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Gender gap: per le donne è sempre la solita musica

Immagine di copertina
Credit: AGF

L’intera industria è ancora dominata dagli uomini. Negli ultimi dieci anni, ben 88 autori su 100 tra i più ascoltati su Spotify erano maschi. Mentre le artiste devono lottare contro pregiudizi e atteggiamenti poco professionali e una lavoratrice su tre subisce molestie o abusi. “Sono stata trattata con sufficienza e sessualizzata durante un soundcheck”, denuncia a TPI sonoalaska. “Un giorno vorrei essere giudicata solo per la mia arte”, aggiunge Valucre

La discriminazione strutturale delle donne e delle persone non binarie nell’industria musicale è ad oggi un argomento molto discusso, anche grazie alle numerose iniziative che provano ad affrontare e trovare delle soluzioni concrete per risolvere questa discrepanza.

Nell’ultimo decennio l’industria musicale è rimasta fortemente dominata dagli uomini, senza quasi alcun cambiamento percepibile. Le donne sono significativamente sotto-rappresentate rispetto al loro numero nella società e le persone non binarie – così come tutte le altre identità di genere –sono ancora meno visibili e praticamente impossibili da identificare e mappare concretamente.

I dati a nostra disposizione sono una prova incontrovertibile del gender gap ancora radicato in uno dei settori più lucrativi dell’intrattenimento.

Tutto il mondo è paese
Le donne rappresentano solo il 22,3% degli artisti, il 12,8% degli autori, il 14% degli amministratori delegati e il 2,8% dei produttori. Inoltre, una su tre riferisce di aver subito molestie sessuali o abusi sul posto di lavoro, con un divario retributivo di genere del 30% nelle aziende leader del settore. 

Secondo una ricerca condotta dall’associazione statunitense Amplify Her Voice, solo il 12% dei primi cinque artisti più ascoltati a livello globale su Spotify negli ultimi dieci anni sono donne. Si tratta di Taylor Swift (per ben due volte), Rihanna, Billie Eilish, Ariana Grande e Katy Perry.
Finora nessuna donna è riuscita a diventare l’artista più ascoltata a livello globale entro la fine dell’anno, ma questo trend potrebbe cambiare per la prima volta nel 2023, grazie all’anno stellare della stessa Swift.

Per scoprirlo, gli utenti che hanno scaricato Spotify sul proprio cellulare o laptop, dovranno accedere al loro personalissimo Spotify Wrapped tra circa un mese. Ogni dicembre, dal 2016, il colosso dello streaming musicale invia agli utenti un riepilogo delle statistiche di ascolto dal 1° gennaio al 31 ottobre. Questa operazione di marketing ha acquisito talmente tanta popolarità nel corso del tempo da trasformarsi in un vero e proprio fenomeno culturale, in cui vengono svelate tutte le canzoni, gli artisti, gli album e i podcast più ascoltati a livello globale, oltre alle singole tendenze di ascolto dei fan.

È un’opportunità per vedere in prima persona l’impatto dell’audio sulla vita dei nostri ascoltatori e per approfondire con occhio critico le dinamiche di mercato sproporzionate tra uomini e donne.

Le dinamiche tricolori
Spostando lo sguardo dal mercato internazionale a quello italiano, basta spulciare le classifiche annuali dei dischi più venduti negli ultimi dieci o quindici anni per aprire gli occhi e rendersi conto che gli stessi dati del 2023 non siano poi così confortanti. 

Dal 2013 ad oggi, tra i primi cinque brani più ascoltati in Italia sulla piattaforma svedese, le donne non sono riuscite a trovare il giusto spazio.

Se nel 2020 la corona si era posata sul capo di Thasup, seguito da Sfera Ebbasta, Marracash, Guè e dalla rivelazione del rap napoletano Geolier, nel 2021 la vetta della Top 5 era stata toccata da Sfera Ebbasta, affiancato da Rkomi, Gué, Capo Plaza e Salmo.

