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Home » Cronaca

Gas, l’allarme degli esperti: “Bisogna dire agli italiani come stanno le cose, saremo costretti a razionare l’energia”

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Il giorno di Ferragosto il Kosovo si è svegliato senza elettricità. Di primo mattino il gestore della rete nazionale ha comunicato che il costo dell’energia sui mercati si era fatto ormai troppo elevato per poterlo garantire con continuità all’intera popolazione. È così scattato un piano di razionamento: «Ogni sei ore – è stato annunciato ai cittadini – bisognerà sopportarne due senza corrente». L’emergenza è poi rientrata già nel pomeriggio, grazie a un accordo fra il governo di Pristina e l’Albania. Ma – sebbene il Kosovo con i suoi 1,8 milioni di abitanti sia uno degli stati più piccoli d’Europa – ciò che è accaduto il 15 agosto non va sottovalutato a nessuna latitudine nel vecchio continente. «Quello è stato solo il primo sassolino che scende giù dalla montagna e ruzzola a valle. È solo l’inizio», osserva con una metafora Francesco Sassi, ricercatore di geopolitica dell’energia e analista della società di consulenza energetica Rie di Bologna. Anche gli americani di Bloomberg la pensano così: «Tenere le luci accese in Europa quest’inverno potrebbe rivelarsi più difficile di quanto i governi stiano attualmente ammettendo».

La guerra in Ucraina è solo una parte del problema. La crisi energetica è iniziata ben prima, nei mesi della progressiva uscita dalla pandemia, quando – sospinti da robusti finanziamenti pubblici – i consumi mondiali hanno ripreso a galoppare più del previsto e l’offerta, impreparata, non ha saputo tenere il passo. Poi, sì, sono subentrate altre circostanze che hanno aggravato la situazione, come l’invasione di Putin, la minor produzione da rinnovabili, o le attività di manutenzione alle centrali nucleari francesi e agli impianti di estrazione di gas norvegesi. Tutti questi fattori hanno contribuito a far impennare i prezzi dell’energia: sulla borsa olandese Ttf il metano è passato dai 19,8 euro a megawattora (Mwh) del gennaio 2021 al picco di 339 euro dello scorso 26 agosto; il prezzo dell’elettricità – allineato per convenzione internazionale a quello della fonte di produzione più cara, cioè proprio il gas – è schizzato in Italia dai 60 euro/Mwh di inizio 2021 ai 740 del 29 agosto. Le riforme del mercato energetico annunciate negli ultimi giorni dalla Commissione europea hanno raffreddato le quotazioni, ma alle cifre attuali le bollette sono semplicemente impossibili da pagare per molti cittadini e imprese.

Diverso approccio

La scorsa settimana il presidente francese Emmanuel Macron si è presentato davanti alla stampa e ha pronunciato parole cui forse, qui da noi, non abbiamo dato il giusto peso: «È finita l’era dell’abbondanza e della spensieratezza, preparatevi a fare dei sacrifici». E il ministro dell’Economia transalpino, Bruno Le Maire, ha parlato apertamente di «organizzare un eventuale razionamento». In Italia, invece, il Governo ha badato finora soprattutto a gettare acqua sul fuoco. «Direi che stiamo bene», è il bilancio del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che non perde occasione per sottolineare come entro due anni saremo indipendenti dal gas russo e come le scorte invernali siano già piene oltre il 70%, mentre il premier uscente Mario Draghi ha rotto il silenzio post-dimissioni con l’intervento al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, nel quale prima ha spiegato che, tra guerra, inflazione, siccità e crisi energetica, siamo effettivamente a un «passaggio storico drammatico», ma poi ha subito rassicurato la platea: «L’Italia ha tutto quello che serve per superare le difficoltà».

Sollecitato dei partiti, ma anche dal mondo produttivo, il Governo adesso ha aperto alla possibilità di un nuovo intervento per compensare il caro-bollette. Ma Draghi non vuole allargare troppo i cordoni della borsa, contrario all’ennesimo scostamento di bilancio. Di un piano di razionamento dei consumi, poi, neanche a parlarne. Anzi, va esattamente in senso contrario la deroga chiesta e ottenuta da Cingolani sul regolamento Ue – adottato il 26 luglio a Bruxelles – che prevede di ridurre i consumi di gas del 15% il prossimo autunno-inverno: il nostro Paese potrà limitarsi a un risparmio del 7%. Per ora, tra gennaio e luglio, la domanda italiana è calata dell’1,9%, mentre le forniture di metano dalla Russia, crollate del 38%, sono state ampiamente compensate dai maggiori arrivi dal Nord Europa, dall’Azerbaijan (tramite il Tap) e dalle navi container cariche di gas liquefatto. Le scorte per l’inverno – dice Cingolani – saranno piene come previsto al 90% entro fine anno.

