Gomorra romana: le mani dei narcos albanesi sulla capitale
Spietati. Pronti a sparare per conquistare potere. In perenne guerra fra loro. Ecco chi sono i nuovi padroni della droga di Roma Sud. Che stringono patti con Camorra e ‘Ndrangheta. E si infiltrano nell’alta società
C’è “il principe”, con il passato nero, che per gli amici della destra romana era semplicemente «lo sciacallo». Ci sono i giovanissimi vestiti con marche da centinaia di euro della provincia, pronti a partire per trasportare chili di cocaina dall’Olanda. E c’è il giovanissimo tatuato esperto di Mma (mixed martial arts, sport di combattimento a contatto pieno, ndr) che non si fa scrupoli nel partecipare alle spedizioni punitive armi in mano.
Una volta le chiamavano «batterie», oggi i loro volti compongono il ritratto dei nuovi narcos di Roma. Classe media, a volte anche alta, addirittura nobiliare, con in comune stretti legami con il cartello degli albanesi. Spietati, pronti a sparare per conquistare pezzi di territorio. Con loro non puoi sgarrare.
Le inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Roma degli ultimi quattro anni hanno ridisegnato la mappa criminale della capitale, la città aperta dei clan, da sempre meta del riciclaggio dove investire per allargare la potenza economica.
Ma anche la città dei contatti politici, con il «mondo di mezzo» in grado di diventare catena di trasmissione tra il mondo alto e il sottobosco criminale. Area metropolitana – la più grande d’Italia – pronta a dare una piazza di spaccio a chi è in grado di conquistarsela.
C’è spazio per tutti, in fondo. E da alcuni anni terra di conquista per la “mafia albanese”, gruppo criminale in ascesa da tempo, capace di tessere affari e accordi con le organizzazioni storiche di Camorra e ‘Ndrangheta, assoldando leve locali tra giovani bene, disposti a fare da muli per qualche migliaia di euro di compenso.
Operano con modalità nuove, veloci, efficienti nel conquistare il territorio, come evidenziano i magistrati in una recente inchiesta: «Si tratta di una organizzazione che non svolge la propria attività attraverso una classica “piazza di spaccio” che, generalmente, è collocata in un ambito territoriale specifico, ma si propone come fornitrice di numerosi acquirenti, attraverso la cessione al dettaglio e all’ingrosso procurando anche considerevoli quantitativi di narcotici, destinati alla successiva immissione in diverse piazze di spaccio».
Un sistema ritenuto dalla Procura di Roma particolarmente pericoloso: «Non siamo di fronte a una organizzazione “statica” come altre dedite allo spaccio, ma a un fenomeno differente, un’organizzazione con mire espansionistiche evidenti», hanno spiegato i pubblici ministeri romani durante un processo dello scorso ottobre.
L’erede del boss
Il volto più noto è quello di Elvis Demce, nato in Albania nel 1986, cresciuto criminalmente nei Castelli romani, zona storicamente cruciale per il narcotraffico. Il suo nome era emerso nelle cronache per la prima volta dopo l’omicidio di Federico Di Meo, pregiudicato ucciso a Velletri il 24 settembre 2013 in un agguato a pochi metri dalla sua abitazione.
Le prime indagini portarono a individuare Demce come il mandante e un noto esponente del mondo nero romano, Carlo Gentile, come esecutore materiale. I due vennero condannati in primo grado e poi assolti in appello.
Da allora il boss albanese è stato protagonista di diverse indagini, tutte con al centro la gestione del narcotraffico. Deve scontare una pena definitiva, confermata dalla Cassazione, ed è oggi al centro di diverse inchieste e processi, sempre per traffico di sostanze stupefacenti. L’ultima condanna è arrivata lo scorso dicembre, a 18 anni di carcere.
Il “gruppo Demce” è un importante snodo dove si incrociano diversi cartelli criminali attivi nella capitale. Nelle indagini della Direzione antimafia risultano contatti con esponenti mafiosi di primo piano.
Elvis Demce cresce criminalmente affiancandosi a boss di spessore, come Dorian Petoku, che nel 2013 eredita il piccolo impero creato su Roma dal narcotrafficante Arben Zogu, a sua volta in stretti contatti con clan di Camorra (i Senese) e di ‘Ndrangheta (la potente famiglia originaria di Rosarno, i Bellocco, già presenti da decenni nel sud del Lazio). Zogu, Demce e gli altri uomini del clan stringono poi rapporti con Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, attraverso il mondo degli ultras della Lazio.
I link neri
Quello con Piscitelli non è l’unica connessione con esponenti della mala romana legata al mondo dell’estrema destra. Lo scorso luglio è stato arrestato Matteo Costacurta, accusato di essere uno dei killer del gruppo.
Nei prossimi giorni inizierà a Roma il processo con rito abbreviato nei suoi confronti per valutare l’accusa di aver accettato la somma di 20mila euro come compenso per compiere un agguato mortale contro Alessio Marzani, un piccolo pregiudicato per traffico di stupefacenti. L’uomo venne colpito, non mortalmente, da due killer a bordo di una moto, in quella che subito apparve come una spedizione punitiva.
