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Un gioco (anche) da donne: storie di vite rovinate da una dipendenza sempre più in crescita in Italia

Immagine di copertina
Credit: AGF

Sabrina ha cominciato a giocare dopo la pensione. Arianna con il partner. Marta per noia. Tutte lottano contro una dipendenza che affligge otto milioni di italiane. Ecco cosa hanno raccontato a TPI

«Mentre giocavo non pensavo, ero ipnotizzata. Dentro a quella bolla mi sentivo bene. All’inizio giocavo cinque minuti, solo un euro, poi sono arrivata a tre ore al giorno, giocavo anche mentre bevevo il caffè. Ero entrata in un loop». Sabrina ha settanta anni, è single. Un giorno mentre prendeva al bar sotto casa sua un caffè, c’era un suo amico che giocava alla slot machine e così si è avvicinata al gioco per caso. La casualità è diventata presto costanza. «All’inizio era un modo per colmare il vuoto del lavoro visto che ero in pensione e da una vita molto impegnata mi sono ritrovata con molto (troppo) tempo libero. Poi giocavo per colmare un vuoto affettivo. Per circa sei anni ho provato a uscirne da sola ma quando ho capito che non riuscivo, ho chiesto aiuto e alla mia età non è stato facile. Sono arrivata al Gruppo Azzardo&Donne di Milano (SUNN Coop); lì è stato arduo iniziare ma poi insieme ad altre donne ho avuto la forza di aprirmi, di accettare un sostegno e di uscirne e poi di aiutare le altre», ci racconta Sabrina. Durante la terapia è venuto fuori che aveva una fragilità dovuta a una violenza familiare pregressa perché nel periodo dell’infanzia e adolescenza si è ritrovata a difendere la madre dal padre. A questo dramma si è aggiunto quello di un grande amore giovanile ritornato in tarda età che poi non ha funzionato. Tutto ciò l’ha resa vulnerabile e ha pensato di colmare il vuoto con il gioco. Il vuoto però restava e si aggravava con il danno fatto dalle perdite di soldi. Perché il gioco calma il dolore ma dopo diventa la soluzione peggiore. 

Come Sabrina anche per Arianna è cominciato tutto per divertimento e poi per colmare una mancanza. «Ho iniziato insieme al mio ex compagno e ai suoi amici. Io assistevo e basta. Passavamo le sere del fine settimana nelle sale Vlt. Alcuni di loro mentre giocavano bevevano, io no. Ero lì per assistere e “portare fortuna” al mio compagno. Con il trascorrere del tempo ho iniziato a giocare anche io e mi appagava. Mi piacevano tutte le slot, ero attratta da quelle luci e quei suoni. Ho iniziato così ad andare ad una più vicina a casa mia e poi entravo in tutti i bar dove vedevo che c’erano le “macchinette”. All’inizio riuscivo a gestirmi i soldi che giocavo e mi fissavo dei limiti ma poi non ci sono più riuscita. Io e il mio compagno ci siamo lasciati in maniera burrascosa, ho provato a rifarmi una vita, a mantenere il mio lavoro, ma non ho mai abbandonato la macchinetta. Mi faceva compagnia in tutti i miei momenti brutti e in alcuni belli come le vincite, che non mi sono goduta a pieno perché non li ho mai spesi per me ma per lei, la macchinetta». Arianna spiega che a 47 anni la frustrazione per la relazione nella quale aveva investito tanto, e la violenza che questa le aveva fatto conoscere, le hanno aperto la strada all’azzardo. «Con la slot non pensavo a nulla. Quando vincevo, mi piaceva essere vista dalle altre persone perché mi facevano sentire brava e capace. Poi sono iniziate le perdite. Il vuoto più grande che sentivo di dover colmare, insieme alla sensazione di rabbia nei confronti di una persona che si è rivelata diversa da come si era presentata e il mio desiderio di maternità sfumato, ripensare a me, a come immaginavo la mia vita e come mi stavo ritrovando, mi ha fatto credere di trovare nella slot l’illusoria soluzione ai miei problemi», continua Arianna. «Il circolo vizioso nel quale sono scivolata non mi ha fatto accorgere della mia situazione fino a quando non ho davvero toccato il fondo. Una volta entrai alle ore 8,30 del mattino e uscii alle 4,00 del giorno successivo, giocando senza mai smettere. La vincita più alta è stata di 1.400 euro in una giocata ma li ho persi tutti la sera stessa. Prima di chiedere aiuto ho anche pensato di ammazzarmi. Poi mi sono rivolta al Ser.D territoriale e quindi allo sportello di ascolto della Cooperativa sociale “Il Cammino”».

