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Giovanni Soldini a TPI: “Anche io sono stato naufrago in mare. Se vedo qualcuno in difficoltà, mi fermo e lo salvo”

Immagine di copertina
Giovanni Soldini. Credits: Ted Martin

Giovanni Soldini, conosceva il capitano del veliero Alex di Mediterranea, Tommaso Stella?”.

“Lo conosco, non è mica ancora morto!” risponde il velista a TPI. Giovanni Soldini ha 53 anni, ha un accento milanese marcato e una voce profonda e simpatica.

Da più di 30 anni naviga in mare: non è nemmeno maggiorenne quando attraversa per la prima volta l’Oceano Atlantico, e da allora il mare non l’ha più lasciato. Ha partecipato a due regate intorno al mondo in solitaria ed è diventato campione della disciplina: nel 1995 è arrivato secondo al Boc Challenge, nella classe 50 piedi, e nel 1999 vince la Around Alone, la più grande competizione al mondo per velisti in solitaria.

Durante quell’impresa è passato alla storia non solo per l’aspetto sportivo della regata, ma anche perché mentre attraversava l’Oceano con Fila, la sua vela da 60 piedi, aveva portato in salvo la collega Isabelle Autissier, ritrovatasi nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico a causa del rovesciamento della sua imbarcazione.

Lui la legge del mare la conosce bene, e sa che il primo dovere morale di chi naviga è salvare chi si trova in difficoltà.

“Ho navigato tutta la mia vita, se uno in mezzo al mare trova delle persone in difficoltà, sostenere che non è un naufrago ma un migrante, a me non interessa. Sfido chiunque a trovarsi di fronte un gommone che rischia di affondare con a bordo donne e bambini e a voltarsi dall’altra parte. Per quanto mi riguarda, non ci sono opzioni. E per questo sono assolutamente solidale con Tommy”, dice Soldini, che se si fosse trovato nella stessa situazione del capitano del veliero Alex di Mediterranea, il suo collega Tommaso Stella, avrebbe fatto lo stesso. Come qualsiasi uomo di mare.

Perché la legge del mare non conosce visti o passaporti.

Purtroppo però oggi, spiega Soldini, è sempre più difficile adempiere a questa semplice legge. C’è il rischio che chi va per mare sia sempre di più ostacolato nell’assolvere al dovere morale e primordiale di portare in salvo naufraghi.

“A quelli che dicono: ma perché solo le Ong incontrano i gommoni? Rispondo che dopo tutti questi casini un comandante di una nave (commerciale, ndr) fa di tutto per evitare una cosa del genere, altrimenti c’è il rischio di perdere giorni preziosi di nolo e di essere licenziati dal proprio armatore. Il rischio è che succeda sempre di più che chi va per mare eviti di salvare i naufraghi. E mi sembra assurdo che la società moderna riesca a smontare una legge del mare che esiste da migliaia di anni”, dice il velista.

E spiega che nel mondo esistono ostacoli diversi dal decreto sicurezza bis all’adempimento della legge del mare, e lui lo sa bene, perché nel 2005 si è ritrovato nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, rovesciato dal suo trimarano e salvato da una petroliera di fronte alle coste dell’Africa, diretta negli Stati Uniti”.

Giovanni Salvini salvataggi | Naufrago in mare

“Non è stato facile riuscire a tornare perché il comandante della petroliera era terrorizzato dal fatto di avere problemi con le autorità Usa. C’è una legge americana che dice che se trasporti a terra una persona trovata in acque internazionali sei responsabile del naufrago da tutti i punti di vista, anche economico. Questa non è una legge umana. Se riesci a salvarli devi avere il diritto di portarli a terra. Non puoi chiedere ogni volta a un naufrago che passaporto ha”.

“La nave che ci ha salvati nel 2005 si è fermata a 80 miglia di distanza da Huston per dieci giorni, e nessuno ci ha voluto portare a terra, nessuno si voleva prendere la responsabilità di farci sbarcare. Siamo riusciti a scendere solo perché siamo stati in grado di pagare qualcuno che ci ha portati a terra. Abbiamo dovuto pagare per riuscire a raggiungere la terra ferma”, racconta.

“Eppure per centinaia di anni uno in mezzo al mare non si poneva il problema di salvare o non salvare, ma ora le politiche restrittive nei confronti della migrazione e del movimento delle persone straniere stanno facendo barcollare la legge del mare”, aggiunge. E confessa: “Bisogna stare attenti, è pericoloso: queste cose capitano una volta a te e una a me”.

E sulla tendenza recente di idolatrare politici come fossero capitani e capitani come fossero politici, risponde da uomo e attivista.

Giovanni Soldini ha prestato la sua faccia più volte alle campagne di Greenpeace e ha supportato diverse cause ambientaliste promosse da associazioni umanitarie, e crede che la questione dei salvataggi in mare e dei flussi migratori dall’Africa all’Europa deve essere risolta in modo condiviso.

“Bisogna affrontare il fenomeno con gli altri Paesi, non si può essere da soli chiudendo i porti, perché altrimenti le persone troveranno un altro modo per arrivare. I problemi del mondo sono complessi, e non si risolvono con soluzioni semplici, ma condivise, si risolvono con la politica. Politica significa mettersi d’accordo e fare cose insieme, soprattutto oggi che il mondo è così piccolo. In questo mondo l’Europa deve stare unita, ed è solo all’interno dell’Europa che si può affrontare un tema così complesso”, dice.

E conclude. “Le persone si fanno coinvolgere in lunghe discussioni e si concentrano sugli spot elettorali e sulle cose semplici. Nessuno si occupa dei migranti che arrivano sulle coste con i loro mezzi, o del fatto che il governo non si sta minimamente occupando di risolvere il problema nei fatti, con l’Europa”.

Sono le 8 di mattina in California, e Soldini si prepara ad affrontare una transoceanica che lo impegnerà in mare fino a fine mese. Ha una vita troppo impegnata per imbarcarsi con una nave Ong e svolgere una missione nel Mar Mediterraneo. “Ma se trovo un naufrago, mi fermo e lo salvo”.

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