In Italia record di stazioni “non ufficiali” di polizia cinese per la repressione di Pechino
In Italia ci sono 11 stazioni di polizia aperte da autorità locali cinesi, strutture che fanno parte di una rete di 102 centri clandestini all’estero. Sono a Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato, e in Sicilia, rende noto il Guardian, citando il risultato delle ricerche della ong spagnola Safeguards Defenders. L’Italia, con la sua comunità di 330mila cinesi, è quindi il Paese in cui Pechino ha aperto più postazioni ‘non ufficiali’ di polizia.
Secondo un nuovo rapporto dell’organizzazione alcune di queste stazioni di polizia sarebbero state aperte in collaborazione con le autorità locali, ma la maggior parte non avrebbe nessuna autorizzazione: sono descritte ufficialmente come uffici burocratici e di tutela per i turisti cinesi.
In realtà svolgerebbero attività di ricerca e repressione di cittadini e dissidenti all’estero: uno dei compiti principali di queste stazioni sarebbe quello di riportare in Cina i dissidenti fuggiti, spesso con metodi coercitivi.
Alle 54 stazioni individuate in un precedente rapporto lo scorso settembre, con centri in Olanda, Germania e Canada per esempio, se ne sono aggiunte altre 48, undici delle quali si trovano in Italia, altre in Croazia, Serbia e Romania. Sono 53 i Paesi in cui sono state aperte queste stazioni.
In particolare, Milano sarebbe stata usata da due diverse autorità di sicurezza locali come test per una strategia di controllo dei cinesi all’estero e di rimpatri forzati (in un solo anno sarebbero state costrette a tornare in Cina 210mila persone, fra cui coloro che sono accusati di corruzione, denuncia l’ong). La centrale di Milano è stata peraltro la prima a essere aperta nel maggio del 2016 dalla agenzia di sicurezza pubblica di Wenzhou. A seguire c’è stata Prato e poi Parigi. Nel 2018, l’agenzia di sicurezza di Qingtian, ha aperto un altro sito a Milano.
Il 27 aprile 2015 l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni firmò quattro accordi di cooperazione internazionale con il suo corrispettivo cinese Wang Yi, fra cui un memorandum per pattugliamenti congiunti delle due polizie, che vennero poi presentati dal ministro dell’Interno Angelino Alfano l’anno successivo e iniziarono nel maggio 2016 a Roma e Milano, nell’ambito della “lotta al terrorismo, al crimine organizzato internazionale, all’immigrazione illegale e al traffico di esseri umani”. I pattugliamenti congiunti sono stati interrotti nel 2020, in corrispondenza delle misure di contenimento della pandemia da coronavirus.
Secondo Safeguard Defenders quelle prime stazioni di polizia italiane diventarono un modello per la creazione di centri simili in altri paesi e nel corso del tempo iniziarono a svolgere operazioni illegali volte a “molestare, minacciare, intimidire e spingere al rientro in Cina particolari obiettivi”. Secondo Laura Hart, direttrice della campagna della ONG, il metodo prevederebbe “inizialmente telefonate, poi minacce ai parenti rimasti in Cina, infine l’impiego di agenti sotto copertura all’estero, che possono arrivare anche a pratiche di adescamento e rapimento”.