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Il camerata di Velletri ha fatto carriera

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Giancarlo Righini. Credit: Facebook

Omaggia il Duce e i morti di Salò. Sponsorizzava Casapound. E alle elezioni in Lazio è stato il più votato. Ora Giancarlo Righini punta a guidare il Consiglio regionale. Ma dietro la sua ascesa c’è la spaccatura interna a FdI

Bancario, cinquantacinque anni, una vita politica passata quasi sempre nelle seconde file, con un certo amore per la retorica: «Con Giorgia Meloni dieci anni fa abbiamo costruito un battello per salvare dai flutti la storia e le bandiere di una comunità smarrita». Giancarlo Righini, al terzo mandato in Regione Lazio, è il campione delle preferenze di Fratelli d’Italia. Quasi 38mila voti, un numero record per una figura in fondo poco conosciuta al di fuori del suo territorio.

Il segreto? L’alleanza giusta e l’assoluta fedeltà alla leader nazionale. Sulla sua pagina Facebook nei giorni successivi allo spoglio che lo ha visto recordman dei voti ha postato il classico «Grazie» agli elettori. Camicia, cravatta e giacca sulla spalla, su sfondo blu. Nessuna festa pubblica, mentre oggi è il candidato in pectore alla presidenza del Consiglio regionale del Lazio. 

Rileggendo la sua campagna elettorale – fatta girando decine di ristoranti, centri sportivi e locali alla moda – appare chiaro come per Righini sia stata vincente l’alleanza con Francesco Lollobrigida, il ministro dell’Agricoltura cognato della premier Meloni.

Un’amicizia antichissima, che affonda le radici nella provincia a sud della capitale, dove mister preferenze è nato e cresciuto politicamente. È lui, in fondo, il cavallo su cui ha scommesso la componente di Fratelli d’Italia che ha preso in mano Roma e il Lazio, mettendo da parte Fabio Rampelli. 

Arrestato e prescritto
Velletri, sessantamila abitanti, città di confine tra Roma e Latina, ha visto Giancarlo Righini compiere i primi passi all’interno del mondo della destra. Prima nel Movimento Sociale Italiano, poi in Alleanza Nazionale, per diventare – alla fine degli anni Novanta – uno degli assessori di fiducia di Bruno Cesaroni.

Non un sindaco qualunque, ma il nipote dell’antico podestà di epoca fascista della città dei Castelli Romani. Nel 1997 aveva strappato la carica di sindaco al centrosinistra, che da sempre governava la città. È il trampolino di lancio per Giancarlo Righini, fedelissimo frequentatore della locale sezione degli eredi della fiamma tricolore, chiamato dal sindaco di An ad occupare la carica di assessore. Finì malissimo, pochi anni dopo. 

Il 25 gennaio 2005 decine di militari della Guardia di Finanza arrivati da Roma arrestarono sette persone, eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla procura di Velletri. In manette finì anche Giancarlo Righini, che all’epoca aveva la delega ai Lavori pubblici.

L’inchiesta riguardava cinque appalti, per una cifra complessiva di 5 milioni di euro, riporta un take dell’Ansa dell’epoca. Il processo è finito favorevolmente per gli imputati, con la corte d’Appello di Roma che ha dichiarato la prescrizione dei reati.

Quel periodo di governo del Comune di Velletri il re delle preferenze di Fratelli d’Italia preferisce oggi dimenticarlo. Nel curriculum vitae pubblicato sul sito del Consiglio regionale del Lazio, dove siede dal 2013, non c’è traccia del suo passato di assessore a Velletri. Preferisce dare spazio alla sua carriera di promotore finanziario in una banca locale e alla sua competenza di «oratore efficace». Certi cattivi ricordi è meglio cancellarli. 

Odio rosso
Della sua ascesa politica a Velletri Righini ha ben altre immagini da mostrare. A tinte nere. Il 7 agosto 2015 sulla sua bacheca Facebook ha pubblicato una sorta di collage, un cartellone a cui tiene molto: «Ho deciso di incorniciarlo per non dimenticare mai le nostre radici».