Schema distruttivo
Emblema di allegria, intrattenimento, fortuna e prosperità. Il gioco d’azzardo rappresenta spesso un momento di socialità e di divertimento, un’attività ricreativa. Tuttavia alcuni giocatori sviluppano problemi di gioco. Il Gioco d’azzardo patologico (Gap) è il disturbo da dipendenza non correlato a sostanze più ampiamente studiate e l’unico incluso come diagnosi nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi mentali. L’elemento aleatorio tipico dei giochi azzardo è ciò che può far scivolare nella perdita di controllo, isolamento e dipendenza a tutti gli effetti. Le persone con un problema di gioco compulsivo sono costrette a continuare a giocare per recuperare i propri soldi, uno schema che diventa sempre più distruttivo nel tempo.

«Quando ho iniziato a giocare più di quello che avevo, e ho iniziato a chiedere soldi a persone alle quali era meglio non chiedere, ho capito che non era solo un gioco ma una dipendenza. Mi hanno cercata perché rivolevano i soldi. Ho raggiunto un debito di 20mila euro. Ho vissuto e superato anche questo terrore». Marta ha 64 anni, è pensionata, ha una vita tranquilla con una famiglia e un lavoro, si è avvicinata la prima volta al gioco d’azzardo per noia. Quasi per caso è entrata in una sala bingo: «Lì ho notato la sala Vlt, la videolottery, e mi sono detta “io voglio andare lì!” e così provai. Piano piano mi sono ritrovata ad andarci sempre più spesso e sempre più da sola. Giocavo alle Vlt e mi piacevano le piramidi ma potevo giocare anche con altre slot purché avessero la musica. Stavo nella sala gioco anche tutto il giorno se potevo, oppure uscivo dal lavoro e giocavo fino alla sera. Quando vincevo mi piaceva che tutti venissero intorno a me. Mi sentivo brava, mi vedevano e mi gratificavano i loro complimenti. Smisi per un certo periodo ma poi ricominciai». Marta racconta di aver chiesto aiuto dopo essere stata scoperta dalla figlia e dal genero «Il Ser.D territoriale mi ha aiutata e mi sta aiutando tutt’ora con il supporto psicologico. Mia figlia era terrorizzata che io potessi tornare a giocare. Ho fatto i conti con la sua paura e la sua delusione nei miei confronti, unita al chiedermi come mi sia ritrovata in questa situazione, mi hanno tenuta sveglia notti intere»

Una soluzione illusoria
Il volume di denaro giocato in Italia nel 2022 ha un valore di circa 140 miliardi di euro. Con una stima di oltre 150 miliardi nel 2023. Si tratta di più del 5 per cento del nostro Pil e più della spesa per la Sanità. Nonostante la letteratura e gli studi sulla dipendenza da gioco d’azzardo nelle donne siano scarsi e i dati relativi non specifici, ma spesso inferiti da campioni sostanzialmente maschili, sempre più donne sono affette da questa dipendenza. Un terzo dei giocatori d’azzardo sono donne, quasi 8 milioni solo in Italia. Giocano prevalentemente nei tabaccai e ricevitorie o nelle sale scommesse e nei bingo. Ma, come evidenzia la psicoterapeuta Fulvia Prever, responsabile scientifica e fondatrice del Progetto Donne&Azzardo per SUNN Coop, primo gruppo terapeutico in Italia rivolto alle donne con gioco d’azzardo eccessivo, e attuale Presidente della Fondazione Varenna che si occupa del disagio psichico in età adolescenziale e di giovani adulte/i con iniziative di prevenzione e assistenza, il gioco d’azzardo problematico e patologico è la punta dell’iceberg di un problema internazionale: in Svezia le donne dipendenti dal gioco hanno superato gli uomini e anche in Francia e in Inghilterra le donne stanno arrivando a raggiungerli. Sono donne ricche, povere, colte o non colte, donne manager e casalinghe. Il loro profilo è variabile. Alcune hanno anche altre dipendenze, come lo shopping compulsivo, o problemi psichiatrici nell’asse depressivo.