Il nome di Matteo Custacurta, insieme a quello di Carlo Gentile, era apparso nel 2010 in un’informativa del nucleo informativo dei carabinieri di Roma come elementi vicini all’ex Nar Luigi Ciavardini (poi prosciolto in quella inchiesta, senza alcun legame con i clan albanesi).
Costacurta all’epoca era già un nome di peso nel mondo dell’estremismo di destra, con alle spalle l’accusa di aver partecipato all’assalto del pub Sally Brown, nel quartiere San Lorenzo di Roma, nel 2008.
Fuga in Spagna
Quando Elvis Demce finisce in carcere, un’altra fazione del clan degli albanesi punta a prendere il controllo dell’area dei Castelli romani, in particolare della città di Velletri, dove il narcotrafficante è cresciuto dal punto di vista criminale. A guidarla è Ermal Arapaj, ritenuto a capo di un gruppo composto da diversi corrieri locali, utilizzati per il rifornimento di partite di cocaina verso la città a sud di Roma.
I carichi di droga – secondo la ricostruzione degli investigatori – erano notevoli, con un valore che in almeno un caso arrivava a 400mila euro, come commentava Arapaj con il suo commercialista (non indagato) in una intercettazione inserita nell’ordinanza di custodia cautelare dello scorso anno.
Demce, finito nel frattempo ai domiciliari, era pronto a riprendersi la piazza, che giudicava centrale per i suoi affari. Per farlo organizza un vero e proprio gruppo di fuoco, composto, tra gli altri, anche da giovani leve criminali della città dei Castelli romani.
Ad affrontare Ermal Arapaj si presentano sei persone, tutte armate. L’uomo viene portato in un campo isolato, nella campagna attorno alla città di Lanuvio e aggredito da due componenti del commando.
Arapaj a quel punto reagisce, spara dei colpi, ferendo un uomo e riesce a fuggire. Capisce che la guerra con Demce è appena iniziata e decide di trasferirsi momentaneamente in Spagna, per preparare la reazione. Per giorni organizza a sua volta un tentativo di omicidio del connazionale, che si salva solo grazie all’arresto da parte dei carabinieri.
Nel frattempo anche la villa di Arapaj diventa un obiettivo. Nascosta in una via secondaria della campagna dei Castelli romani, con le aquile simbolo dell’Albania sul cancello, viene incendiata nell’estate del 2020, da un commando incaricato da Demce. Una vera e propria guerra di mafia, in pieno stile Gomorra, pronta a scoppiare alle porte della capitale, sventata solo grazie al monitoraggio degli investigatori dell’antimafia.
Tirana andata e ritorno
In questi ultimi mesi Roma è tornata a essere lo scenario di una guerra tra clan, con omicidi, ferimenti e agguati. In almeno un caso, dietro la morte di un uomo nel quartiere della Magliana, Francesco Vitale, c’è l’ombra del gruppo degli albanesi guidato da Elvis Demce.
Gli agguati legati al narcotraffico, però, hanno una storia che dura da almeno due decenni nella provincia a sud di Roma. Solo nella zona tra Velletri e Artena vi sono state quattro esecuzioni, alcune delle quali ancora senza un colpevole. Nel 2009 venne ucciso Luca De Angelis, detto “O’ gommista”, davanti alla sua abitazione di Velletri. Sempre nella città al confine con la provincia di Latina, nel 2013 – come abbiamo raccontato – venne colpito mortalmente Di Meo, un pregiudicato locale. Tre anni dopo, davanti ad una pizzeria al taglio dietro il palazzo del tribunale di Velletri, un trentatreenne albanese incensurato è stato freddato con alcuni colpi alla testa. E, infine, nel dicembre 2017 un uomo legato al gruppo di Arapaj, Cristian Di Lauro, è stato trovato carbonizzato dentro la sua autovettura, nel comune di Artena. Da quest’ultimo omicidio è partita l’indagine sui due gruppi, quello di Demce e di Arapaj.
Dall’inchiesta emergono diversi contatti di fornitura di droga tra i clan albanesi attivi nei Castelli romani con le piazze di spaccio di Anzio, zona controllata da decenni dalla cosca di ‘Ndrangheta dei Gallace. Durante l’inchiesta Tritone della Dda romana, che ha portato allo scioglimento dei Comuni di Anzio e Nettuno, sono emersi moltissimi momenti di contatto tra esponenti del clan di origine calabrese e i narcos in ascesa nelle piazze di spaccio laziali.
Nel quadro delle indagini, però, manca al momento un elemento chiave: la via dei soldi. Da quello che è stato possibile ricostruire fino ad oggi, gli investimenti e il riciclaggio puntano soprattutto al Paese di origine, l’Albania, dove è molto più facile sfuggire ai controlli dell’antimafia italiana. Ci sono interi villaggi dall’altra parte dell’Adriatico dove il flusso dei narcoeuro appare fin troppo visibile. E irraggiungibile.