Ritagli di giornale con il suo nome, in cima, sotto il simbolo di Alleanza Nazionale, la fotografia dell’ex sindaco Bruno Cesaroni. Ma a colpire sono i quattro fasci littori messi a mo’ di cornice attorno alle firme di chi preparò quel ricordo. E, sulla sinistra, ben in mostra, la foto di Benito Mussolini, nella sua più classica delle pose con le braccia sui fianchi e il fumetto: «Occhio giovane camerata che ti seguo sempre».

Tra i commenti il primo è quello di Giorgio Greci, il candidato alla carica di sindaco nel 2018 (vinse all’epoca il centrosinistra) presentato da Righini e sponsorizzato in chiusura della campagna elettorale da Giorgia Meloni, che riempì la piazza principale di Velletri: «Vero… le radici profonde non gelano mai…».

Un incidente di percorso? Il 25 aprile di quello stesso anno Giancarlo Righini – il candidato di FdI più votato nel Lazio – pubblica un antico manifesto del Msi: «L’odio è rosso, la patria è tricolore». E scrive: «Oggi è il 25 aprile e non vedendo volontà alcuna di riconoscere una “memoria condivisa” se non quando fa comodo a questa sinistra faziosa, presuntuosa e arrogante, anche quest’anno festeggerò San Marco e ricorderò in preghiera silenziosa tutti i giovani italiani che onorarono fino all’ultimo istante la Patria e il tricolore! Onore ai caduti della Repubblica sociale italiana». Tra i partigiani che liberarono il Paese e i repubblichini alleati dei nazisti, Righini sa con chi schierarsi. 

Castelli meloniani
Nelle ultime elezioni comunali a Velletri Casapound prese la cifra record del 9,3% dei consensi. Quando si arrivò al ballottaggio, il candidato di Fratelli d’Italia sponsorizzato da Righini e Meloni non ebbe dubbi, alleandosi con la lista dell’estrema destra neofascista.

Perse, ma alla fine il movimento fondato da Gianluca Iannone riuscì ad eleggere un consigliere comunale, Paolo Felci. Imprenditore del settore agricolo, ha sull’avambraccio il tatuaggio della tartaruga, segno della sua provenienza dalla dirigenza di Casapound.

Dal 2018 ad oggi quel simbolo è stato messo da parte, non apparendo più nella sua comunicazione politica, sostituito dal più presentabile «Difendiamo Velletri». Stessi contenuti, stessa verve comunicativa, sotto una sigla meno problematica. 

Da allora nella principale città dei Castelli romani si è andato costruendo un asse politico tra il partito della premier e il gruppo di estrema destra, proprio attraverso Giancarlo Righini. Tante le iniziative comuni, pubblicizzate da fotografie a due, dove accanto al candidato più votato di Fratelli d’Italia appare lo stesso Felci, tatuaggio di Casapound compreso.

I due esponenti politici solo nell’ultimo anno si sono occupati un po’ di tutto. C’è un incrocio pericoloso? Intervengono loro, chiamando in causa l’Anas. L’ospedale locale cade a pezzi? A dialogare con Alessio D’Amato – assessore alla Sanità uscente della giunta Zingaretti – ci pensava Righini, anche in nome e per conto di Difendiamo Velletri. Le case di edilizia pubblica regionale sono senza manutenzione?

«Insieme al consigliere regionale Righini continueremo ad esigere da Zingaretti, Valeriani e dai vertici Ater risposte concrete», scrive il consigliere eletto nelle liste di Casapound su Facebook.

Il 7 maggio scorso l’esponente di Fratelli d’Italia è poi intervenuto come ospite d’onore in un convegno della lista di estrema destra sullo spopolamento dei borghi. Le elezioni si avvicinavano, e Righini sapeva quali erano le parole giuste: «Nell’era della globalizzazione sfrenata le tradizioni e le identità vanno difese e coltivate», commenta sui social. Identità e tradizione, nel solco di quella destra evoliana che ora si prepara a governare la Regione Lazio.

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