 26 marzo ho detto ai medici di base di monitorare tutti quelli che hanno sintomi assimilabili al Covid-19 e che è ormai palese non si tratti di influenza stagionale. Ogni caso va segnalato, isolato e monitorato, perché infetta gli altri. Questa è una patologia di comunità e così va trattata.

Essendoci un comitato tecnico-scientifico perché la cosa è stata affidata alle singole Asl e non è stata gestita a livello centrale?
Il 14 marzo, il direttore centrale Aim mi ha detto, “Dottor Venesia non insista, non ho tempo per fare queste cose”. Non voglio fare polemiche dobbiamo recuperare una situazione che non è per niente sotto controllo. Adesso continuo a offrire la massima collaborazione. È l’ultimo avviso ai naviganti.

Il caso in Parlamento

Il caso del Coronavirus in Piemonte, intanto, è arrivato in Parlamento, il portavoce nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, ha infatti presentato un’interrogazione parlamentare al governo. “Bisogna intervenire e capire cosa è successo. I tempi non sono certo brevi. Tutte le misure di contenimento e isolamento sono fondamentali, sentire il dottor Testi che a voi dichiara che i tamponi non salvano le vite dei pazienti malati di Covid risulta alquanto discutibile come affermazione. I pazienti con sintomi dovevano essere segnalati, così come fatto dai medici di base, e sottoposti eventualmente a tampone. L’isolamento, ripeto, era ed è fondamentale”, ha commentato a TPI. “Il Ministro della Salute, per quanto di competenza, attivi tutte le necessarie attività ispettive sui troppi aspetti poco chiari e sulle vicende denunciate dalle organizzazioni sindacali, dai medici e dalle famiglie delle vittime, al fine di fare chiarezza nella gestione dell’emergenza sanitaria Covid-19 in Piemonte”, ha aggiunto su Twitter.

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