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Pochi ispettori e controlli inadeguati: l’Italia piange le morti bianche ma la politica si gira dall’altra parte

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Nei primi sei mesi del 2021 le vittime del lavoro sono state 439. Tre morti al giorno. E tre sono le persone morte sul lavoro nelle ultime 24 ore. Un operaio di 36 anni di origini indiane è morto per una caduta dall’impalcatura in un’azienda in provincia di Bergamo. Si occupava della rimozione dell’amianto. Poche ore prima un operaio di 47 anni in Puglia è rimasto schiacciato da una lastra di calcestruzzo. Da una prima ricostruzione sembrerebbe che la lastra di calcestruzzo si sia sganciata dal mezzo da cui doveva essere scaricata, per cause da accertare, cadendo addosso all’operaio.

Un piede in fallo, sul terreno viscido, forse per le insistenti e torrenziali piogge delle ore precedenti, ed è scivolato in un dirupo nel quale non ha avuto scampo: il 9 agosto è morto Simone Valli, appena 18 anni, di Teglio (Sondrio), al suo primo lavoro da guardacaccia.

Ieri si sono tenuti i funerali di Laila El Harim, la 40enne morta il 3 agosto a causa di un incidente sul lavoro nell’azienda “Bombonette” di Camposanto (Modena). La ragazza non era stata formata all’utilizzo del macchinario nel quale è rimasta incastrata e uccisa.

Queste morti non sono figlie del caso. Esistono responsabilità precise che vanno ricondotte in primis a un sistema di controlli farraginoso e debole. Nel 2019 ogni azienda italiana con dipendenti aveva la probabilità di essere controllata dagli ispettori del lavoro una volta ogni undici anni e mezzo. Oggi, con i mille nuovi ispettori assunti, si arriva a un controllo ogni nove anni, tenendo fermo il rapporto tra ispettori e ispezioni. Detto in altri termini, nel corso di ciascun anno ogni impresa ha l’8,7% di probabilità di essere ispezionata.

Ma non è tutto. Come ricorda Adriano Sofri sul Foglio, il problema non riguarda soltanto l’esiguo numero di controllori, ma anche la macchina attraverso la quale è possibile effettuarli. Il nuovo direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro Bruno Giordano già nel 2019 sollevava una difficoltà non da poco: “Quando sono stati fatti dei blitz nelle aziende, nel cento per cento dei casi sono state trovate violazioni alla sicurezza del lavoro. Quando si vuole fare un intervento dove si sospetta ci sia uno sfruttamento del lavoro, la Squadra mobile della polizia ha bisogno di raccordarsi con la Asl per le violazioni alla sicurezza, con l’Ispettorato del lavoro per le violazioni contrattuali e previdenziali, con gli ispettori dell’Inps e dell’Inail nonché con i carabinieri del lavoro. Ben sei organismi per andare ad accertare un reato, per il quale la legge prevede l’arresto obbligatorio in flagranza”.

Il ministro del Lavoro Andrea Orlando, dopo il caso di Modena, ha detto che i controlli da soli non bastano quando un macchinario che risultava regolare viene manomesso subito dopo il controllo. E per questo propone di introdurre un curriculum per tracciare questi comportamenti.

Fonti del governo iniziano a parlare apertamente di “patente a punti per le imprese”. Come per la patente di guida, ogni azienda parte da 30 punti e ne perde se ha infortuni e incidenti per propria responsabilità – lavoratori senza caschetto, ponteggi non a norma – allo stesso modo guadagna punti se investe in sicurezza e formazione. Se l’azienda azzera i punti è bloccata a partecipare agli appalti mentre nelle gare a parità di offerta economica vince chi ha più punti. Era già prevista dal decreto legislativo 81 del 2009 all’articolo 27 ma non è mai stata attuata “per le resistenze di alcune associazioni di impresa”.

La verità è che le morti bianche sono una piaga che l’Italia non riesce a debellare e che se non si implementa un sistema di controlli duro ed efficace i nomi da piangere aumenteranno progressivamente di anno in anno. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha telefonato a Orlando per farsi dare informazioni relative agli ultimi incidenti di questo tipo – basti ricordare il lutto altrettanto tremendo della 22enne Luana D’Orazio, stritolata da un macchinario in un’azienda di Prato – e per sapere delle iniziative adottate dal ministero per contrastare gli incidenti e per aumentare la sicurezza nei luoghi di lavoro. Eppure non è difficile comprendere – partendo da questo quadro – su cosa occorre intervenire. Si tratta di investire in uomini e controlli snellendo una macchina che così com’è rallenta troppo le procedure e rende gli ispettori suscettibili e poco tutelati rispetto al delicato ruolo che ricoprono. Si tratta, però, di abbracciare una battaglia, farsene carico e portarla avanti contro tutti e tutto, specie contro le pressioni di quelle aziende – in particolar modo del settore edile e agricolo – che sul lavoro nero e sui pochi controlli talvolta hanno costruito raffinate macchine di sfruttamento e violazioni. In questo senso, il nome di Bruno Giordano potrebbe rappresentare una svolta importante.

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