Loggia Ungheria, dalle rivelazioni di Amara all’acquisizione dei tabulati trascorsero 13 mesi
A dicembre 2019 l’avvocato siracusano Piero Amara, interrogato a Milano, confessò di appartenere alla loggia giudiziaria segreta “Ungheria” della quale farebbero parte magistrati, politici e alti esponenti delle istituzioni. Ma trascorsero 13 mesi prima dell’acquisizione dei tabulati telefonici necessari a verificare le scottanti dichiarazioni dell’ex consulente dell’Eni, già condannato per corruzione in atti giudiziari.
Dopo il racconto di Amara a Laura Pedio e Paolo Storari, i pm di Milano scrissero al procuratore del capoluogo lombardo Francesco Greco di effettuare alcune iscrizioni nel registro degli indagati per l’ipotesi di associazione segreta, ma queste furono autorizzate cinque mesi dopo, il 9 maggio del 2020. In quel periodo Storari “come forma di autotutela” consegnò i verbali all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo.
Come scrive il Corriere della Sera, il ritardo riguardò anche i tabulati: quasi 13 dei 24 mesi di tempo a ritroso dei quali l’autorità giudiziaria può per legge chiedere i tabulati telefonici “si sono persi senza che potessero servire a iniziare a verificare almeno se alcuni dei supposti componenti dell’evocata lobby di Amara avessero quantomeno avuto quei contatti tra loro e quelle riunioni che Amara accreditava”.
A determinare il ritardo la scelta dei vertici della Procura di non svolgere alcun altro atto di indagine per riscontrare o smentire le accuse di Amara ad eccezione della raccolta di sommarie informazioni di testimoni ascoltati dal pm Storari in Piemonte-Lazio-Sicilia. Questa opzione riguardò sia i primi cinque mesi tra il 9 dicembre 2019 e il 9 maggio 2020, sia i 7 mesi successivi all’iscrizioni degli indagati, quelli che vanno da maggio 2020 a gennaio 2021.
“Preferisco non parlarne, è una storia che mi rattrista. C’è una vicenda ben precisa e poi ci sono tante narrazioni, tanti storytelling”, ha dichiarato Greco, ricordando che in quel periodo erano stati compiuti diversi accertamenti e che il suo vice Maurizio Romanelli, a capo dell’anticorruzione, avesse valutato le carte. Ma alla fine Romanelli non ebbe alcuna delega sul fascicolo.
I cinque mesi trascorsi tra le dichiarazioni di Amara e l’iscrizione nel registro degli indagati nei quale in Procura veniva ritenuto “non ancora maturo svolgere atti di indagine sui verbali di Amara su Ungheria”, scrive il quotidiano, coincisero con la scelta di Greco e del procuratore aggiunto Pedio di portare al procuratore bresciano Francesco Prete, competente sulle toghe milanesi, uno stralcio di poche righe tra gli omissis di Amara: “de relato interni a Eni sul fatto che i legali Eni Paola Severino e Nerio Diodà avessero fatto riferimento al presidente del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, come a un giudice al quale potevano ‘avere accesso'”.
Quelle dichiarazioni sono state poi archiviate dalla procura di Brescia a dicembre 2020. Il 5 febbraio 2020 il procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro, a fine istruttoria del processo Eni-Nigeria, prospettarono al Tribunale presieduto da Tremolada l’indispensabilità che Amara deponesse in aula su “interferenze di Eni su magistrati milanesi in relazione al processo”. La richiesta però non fu ritenuta pertinente all’accusa di corruzione internazionale, che è infine caduta con l’assoluzione di tutti gli imputati Eni e Shell il 17 marzo 2021.
Sulla vicenda Amara si attendono, oltre all’apertura di un’inchiesta a Brescia, le convocazioni da parte del Csm, competente per i procedimenti disciplinari.