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Al via il processo per l’omicidio Cecchettin: la famiglia di Giulia chiede a Turetta un milione di euro di risarcimento, lui rinuncia alla perizia psichiatrica

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La famiglia di Giulia Cecchettin chiede un milione di euro di risarcimento a Filippo Turetta, imputato nel processo per l’omicidio della 22enne. Lo ha reso noto l’avvocato Nicodemo Gentile, che rappresenta il padre della ragazza Gino, i due fratelli Elena e Davide, lo zio e la nonna. “Un milione di euro è quanto abbiamo stimato possa essere un rimborso che Filippo Turetta dovrà alla famiglia di Giulia. La stima si basa sulle tabelle del Ministero della Giustizia”, ha spiegato il legale.

Era la notte dell’11 novembre 2023 quando Turetta uccise l’ex fidanzata Giulia con 75 coltellate in un parcheggio a Fossò, in provincia di Venezia. Il processo davanti alla Corte d’Assise di Venezia – che vede il 23enne reo confesso imputato per omicidio volontario aggravato da premeditazione, crudeltà, efferatezza, stalking e occultamento di cadavere – è iniziato oggi, lunedì 23 settembre, ma il giovane non era presente in aula. Turetta ha seguito l’udienza dal carcare di Verona, dove è recluso dal giorno del suo arresto, avvenuto il 18 novembre dopo una settimana da fuggitivo.

Il suo avvocato, Giovanni Caruso, ha smentito alcune affermazioni attribuite al suo assistito dall’agenzia di stampa LaPresse, che citava fonti accreditate. Secondo l’agenzia, l’imputato aveva detto: “Farò in modo di partecipare al processo solo quando è necessario, spero che finisca presto. Il mio pensiero va alla mia famiglia, a mio fratello e ai miei genitori, che vengono continuamente fermati dai giornalisti”. Parole categoricamente sconfessate dal suo legale: Turetta, ha assicurato l’avvocato Caruso, “verrà in aula e sarà pronto a rispondere a tutte le domande anche per onorare la memoria di Giulia. Filippo pensa a quello che è successo e avrà modo di maturare fino in fondo l’accaduto”.

Il legale ha anticipato che non chiederà una perizia psichiatrica per il suo cliente, rinunciando quindi alla possibilità di far leva su un’eventuale incapacità di intendere e di volere dell’imputato.

Il processo, ha sottolineato l’avvocato difensore, “deve puntare a comprendere se il giovane merita la pena di giustizia e quale sia, non può essere un processo in cui la spettacolarizzazione possa diventare un vessillo per una battaglia culturale contro la violenza di genere”.

Nell’udienza di oggi i giudici della Corte d’Assise di Venezia hanno ammesso la costituzione di parte civile dei familiari della vittima, mentre hanno respinto la richiesta avanzata da quattro associazioni impegnate contro la violenza di genere, dall’associazione Penelope, che si occupa di persone scomparse, e dai Comuni di Fossò e Vigonovo, dove Giulia Cecchettin è stata uccisa e viveva.

Nell’aula del tribunale era presente Gino Cecchettin, padre di Giulia: “Non ho paura di un confronto con Turetta, perché dovrei?”, ha detto. “Il danno ormai lo ha fatto. È una sua scelta esserci o non esserci in aula, non sta a me giudicare. Io a Filippo Turetta non avrei nulla da dire”.

“Non sto sicuramente bene – ha aggiunto Cecchettin – e non c’è giorno che non pensi alla mia Giulia. Oggi esserci è un atto dovuto e di rispetto nei confronti della corte, poi deciderò di volta in volta. Mi auguro che sia un processo giusto. Non mi auguro nessun tipo di vendetta o di favore, sono sicuro che i giudici decideranno al meglio”.

Il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi ha rimarcato come “la spettacolarizzazione di questi eventi che colpiscono l’opinione pubblica per la loro gravità non deve scalfire i diritti dell’imputato”. “Sarebbe grave – ha detto – se Filippo Turetta non partecipasse a un processo pubblico, a cui ha il diritto di partecipare e difendersi, per questa pressione che c’è stata fin dal primo momento. Non è uno studio sociologico, ma un accertamento delle responsabilità”.

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