Scegliere chi salvare

Dunque, almeno sul fronte degli approvvigionamenti, c’è da stare tranquilli? «Nient’affatto», secondo Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società di consulenza sulle materie prime T-Commodity: «Le scorte piene coprono appena il 40% dei consumi. In caso di inverno rigido, si rischia di arrivare a primavera con gli stoccaggi quasi vuoti». «Non so se ci sia la volontà di far trascorrere agli italiani un’estate tranquilla – prosegue l’esperto parlando con TPI – ma sono dell’idea che la popolazione vada resa consapevole del fatto che siamo ormai davanti a un’economia di guerra. Qua rischiamo la de-industrializzazione dell’Europa». «Una delle prime azioni che dovrà fare il prossimo governo – secondo Torlizzi – sarà parlare di razionamenti e di intavolare con la Commissione europea un negoziato per ottenere l’autorizzazione a scostamenti di bilancio importanti. Bisogna scegliere quali settori economici salvare e tutelare rispetto ad altri, che comunque andranno risarciti. Non volerlo fare oggi, perché politicamente nessuno si vuole assumere la responsabilità, ci espone al rischio che poi sia il mercato a decidere come e quando tagliare l’energia, senza fare prigionieri».

I toni sono forti, certo, ma è questo il sentiment diffuso fra praticamente tutti gli addetti ai lavori. «Più tardi ci muoviamo a controllare, ridurre e gestire la situazione dei consumi energetici – dice al nostro giornale l’analista Sassi – e maggiori saranno le ripercussioni.

O perché i rincari delle bollette renderanno ancora più difficile la situazione economica o perché, in caso di inverno rigido, ci troveremo a dover decidere a chi garantire l’afflusso di gas ed elettricità e a chi invece dovrà essere staccato». «Davanti alla difficoltà del momento – prosegue lo studioso del Rie di Bologna – c’è poca voglia di comunicare la gravità della situazione in cui ci troviamo e in cui ci troveremo il prossimo inverno. Per non parlare di quelli successivi, perché anche questo va detto alla popolazione: questa crisi non riguarderà solo il prossimo inverno ma anche quello successivo e quello successivo ancora… Dovremo controllare come mai negli ultimi trent’anni l’approvvigionamento e il consumo di energia».

Anche nel mondo dell’impresa c’è forte apprensione. Persino il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, tra i più ferventi sostenitori di Draghi, si è spazientito: «I partiti devono essere responsabili, ma il Governo deve agire. Oggi c’è un terremoto e non sarebbe comprensibile se il Governo non reagisse», ha dichiarato al Corriere della Sera. Nei primi sette mesi dell’anno le domande di cassa integrazione sono aumentate del 45% rispetto al 2021. Carlo Sangalli, numero uno di Confcommercio, stima 120mila aziende a rischio chiusura. Molte, davanti al caro-bollette, hanno ritenuto più conveniente fermare la produzione. Come la ceramica Ita-Itiles di Fiorano, in provincia di Modena (cento dipendenti, ultimo fatturato 34 milioni di euro): «Negli ultimi mesi avevamo investito 15 milioni di euro dotandoci dell’impiantistica più efficiente, ma non è bastato. Produrre a questi costi non è sostenibile», racconta a TPI il presidente Andrea Spagni. A luglio l’azienda ha ricevuto una bolletta del gas da 1,8 milioni di euro, contro i 224mila euro pagati lo stesso mese dello scorso anno (per giunta i consumi sono leggermente calati). «Ormai il prezzo del gas e dell’elettricità assorbe il 70% dei costi di produzione», calcola l’imprenditore. «Sento troppo spesso parlare di “rischio”. Ma si parla di rischio quando si è in fase di valutazione di un qualcosa che potrebbe potenzialmente accadere. Qui invece siamo già nella fase di pericolo manifesto ed attivo nella sua dannosità».