Nel 2022, per il secondo anno consecutivo, Sfera Ebbasta era diventato l’artista più ascoltato nel Bel Paese, seguito dal rap di Lazza e dalle melodie trap-pop di thasup. Chiudevano la Top 5 il nuovo fenomeno della Gen-Z Blanco e il King del Rap Marracash. L’unico fiore all’occhiello e al femminile della classifica risultava essere Madame, con una comparsata in ottava posizione.

Una domanda sorge spontanea: come è possibile dare concretamente più spazio alle giovani artiste che stanno definendo il proprio percorso nell’industria musicale nonostante i numeri a sfavore? «Non credo che le donne abbiano solamente bisogno di avere più spazio», spiega a TPI la cantautrice sarda Valentina Luiu, in arte “Valucre”. «Penso che sia un periodo storico in cui lo spazio per esprimersi scarseggi sempre di più. Per me non si tratta di guadagnare spazio, ma di essere viste tutte allo stesso modo». 

Per Federica De Angelis, che si esibisce con il nome di “sonoalaska”, «l’industria musicale dà spazio alle donne, ma quando suonano e si esibiscono a livelli molto alti. Il problema sorge nel momento in cui si parla di emergenti. Le iniziative sicuramente non mancano, ma il vero problema si riscontra nella vita di tutti i giorni. Quando un’artista emergente si espone sui social, sa che riceverà un determinato trattamento. Mi è persino capitato di venire sessualizzata e trattata con sufficienza durante un soundcheck. Una volta il presentatore di un evento a cui avevo preso parte mi aveva messo in mano dei soldi e mi aveva chiesto di prenderci un caffè. Perché c’è così poca professionalità nei nostri confronti?».

Un problema di mentalità
Per tentare di cambiare un settore con ancora numerose carenze in termini di numeri, opportunità e specialmente attitudini, Spotify ha lanciato EQUAL, una campagna globale dedicata a promuovere la gender equality, con il preciso intento di celebrare e valorizzare il contributo delle donne nel mondo dell’audio. 

A distanza di due anni dalla sua implementazione, il responso è stato indubbiamente positivo e ha visto il coinvolgimento dei nomi più emblematici della scena italiana: Elisa, Raffaella Carrà, Elodie e Annalisa, per citarne alcuni. Spazio anche a nuovi talenti, come svegliaginevra, ASTERIA e Angelina Mango.

«Penso che Spotify abbia sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti di EQUAL, riuscendo comunque a creare uno spazio sicuro che tuteli tutte noi in qualità di artiste», racconta Valucre a TPI

Anche sonoalaska conferma le sue impressioni, sottolineando come «Spotify stia facendo un buon lavoro, perché sostiene le artiste con la creazione di playlist molto variegate ed interessanti. Se in una playlist come “Raptopia” l’80% dei brani viene eseguito da uomini, il problema non è di Spotify, ma va ricollocato sul genere musicale che viene proposto. Lo stesso discorso vale per altrettante playlist legate ad altri generi, come il punk o il rock».

La valorizzazione delle donne in tutti gli aspetti dell’industria musicale può rappresentare una rinnovata fonte di ispirazione per la prossima ondata di talenti al femminile nella musica, combattendo contro stereotipi e provando a uscire dal labirinto stesso dei dati e delle charts illustrate da Spotify.
«Prima di qualsiasi numero o classifica, ci vuole un cambio di mentalità. Il fatto che si ricevano molti insulti e pochissime critiche costruttive, dimostra quanto le donne abbiano bisogno di un sostegno. Ci sentiamo dire che non siamo credibili, che siamo solo un corpo o un’immagine da copertina. Invece valiamo, rilasciamo la nostra musica e siamo su quel palco perché abbiamo una voce», conferma sonoalaska.

Valucre è sulla stessa lunghezza d’onda: «Sogno il giorno in cui un atto artistico – comunicativo o meno  – non venga giudicato, non abbia trattamenti di riguardo e tantomeno venga bistrattato solamente perché sono una donna. Solo allora potremo parlare di parità di genere, ma il cambiamento deve essere in primis sociale».

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