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Gino Cecchettin e il patriarcato: “Ci siamo dentro tutti, in famiglia serve un’educazione all’altruismo”

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Gino Cecchettin e il patriarcato: “Ci siamo dentro tutti”

Un’educazione all’altruismo in cui non si tolleri nessuna forma di violenza: è quello che servirebbe in ogni famiglia secondo Gino Cecchettin, il papà di Giulia, la 22enne uccisa dal suo ex fidanzato Filippo Turetta.

Intervistato dal vicedirettore de La Stampa Gianni-Armand-Pilon nel festival Women and the city, l’uomo spiega prima di tutto perché ha deciso di scrivere un libro: “Sono solo un papà che ha voluto fare un ultimo regalo a sua figlia, una ragazza fantastica. Sono qui perché cerco di farla rivivere in qualche modo, e questo è l’unico modo che ho per farlo”.

Gino, poi, rivela che la sua famiglia era “patriarcale. Quando penso alla mia infanzia mi chiedo se mio padre fosse patriarca, e la risposta è sì, tantissimo. Per esempio, chi aveva il compito dell’educazione era mia madre. Mio padre si sentiva esentato, salvo per le punizioni corporali. Invece l’educazione è un lavoro che devono portare avanti entrambi i genitori”.

L’uomo, poi, afferma di aver perdonato il padre: “Quando sono diventato anch’io papà. Ho capito che mi voleva bene ma che aveva a disposizione mezzi per educare diversi dai miei. È cresciuto in un contesto in cui mio nonno diceva a mia nonna: ‘Taci tu che sei una donna’. Mio padre ha respirato questo”.

Adesso “stiamo progredendo come società ma c’è ancora tanto da fare. Noi – io e mia moglie – sicuramente abbiamo peccato nei primi tempi, siamo stati anche noi patriarcali. Ci abbiamo lavorato tanto. Per questo servono i seminari e soprattutto il dialogo con i giovani”.

Gino Cecchettin, quindi, rivela che i suoi modelli sono stati “Stallone, Rambo, James Bond che paragona le automobili alle donne. Alla fine non mi sono ritrovato nel ruolo di maschio alpha, forse non ne avevo il carattere. Non puoi risolvere sempre tutto con la forza, alla lunga è estenuante e ti porta alla solitudine”.

Il papà di Giulia, poi, afferma che “il patriarcato è pervasivo perché ci siamo dentro, e questo riguarda tutti i Paesi del mondo. Per questo non dobbiamo sentici esenti dall’affrontare il problema. Le forme di violenza non sono solo femminicidi, ma ce ne sono altre di più sibilline. C’è la violenza verbale, i modi di fare, che forse sono quelle che fanno più male”.

Per far capire che è un problema lo si fa “prima di tutto mantenendo un dialogo costruttivo. E poi, ognuno di noi deve modificare il nostro linguaggio, stando attento a ogni singola parola. Anche nelle persone più illuminate c’è sempre quella frase sessista che sembra innocua, ma che i giovani poi metabolizzano”.

“Dire a un bambino ‘Tu sì che sei un uomo’ non è costruttivo, dà l’idea che un uomo sia molto meglio di una donna” spiega Gino Cecchettin che, riguardo al figlio Davide, afferma che “ha preferito stare in disparte perché ognuno vive il dolore a modo proprio. Io rispetto la sua scelta e cerco di stargli vicino. Però entrambi, lui ed Elena, sono soci fondatori della Fondazione”.

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