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Home » Cronaca

Querele temerarie, aggressioni, oligarchie: la libertà di stampa in Italia non se la passa bene

Immagine di copertina
L'attore Libero Di Rienzo in una scena del film "Fortapasc", che racconta la storia di Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla Camorra nel 1985

La libertà di stampa in Italia non se la passa bene

C’è libertà di stampa in Italia? Sì, c’è. E sarebbe sciocco affermare il contrario. Questo però non basta a sostenere anche che la libertà di stampa in Italia sia totale e totalmente esercitabile.

L’articolo 21 della Costituzione stabilisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E che “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.

Anche grazie a questa tutela costituzionale in Italia ogni giorno vengono pubblicate inchieste giornalistiche che svelano abusi di potere, reti di corruzione e ruberie varie. E possiamo formarci una opinione sui fatti di interesse pubblico leggendo o ascoltando commenti di qualsiasi orientamento o colore politico.

Tuttavia, il pieno esercizio della libertà di stampa è talvolta ostacolato o limitato da una serie di fattori. Si va da intimidazioni subdole a minacce vere e proprie, fino alle aggressioni fisiche. Ma sono un problema serio anche le storture di un mercato editoriale nel quale gli editori puri sono un rarità e i finanziamenti pubblici ai giornali vengono elargiti poco e male (e c’è chi addirittura vorrebbe abolirli).

La libertà di stampa in Italia: il rapporto Rsf

Nel suo ultimo rapporto sulla libertà di stampa (datato aprile 2020), la ong Reporters Sans Frontières (Rsf) ci piazza al 41esimo posto nel mondo, dietro fra gli altri a Burkina Faso e Botswana. Secondo Rsf, in Italia ci sono oltre 20 giornalisti costretti a vivere sotto la protezione delle forze dell’ordine a causa delle minacce ricevute.

“Il livello di violenza contro i giornalisti continua a crescere, soprattutto a Roma e nella regione circostante e nel sud del Paese”, si legge nel rapporto. E ancora: “In generale i politici italiani sono meno virulenti del passato verso i giornalisti”, ma “il giornalismo rischia di essere minato” da “una possibile riduzione dei sussidi statali per i media”.

Giornalisti aggrediti e minacciati

Capitolo aggressioni e minacce. Per avere un’idea di cosa si parli, provate a digitare su un motore di ricerca online “aggressioni giornalisti”: troverete una sterminata sequenza di episodi. Tra i più noti ricordiamo l’inseguimento a Paolo Fratter di Sky durante le proteste anti-chiusure lo scorso autunno a Napoli oppure la famosa testata con cui Roberto Spada spaccò il naso del cronista Daniele Piervincenzi, che si trovava a Ostia per un servizio di Nemo sulla malavita locale. Paolo Berizzi, firma di Repubblica, da due anni vive sotto scorta dopo essere stato intimidito e minacciato di morte da gruppi neofascisti. L’elenco sarebbe lunghissimo.

Le querele temerarie

A volte le intimidazioni non sono esplicite, ma nascoste sotto altra forma. È il caso delle cosiddette querele temerarie: azioni legali (civili o penali) che vengono mosse contro i giornalisti senza alcuna chance di successo ma con l’unico scopo di incutere timore e mettere in difficoltà. Perché, almeno fino alla sentenza, i giornalisti querelati – o la testata per cui essi lavorano – sono costretti a sostenere spese processuali che non sono alla portata di tutti.

E qui si capisce anche perché a ricorrere alla querela temeraria non è mai il ladro di mele ma sempre una persona che gode di notevoli disponibilità economiche. È questa, insomma, la via legale attraverso cui i potenti minacciano i giornalisti senza sporcarsi le mani. Una pratica purtroppo molto diffusa in Italia.

Nel 2014 l’allora Relatore speciale dell’Onu sulla promozione della libertà di espressione, Frank La Rue, denunciò in un rapporto sull’Italia le “molestie giudiziarie” nei confronti dei media, bersaglio di azioni legali avviate senza alcun reale fondamento con il solo scopo di intimidire i cronisti.

Il mercato dei media in Italia: una giungla

Poi c’è il tema del mercato editoriale. Un mercato inquinato e in cui sopravvivere è impresa complicata. La crisi economica del settore è sotto gli occhi di tutti. Per questo sarebbe ancor più importante poter contare su un sistema equo e moderno di finanziamento alle testate giornalistiche, nell’ottica di assicurare quel pluralismo dell’informazione che è essenziale per qualsiasi democrazia. E invece no.

Il finanziamento ai giornali in Italia oggi è organizzato in modo antiquato e concede ingiusti privilegi ai pochissimi che hanno la fortuna di potervi accedere. Non solo, ma ci sono addirittura forze politiche che vorrebbero abolirlo, lasciando così i media allo sbaraglio nella giungla del mercato libero. O vendi o sei morto.

Questo contesto di crisi produce alcuni effetti: i compensi per i giornalisti si abbassano, le inserzioni pubblicitarie assumono sempre più un’importanza vitale nei bilanci dei giornali e alla lunga riescono a sopravvivere solo quei gruppi editoriali che hanno le spalle abbastanza larghe.

Cosa c’entra questo con la libertà di stampa? C’entra, eccome. Perché, se il giornalismo viene pagato meno, la qualità dell’informazione tende ad abbassarsi. Perché, se un inserzionista si arrabbia per un articolo e chiude i rubinetti, quel giornale rischia di chiudere. Perché, se restano solo i giornali dei ricchi, dei poveri non importerà più a nessuno.

Nel panorama dell’informazione italiano, fra l’altro, gli editori puri – ossia quelli che di lavoro fanno proprio gli editori, e non anche i produttori di automobili o gli immobiliaristi – sono una rarità. Persino la Rai, i cui proprietari saremmo noi cittadini, non può dirsi pienamente libera, soggiogata com’è dalla lottizzazione dei partiti. Per non dire, infine, degli enormi problemi legati al monopolio dei giganti del web, su tutti Google e Facebook, che hanno ormai potere di vita o di morte sui giornali online.

Insomma, la libertà di stampa in Italia c’è. E sarebbe sciocco affermare il contrario. Diciamo però che non se la passa benissimo. E, se non siete ancora convinti, allora leggete qua.

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