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Galliani, il ricordo con Berlusconi: “Rischiai di morire di Covid, mi chiamava tutti i giorni”

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Galliani, il ricordo con Berlusconi: “Rischiai di morire di Covid, mi chiamava tutti i giorni”

“Quando rischiai di morire di Covid, in un prefabbricato senza finestre, Berlusconi telefonava al San Raffaele ogni giorno per avere mie notizie”. Adriano Galliani si racconta ad Aldo Cazzullo in un’intervista per il Corriere della Sera. Amico di Berlusconi dagli anni 70, amministratore delegato del Milan per più di 30 anni e adesso ad del Monza, a 78 anni Galliani ancora respira calcio. Una passione che emerge fin dal suo primo ricordo: “Ho sei anni e rubo la Gazzetta dello Sport all’autista di un camion dell’azienda di mia mamma”, confida. “Ho imparato a leggere sulla Rosea”.

Prima ancora del Milan, la sua passione è sempre stata il Monza, che andava a vedere con la madre.  “[Aveva un’azienda che] trasportava collettame, si diceva così, sulla rotta Brianza-Milano. Suo zio era stato presidente del Monza. Era lei, non mio padre, a portarmi alla partita. Messa in Duomo, panino, stadio. Morì nel 1959, avevo 14 anni. Il giorno dopo papà mi disse: “Adriano, vai pure. La mamma è contenta se vai a tifare per il Monza”, ricorda Galliani, mentre si commuove.

Qualche anno dopo, il primo incontro con Berlusconi: “Per prima cosa mi chiese come la pensavo. Risposi la verità: ‘Mio padre diceva che i comunisti mangiano i bambini, e io mi sono fermato lì’. Berlusconi si alzò, venne verso di me, pensai di aver fatto una gaffe. Invece mi abbraccia e mi fa: ‘anche il mio papà diceva così!’”.

Seguì l’esplosione di Mediaset negli anni ’80 e poi la decisione di acquistare il Milan, a cui contribuì anche la rivalità con casa Agnelli: “Era il Capodanno 1986. Sono in vacanza nella villa del presidente a St. Moritz, con Confalonieri Dell’Utri. Fa un freddo tremendo, usciamo imbacuccati per andare a prendere l’aperitivo al Palace e incrociamo il clan Agnelli: l’Avvocato con la camicia aperta, Montezemolo con il ciuffo, Jas Gawronski elegantissimo, forse Malagò. Al confronto noi sembravamo Totò e Peppino. Condividiamo il tavolo. Alla fine Berlusconi ci dice: ‘Potremo fare anche noi grandi cose, ma non saremo mai come loro. Ci mancano venti centimetri di statura e il coraggio di esporre il petto villoso sottozero’. Qualche giorno dopo ci propose di prendere il Milan”.

Nella sfida a distanza Milano-Torino a volte Berlusconi è stato anche costretto a qualche passo indietro, come nel caso di Roberto Baggio. “Quella volta a Torino andammo in elicottero. Pensavo che ci avrebbero abbattuto. Invece arriviamo a corso Marconi, c’è anche Romiti, e Agnelli ci chiede di rinunciare a Baggio, introduce anche discorsi extracalcistici… La fusione tra Rinascente e Standa. Io capisco che Berlusconi ci sta ripensando e intervengo, alzo la voce. Agnelli mi richiama all’ordine: ‘Si calmi, non faccia così…’. Finì che Baggio andò alla Juve”.

“C’erano ancora Ceausescu e il Muro di Berlino”, il ricordo invece della prima Coppa campioni vinta con il Milan di Sacchi. “A Bucarest rastrellammo anche i loro biglietti, il Camp Nou era tutto rossonero. Portammo a Barcellona l’intero calcio italiano e mezza politica su un Jumbo. Era un’altra Italia”.

Difficile dimenticare anche la disfatta di Istanbul, anni dopo. “Davanti a noi c’era un muretto basso, al terzo gol di Crespo stavo per cadere di sotto, mi salvò Erdogan afferrandomi per la giacca”, il ricordo di quel primo tempo illusorio. “Dopo la partita restammo seduti più di mezz’ora in tribuna, senza dirci una parola. Avevamo perso, ma la squadra aveva dato il massimo. Si era arrabbiato molto di più dopo uno 0-0 con il Celta Vigo in cui non avevamo tirato in porta, riempì me e Capello di improperi. Il bel gioco prima di tutto”. Dopo quella sconfitta Gattuso voleva lasciare il Milan. “Venne a dirmi: non posso più indossare la maglia rossonera, perché ogni volta mi tornerà il dolore di Istanbul. Così lo chiusi a chiave nella stanza delle coppe. Ogni ora tornavo: hai cambiato idea? No? E richiudevo. A mezzogiorno gli lasciai due panini. Lo presi per sfinimento. Nel pomeriggio mi comunicò che restava. Gli aprii”.

Stesso trattamento anche per Ibrahimovic. “Mi piazzai nel salotto di casa: non me ne vado finché non firmi. Restai tutto il giorno. La moglie mi guardava come un pazzo: ma questo chi diavolo è? E Ibra: ‘È Galliani del Milan, dice che non se ne va finché non firmo’. E tu cosa farai? ‘Credo che firmerò, se no quello non se ne va davvero”’”.

Indimenticabile anche il viaggio a Kiev per andare a vedere Shevchenko. Nel suo libro “Le memorie di Adriano G.”, gli ricorda Cazzulla racconta di “un freddo terribile e le prostitute che tentavano di entrarle in camera”. “Dormii con il cappotto e con una cassapanca contro la porta. Passai la notte al telefono con la donna di cui ero innamorato”. Chi era? “Non posso dirglielo”. Di fronte all’insistenza di Cazzullo, Galliani prende il telefono: “Manuela, posso?” Poi al giornalista: “Era Manuela Moreno, la giornalista tv. Poi però mi ha lasciato”.

Numerosi altri aneddoti sono dedicati agli anni del Milan, da Ronaldo (“Faceva la scarpetta nel vassoio degli spaghetti al pomodoro. Ancelotti lo prendeva in giro: Fenomeno, almeno sai chi ti marca domani? E lui: io no, ma lui sa che deve marcare Ronaldo”) a Cassano (“Facemmo una litigata epica: aveva firmato da poco il contratto e già chiedeva il rinnovo. Ma ora siamo amici. Troppo simpatico. Un giorno Seedorf stava tenendo uno dei suoi alati discorsi, e Cassano gli fa: e tu chi sei, Obama?”), fino al mancato ingaggio di Sarri (“Cambiai idea quando lessi che aveva dichiarato: Renzi è addirittura peggio di Berlusconi. Così prendemmo Mihajlovic”).

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