«Per le donne l’escalation è molto rapida perché, come in tutte le dipendenze femminili, si mettono meno a rischio, ma quando lo fanno e superano la barriera della trasgressione i casi diventano complessi. Dietro alle dipendenze del gioco d’azzardo – ma in generale tutte le dipendenze comportamentali dal lavoro, dal sesso, da Internet – le motivazioni delle donne sono diverse da quelle degli uomini. Spesso c’è una frustrazione amorosa, la violenza pregressa, la difficoltà a fronteggiare le fatiche della quotidianità, della gestione familiare. L’abbandono o la solitudine. Per la donna il problema del gioco è quasi sempre la copertura di situazioni relazionali disfunzionali», spiega a TPI Fulvia Prever. «La gratificazione iniziale e poi il vuoto è un classico del gioco d’azzardo, c’è una sorta di ipnosi, soprattutto con le slot machine, ma quando tutto finisce, e si acquisisce la consapevolezza del danno economico fatto a se stesse, rimane il senso di colpa e la rabbia di esser finita in un loop e di aver esaurito al gioco tutti i risparmi», continua Prever. «I giochi di abilità, chiamati skill games, come il poker, l’ippica e le scommesse, sono adrenalinici e di competizione, dove c’è il pensiero che ci sia l’abilità e sono più maschili. Poi ci sono i giochi come le slot machine, il gratta e vinci, il lotto, il bingo che sono “escape games” giochi orientati alla fuga, interamente affidati al caso anche se la giocatrice ha un pensiero distorto che giocando di più possa capire come vincere, e sono più femminili perché le donne hanno più necessità di entrare in una bolla dove non dover pensare alla quotidianità».

Lo stigma
Le donne che soffrono di dipendenze hanno un’anamnesi di violenze psicologiche o fisiche maggiore degli uomini. Subiscono anche lo stigma perché si discostano dai normali modelli di comportamento che ci si aspetta da una donna, quello di essere bravi moglie e bravi madri. Hanno paura di perdere la custodia dei propri figli. Provano vergogna e fanno fatica a chiedere aiuto. Anche quando lo chiedono e superano il problema, invece di esserne orgogliose, rimangono con il senso di colpa e non si perdonano. Lo stesso non succede per l’uomo che alle volte risulta solo trasgressore, come per la sessualità. Le donne spesso sperimentano una grande difficoltà nel trovare trattamenti appropriati: la maggior parte degli ambulatori non sono women friendly, a misura di donna, e di rado offrono un approccio trattamentale specifico per la popolazione femminile. 

Durante i vari lockdown del Covid 19, con le postazioni di gioco chiuse, le donne che avevano un aiuto psicologico erano più serene perché non giocavano e hanno vissuto quel periodo come un momento mai sperimentato di una vita completamente libera dal gioco, dove potevano trovare delle attività alternative. Le altre, non sostenute, si sono trovate in difficoltà. C’è stato un incremento di richieste di antidepressivi, l’insorgere di problemi alimentari, l’abuso di alcool e molte si sono spostate online costituendo un problema perché l’online è sempre con noi, h24, in ogni luogo.

Contrasto e prevenzione
C’è ancora poca visibilità su questo tema e il problema è sottostimato con la conseguente difficoltà a dare l’aiuto necessario. È importante che ci siano dei luoghi di aiuto per le donne che siano aperti, non stigmatizzanti, di accoglienza vera. Oltre al Progetto Donne&Azzardo, in Toscana c’è Velia, il primo progetto di prevenzione al femminile inserito all’interno del piano di contrasto ai rischi azzardo – correlati della Regione Toscana, rivolto alle donne di ogni età, che offre ascolto e supporto. «L’obiettivo principale è quello di far conoscere il fenomeno e i rischi correlati nella popolazione femminile realizzando eventi di sensibilizzazione rivolti alla cittadinanza, intercettando quei luoghi “al femminile” che talvolta possono essere tralasciati perché non in prima battuta associati al gioco d’azzardo ma che, in realtà, si sono dimostrati di avere una cassa di risonanza importante, come i centri estetici e i saloni di parrucchieri, che riprende un piano condotto nella città di Cremona», ci dice Elena Maria Caciagli, coordinatrice del progetto Velia. «Parlare di azzardo al femminile, per noi ha significato davvero varcare la soglia del tabù che lega la possibilità concessa alla donna di essere considerata anche lei giocatrice problematica e al contempo poterle dare uno spazio dove affrontare la situazione. Vincente anche la massiccia presenza di operatrici donne che hanno potuto accorciare le distanze e abbattere il muro della vergogna e del senso di colpa che accompagna la donna dipendente dal gioco. Ciò che infatti succede è la difficoltà di indirizzare i giocatori d’azzardo ai Ser.D poiché deve ancora abbattersi il velo di pregiudizio verso questo luogo ancora considerato come “il posto dove i tossici vanno a prendere il metadone”. È quindi importante avere gli strumenti adeguati per analizzare la situazione evitando sensi di colpa che possono solo ostacolare il processo di aiuto»È necessario capire dove giocano e chi sono, comprendere la progressione del gioco da ricreazionale a patologico, per prevenire efficacemente i danni del fenomeno e portare a migliori strategie di trattamento.

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