Mancata zona rossa Alzano-Nembro, la Procura sembra aver già deciso e dà ragione a Fontana ma la legge dice altro
Inchiesta mancata zona rossa Alzano e Nembro, la legge smentisce il pm
“Doveva essere una decisione del Governo quella di istituire una zona rossa nella Bergamasca”: con queste parole, pronunciate al termine di due giorni di colloqui con l’assessore al Welfare della Regione Lombardia Giulio Gallera e il governatore Attilio Fontana, il procuratore aggiunto Maria Cristina Rota ha dato un’impronta ben precisa alle indagini della Procura di Bergamo – che lei stessa coordina – sulla zona rossa che non ha mai visto la luce ad Alzano e Nembro, sui troppi morti nelle Rsa e soprattutto sulla mancata chiusura del Pronto soccorso di Alzano per l’emergenza Coronavirus. Dopo l’inchiesta in più parti pubblicata da TPI, infatti, è stata aperta un’indagine per epidemia colposa su tutto quello che è successo nella Val Seriana a partire da quell’ormai famoso 23 febbraio, quando all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano vennero scoperti i primi due casi di Covid-19 senza però che il reparto venisse chiuso. L’inchiesta, al momento, non ha indagati. Con le parole di ieri, la pm Rota di fatto “assolve” Fontana e Gallera (e dunque la Regione) dalla responsabilità per la nascita del focolaio lombardo. Eppure, la legge la smentisce.
Per capirne il motivo, ricostruiamo prima i fatti. Il 21 febbraio 2020 è il giorno in cui viene scoperto il focolaio di Codogno, nel Lodigiano, con l’ormai celebre “paziente 1”. Il giorno successivo, il Consiglio dei ministri annuncia un decreto che chiude 10 comuni del Lodigiano e Vo’ Euganeo, in provincia di Padova. In questo caso, quindi, la decisione sulla zona rossa di Codogno viene presa dal Governo. Diverso invece è il caso di Alzano Lombardo, dove il 23 febbraio vengono rilevati i primi due positivi al Coronavirus. Il pronto soccorso dell’ospedale “Pesenti Fenaroli” non viene chiuso. O meglio, viene riaperto qualche ora dopo senza che i locali fossero stati prima sanificati. A TPI, un dipendente dell’Azienda socio sanitaria territoriale (ASST) Bergamo Est (che gestisce l’ospedale di Alzano), parla di “ordini dall’alto per mantenere aperto il reparto”, mentre un’infermiera del pronto soccorso denuncia che in quei giorni i pazienti Covid venivano curati insieme a tutti gli altri. TPI ha anche visionato una disperata lettera datata 25 febbraio in carta intestata alla direzione di Seriate, firmata dal direttore sanitario dell’ospedale di Alzano Giuseppe Marzulli, che chiedeva di chiudere il pronto soccorso. Come anche la nota riservata dell’ISS del 2 marzo, che chiede ancora una volta la chiusura della Val Seriana. Nessuno, però, fa nulla. Né il Governo, né la Regione Lombardia.
Le regioni possono creare zone rosse per motivi sanitari: c’è una legge
Quando esplode il focolaio lombardo e arrivano le prime accuse di negligenza verso la Regione, Fontana e Gallera scaricano la responsabilità sull’esecutivo, dicendo che aspettavano una decisione da Conte sulla zona rossa. In un secondo momento, però, l’assessore al Welfare corregge il tiro: “Ho approfondito la questione e ho scoperto che effettivamente c’è una legge che consente alla Regione Lombardia di istituire una zona rossa per motivi sanitari”. La legge in questione è la numero 833 del 1978, il Testo Unico che regola e attribuisce le competenze legislative a Stato e Regioni in materia Sanitaria. L’articolo è il 32. Anche il premier Conte, in una lettera a TPI, lo conferma:”Se la Regione Lombardia ritiene che la creazione di nuove zone rosse andava disposta prima, con riguardo all’intero territorio regionale o a singoli comuni, avrebbe potuto tranquillamente creare zone rosse, in piena autonomia”.
In quel famoso 23 febbraio, dunque, sia il Governo sia la Regione potevano istituire una zona rossa ad Alzano Lombardo. Nessuno lo ha fatto, con le conseguenze che tutti conosciamo. In questo quadro, subentrano anche due telefonate che arrivano dal ministero dell’Interno pochi giorni dopo l’esplosione del focolaio lombardo. Colloqui telefonici, mai messi agli atti e rimasti solo ordini a voce, che dimostrano che il Governo in un primo momento aveva disposto una zona rossa ad Alzano e Nembro. Il 4 marzo militari e forze dell’ordine vengono inviati nella zona e sistemati negli alberghi: è il primo step per la creazione dei check point nelle aree che sarebbero state chiuse. Una seconda telefonata, il 7 marzo, annulla però tutto. Il motivo? Da lì a poche ore sarebbe arrivato il Dpcm dell’8 marzo, quello che avrebbe istituito una zona rossa in tutti i comuni della Lombardia. Inutile, dunque, chiudere solo Alzano e Nembro per poche ore. Ma una decisione in tal senso sarebbe potuta arrivare anche due settimane prima, visto che la legge lo consente.
Perché quella legge smentisce le parole del pm Rota
Quando il procuratore aggiunto Rota afferma che la responsabilità della chiusura di Alzano doveva essere del Governo, molto probabilmente fa riferimento alla delibera ministeriale dell’8 marzo con cui il Viminale concede ai prefetti il potere di istituire zone rosse nelle aree in cui il contagio da Coronavirus è molto alto. In quel momento, l’Italia era già tutta “zona arancione”, quindi aveva poco senso chiudere zone circoscritte. La delibera in questione, inoltre, è datata 8 marzo, ma l’emergenza ad Alzano è esplosa molto prima. Eppure, come già anticipato, esiste un’altra legge che consente alle Regioni di prendere decisioni autonome dall’esecutivo per motivi sanitari. Dunque è evidente che la zona rossa ad Alzano e Nembro poteva essere benissimo istituita da Fontana. Se questo non è successo, non è perché la Regione non aveva il potere di farlo.
Anche perché occorre ricordare che nel frattempo, dopo la chiusura di Codogno e di Vo’, in Italia sono state create molte altre zone rosse, dall’Emilia-Romagna fino alla Calabria. E tutte su provvedimento dell’autorità regionale. La Procura di Bergamo sembra aver già assolto Fontana e Gallera, eppure in altre parti d’Italia la zona rossa è stata disposta dalle stesse Regioni, senza attendere il Governo. Perché, occorre ripeterlo, la legge lo consentiva.
L’inchiesta di TPI sulla mancata zona rossa ad Alzano e Nembro per punti:
- Quel 23 febbraio ad Alzano Lombardo: così Bergamo è diventato il lazzaretto d’Italia (Parte I inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- ESCLUSIVO TPI: Una nota riservata dell’Iss rivela che il 2 marzo era stata chiesta la chiusura di Alzano Lombardo e Nembro. Cronaca di un’epidemia annunciata (Parte II inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- Il dirigente condannato, l’assessore incompetente, il direttore pentito. La catena di comando che poteva fermare il virus all’ospedale di Alzano Lombardo ma non l’ha fatto (Parte III inchiesta di Francesca Nava su TPI)
- Quel decreto del 23 febbraio ignorato da tutti: Alzano e Nembro dovevano essere chiusi anche con un solo positivo
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