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“Altro che runner, i contagi sono arrivati dalle aziende sempre aperte”: la denuncia di Legacoop Lombardia

"Una fase 2 senza un piano è pura follia, non bastano certo guanti e mascherine. La Regione Lombardia non continui a fare errori": la Legacoop lombarda è tra le associazioni di settore che denunciano la grave situazione sanitaria nella provincia di Bergamo. E andando contro i loro stessi interessi, chiedono di frenare sulla riapertura

L’audio dell’intervento del presidente di Legacoop Lombardia Attilio Dadda è del 17 aprile 2020

“Non saremo noi a fermare Fontana, ma con chiarezza e senza cerimonie al patto per lo sviluppo in Regione Lombardia abbiamo detto cose precise sulla fase 2. Purtroppo, in assoluta solitudine”. La denuncia della Legacoop lombarda è chiara: sono state fatte delle speculazioni in alcuni settori e tante, troppe cose non hanno funzionato con la chiusura delle aziende in Lombardia durante il lockdown.

La denuncia di Legacoop

Il presidente di Legacoop Lombardia Attilio Dadda spiega a TPI: “Lo dico chiaramente, nella Val Seriana l’impatto economico era troppo preponderante: per questo non sono state fatte le zone rosse. Come principali associazioni del movimento cooperativo, ci siamo esposti nel supportare Regione Lombardia verso scelte più coraggiose, purtroppo mai adottate. Pur comprendendo le difficoltà del momento abbiamo più e più volte esposto la nostra preoccupazione per la carenza e le criticità nell’approvvigionamento di DPI. A 50 giorni dalla zona rossa di Codogno non avere i DPI nella nostra regione, per ogni famiglia e per ogni lavoratore è un dato sconcertante insieme agli oltre 10.000 deceduti e tra questi amici e colleghi delle nostre imprese associate”.

Confcooperative e Legacoop Lombardia hanno anche scritto una lettera al presidente di Regione Lombardia Attilio Fontana: dopo le richieste di misure restrittive inascoltate il movimento cooperativo punta il dito sulla fornitura di DPI e l’insufficiente gestione dell’emergenza del comparto socio-sanitario esplosa con il caso delle Rsa.  “Non si tratta di una sterile polemica – continua Dadda – ma riteniamo che queste stesse carenze abbiano condotto alle criticità più volte sottolineate e denunciate nella gestione dell’emergenza nel comparto sociosanitario rispetto alle strutture ospedaliere. Le polemiche e le inchieste di questi giorni sulle RSA ci danno tristemente ragione”.

Poi l’attacco alla Regione Lombardia: “Se non fossimo in una situazione così tragica farebbero sorridere le dichiarazioni del Presidente di Confindustria Lombardia Bonometti sostiene che la causa del focolaio in Val Seriana siano gli allevamenti (qui Bonometti l’aveva sostenuto anche in un’intervista a TPI ndr), o che si erge a paladino delle attività essenziali, mentre ad inizio marzo ha proposto ed ottenuto dalla Regione la sostanziale autoregolamentazione per il blocco delle attività, comunicata anche formalmente al Governo. Altro che runner o passeggiate, qui i contagi sono avvenuti perché le aziende sono rimaste aperte!“, sottolinea Dadda.

“La riapertura alla cieca è un’assurdità”

Legacoop va contro i suoi stessi interessi chiedendo a gran voce maggiore prudenza per la riapertura, ma senza paura ha sempre detto la sua posizione al governatore Fontana: “A proposito di attività essenziali abbiamo assistito nelle ultime settimane a tristi vicende speculative da parte di esponenti di primo piano dell’industria lattiero casearia“.

Secondo il presidente di Legacoop, “non c’è peggior cosa che riaprire senza un piano, alla cieca. Il settore imprenditoriale è già in ginocchio e non si può ripartire e ‘poi vediamo come va’. Questo è già successo per le zone rosse e i lavoratori e le aziende non potrebbero mai permettersi altri errori così”. E sulle date? “Io non so se il 4 maggio – sostiene Dadda – sia il giorno giusto o meno. Chiediamo solo che siano garantite sicurezza e fattibilità: non bastano certo guanti e mascherina!”.

Economia vs salute

“Se abbiamo a cuore la ripresa rapida dell’economia – sottolinea Dadda – lavoriamo subito per definire al più presto una politica sanitaria di contenimento al contagio che si fondi sulla prevenzione e non solo sull’ospedalizzazione. Che garantisca, ad esempio, la somministrazione periodica dei tamponi”.

Lo scontro, secondo Dadda è diventato tra lavoro e salute. E quello che dice è allarmante: “Ci sono stati fior fior di manager che hanno fatto vera e propria resistenza culturale. Per loro il bilancio viene sempre prima di tutto. E i contagi non contavano davanti alle perdite che potevano avere con la chiusura. La stessa cosa vale per una riapertura allo sbando”. Per le cooperative non c’è dubbio: la salute va messa al primo posto. E per la Regione, è davvero lo stesso?

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