Esclusivo TPI: “In Libia abbiamo navigato tra cadaveri. La guardia costiera non voleva salvarli perché c’era la tempesta”. Racconto dalla Ocean Vikings
“In Libia abbiamo navigato tra cadaveri. La guardia costiera non voleva salvarli perché ‘c’era tempesta’”
“Non siamo arrivati in tempo e abbiamo navigato tra i cadaveri”. Giuseppe Bertuccio D’Angelo ha 30 anni e dal 12 aprile si trova a bordo della nave umanitaria Ocean Vikings per testimoniare le operazioni di soccorso della Ong Sos Mediterranée. Purtroppo l’ultima non è andata a buon fine. “Martedì notte abbiamo ricevuto un messaggio da Alarm phone, aveva ricevuto una chiamata da persone che navigavano per le coste libiche, erano circa 130. Ci siamo diretti verso di loro ma ci trovavamo a una decina di ore dalla posizione”, racconta a TPI. Troppo per raggiungerla in tempo con il mare in tempesta. Il gommone è affondato e, senza altre imbarcazioni di soccorso a presidiare il mare, oltre 100 persone sono andate disperse. Ma Giuseppe sa per certo che almeno 10 sono morte, perché ne ha visti i cadaveri.
“Vedi solo le sagome galleggiare dalla nave. Era difficile comprendere chi fossero. Sembravano della mia età, uomini su per giù. Forse loro erano a galla perché avevano il giubbotto di salvataggio”. Le altre, circa 130, per Giuseppe sono andate a fondo, in quella che secondo i dati dell’Iom è la rotta migratoria più pericolosa al mondo: il Mediterraneo centrale, dove dal 2017 ad oggi oltre 9mila persone sono morte cercando di raggiungere l’Europa dalla Libia, di cui 453 solo nei primi mesi del 2021, il 49 per cento del totale di migranti scomparsi in viaggio dall’inizio dell’anno.
Mentre parliamo Giuseppe si trova a 43 miglia dalle coste libiche, a nord ovest di Sabrata. Racconta che tre navi commerciali hanno aiutato Sos Mediterranée a setacciare la zona in cui pensavano si trovasse il gommone. “Purtroppo quando siamo arrivati era troppo tardi perché il mare era così in tempesta che ha distrutto completamente l’imbarcazione. Abbiamo trovato i resti insieme ad alcuni cadaveri galleggiare, una decina, gli unici forse che avevano il giubbotto di salvataggio. È stato durissimo”. Giuseppe aveva partecipato alla missione per un reportage sulla “felicità delle persone che salvano altre persone”, il “Progetto Happiness”. Ma nessuno è stato salvato.
“Con l’equipaggio ci siamo sentiti inutili. Eravamo pronti ad agire e salvarli, ma non siamo arrivati neanche in tempo per fare qualcosa, era troppo tardi. Conseguenza del fatto che Ocean Vikings è l’unica in mare a prestare soccorso a chi ne ha bisogno. Le altre Ong come Open Arms sono bloccate nei porti per fermi amministrativi e controlli”. E la Guardia Costiera libica, il corpo militare locale creato ad hoc nel 2017 per effettuare operazioni di soccorso, a cui l’Italia ha versato in quattro anni oltre 22 milioni di euro, di cui 10 solo nel 2020 (dati Oxfam, Camera dei deputati) per intercettare le imbarcazioni di migranti in mare, spesso non è operativa.
“Non è efficiente. Non sono nemmeno usciti, quando hanno ricevuto la chiamata non sono usciti perché per loro il mare era in tempesta, ‘era troppo mosso‘ e non sono usciti”, racconta. Sos Mediterranée è in contatto radio con la Guardia Costiera libica, spiega Giuseppe, perché deve sempre comunicare i propri spostamenti, essendo i guardacoste di Tripoli responsabili di quella zona di ricerca e soccorso. Eppure “molto spesso nemmeno rispondono“. Così subentrano loro. Ma “se c’è soltanto una nave e il mare, come quella notte, ha le onde di tre o di sei metri, è impossibile sopravvivere”, dice. “Si va incontro a una morte certa”.
Da quando è salito a bordo della Ocean Vikings, sono stati lanciati tre may day. Martedì la Guardia Costiera libica ha ricevuto le stesse tre telefonate arrivate alla Ocean Vikings, ma delle imbarcazioni in difficoltà segnalate da Alarm Phone – che condivide le informazioni anche sui suoi canali social – ne ha salvata solo una. “Una era una barca di legno che non è mai stata ritrovata, nessuno sa che fine abbia fatto, le indicazioni davano a bordo 40 o 45 persone, ma non sono mai state ritrovate”. Poi le chiamate di segnalazione di due gommoni diversi. “Uno intercettato dalla Guardia Costiera: di quel gommone una donna e un bambino sono morti, gli altri sono stati riportati in Libia”. L’altro è quello di cui hanno trovato i resti “e qualche cadavere che galleggiava“.
Giuseppe é convinto che anche le altre persone siano morte, come denunciato anche dal resto dell’equipaggio di Ocean Vikings. “Centinaia di persone che non abbiamo visto o perché sono state trasportate dalla corrente o sono andate giù, quando il corpo si riempie d’acqua va giù. Le abbiamo cercate in lungo e in largo per una giornata intera. Nessuno parla di sopravvissuti, i dispersi si traducono in morti sicure. Siamo in mare aperto, normalmente le persone che partono non sanno neanche nuotare, ma nemmeno un professionista potrebbe sopravvivere così nel mare aperto”, dice.
Ora osserva ancora la tempesta dall’oblò della nave. “Quando guardo il mare così alto penso che queste persone sono disperate, perché preferiscono lo 0,01 per cento di possibilità di sopravvivere piuttosto che morire in Libia. Questo ci dovrebbe far riflettere su quanto tutti i presupposti politici dovrebbero essere sospesi davanti al dramma di persone che scappano da una morte certa per affrontare una morte quasi certa. Guardo il mare e penso che le persone partono lo stesso sapendo che non ce la faranno mai, ma preferiscono questa minima chance piuttosto che rimanere in Libia, dove tutti sappiamo che vengono torturati“.
“Dovremmo tornare a creare politiche più umane, per cui tutti gli esseri umani hanno pari dignità – aggiunge – ma sembra che i morti in mare non interessino a nessuno e quindi scarichiamo tutta la responsabilità sulla Libia, che fa di loro quello che vuole”.