Ridurre la domanda

Il 29 luglio l’Arera (Autorità per la regolazione dell’energia) ha inviato una segnalazione a Parlamento e Governo in cui si stima per il periodo ottobre-dicembre un ulteriore rincaro delle bollette del 100% e si auspicano «interventi urgenti» per la «riduzione della domanda su base volontaria». Misure di questo tipo sono già state varate, ad esempio, in Germania, dove negli uffici pubblici la temperatura va tenuta entro i 19 gradi e dove è stato introdotto un meccanismo basato sulle aste per contenere i consumi di gas. Molte città tedesche hanno sospeso l’acqua calda negli edifici comunali e spento l’illuminazione dei monumenti. Il governo di Berlino, inoltre, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione che ha portato le famiglie a tagliare del 6% i propri consumi. Anche in Francia il piano di risparmio energetico è già scattato: la pubblicità luminosa è vietata di notte, e non è consentito lasciare aperte le porte delle attività commerciali riscaldate o climatizzate.

Ma, mentre gli altri Paesi iniziano a ragionare di razionamenti, in Italia il dibattito è ancora fermo alle coperture per i contributi al caro-bollette. Peraltro, la tassa una tantum sugli extraprofitti delle società energetiche non sta dando gli esiti sperati: degli 11 miliardi di euro di gettito preventivato, ad oggi lo Stato ne ha incassati appena 1,2. Le aziende contestano il modo in cui è stata scritta la norma governativa, che calcola la tassa sull’imponibile Iva anziché sui profitti, e hanno fatto partire una raffica di ricorsi.

L’Europa cambia

In compenso, Draghi sembra vicino a ottenere qualche risultato concreto in sede Ue: la Germania ha tolto il proprio veto al tetto europeo sul prezzo del gas, che Palazzo Chigi invoca da mesi. Ma va stabilito come questo price cap funzionerà. «Imporre noi un prezzo alla Russia è impensabile – avverte Torlizzi – perché oggi nel mercato delle materie prime il potere negoziale è tutto nelle mani dei produttori, non dei consumatori». Diverso, spiega l’esperto, sarebbe applicare un prezzo amministrato sul modello già adottato a livello nazionale da Spagna e Portogallo: «Si continuerebbe a pagare a Mosca il prezzo indicizzato al Ttf, facendo poi pagare all’industria e alle famiglie un prezzo più basso: qui sarebbe l’Ue a metterci la differenza. Certo, avrebbe un effetto enorme sui bilanci pubblici…».

L’altro intervento a cui la Commissione europea sta pensando è il disaccoppiamento fra il prezzo dell’elettricità e quello del gas, per scongiurare – come avviene in base al meccanismo attuale – che le fonti rinnovabili, oggi le più economiche, finiscano per costare tanto quanto il metano. A proposito di rinnovabili, secondo Torlizzi gli ambiziosi obiettivi del Green Deal Ue sono tra le cause scatenanti della crisi energetica, perché negli ultimi anni hanno disincentivato investimenti sulle infrastrutture del gas. Ma in Italia siamo in ritardo anche sulla tabella di marcia della transizione ecologica: dei 5 gigawatt (Gw) di rinnovabili che dovremmo installare quest’anno, si stima non supereremo i 3. E per centrare l’obiettivo degli 85 Gw entro il 2030, dal prossimo anno dovremmo marciare a 10 Gw annui… «Sorprende che manchi ancora il quadro normativo per le aree idonee alle nuove installazioni», lamenta parlando con TPI Agostino Re Rebaudengo, presidente di Elettricità Futura, la Confindustria delle imprese elettriche.  «La Germania – dice il presidente – sta stanziando il 2% del suo territorio allo sviluppo delle rinnovabili. Anche l’Italia dovrebbe farlo rapidamente». Anche perché quegli 85 Gw «permetteranno di ridurre le importazioni di gas dall’estero di circa 20 miliardi di metri cubi all’anno. Equivale a tagliare quasi il 70% del gas che l’Italia paga alla Russia». Ma perché ciò si realizzi, conclude amaro Re Rebaudengo, «abbiamo urgente bisogno di una strategia energetica», cosa che in Italia «manca da troppi anni».

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