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Fondazione Gimbe: “Pericoloso allentare le restrizioni sotto Natale”. E i presidi: “No riapertura scuole al 100%”

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Credit: ANSA

I dati dell'European Centre for Disease Prevention and Control paventano un aggravamento della situazione in caso di allentamento delle misure restrittive. Fondazione Gimbe invita Governo e Regioni a fare "scelte responsabili, anche se impopolari". E il presidente dell'Associazione Nazionale Presidi avverte: "Riaprire le scuole al 100% al momento non è possibile"

In attesa del prossimo DPCM, che dovrebbe allentare le misure di prevenzione del Covid-19 in vista delle festività natalizie, sia Fondazione Gimbe che l’Associazione Nazionale dei Presidi invitano i decisori politici alla prudenza.

“La Fondazione GIMBE si appella alla responsabilità di Governo e Regioni: servono scelte coraggiose anche se impopolari”, spiega Renata Gili, responsabile della ricerca sui servizi sanitari della Fondazione Gimbe. Questo perché “i dati e l’allarme dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) non lasciano adito a dubbi. Un imprudente allentamento delle misure rischia di provocare entro fine anno una nuova inversione della curva dei contagi che, come ben sappiamo, si riflette poi su ospedali ancora in sovraccarico e con il picco dell’influenza stagionale in arrivo”.

L’ECDC infatti lancia un allarme inquietante: “Secondo i modelli predittivi recentemente pubblicati, una revoca delle misure restrittive il 7 o il 21 dicembre porterebbe ad una risalita dei ricoveri, rispettivamente in prossimità del Natale o nella prima settimana di gennaio 2021”.

“Considerato che oltre l’1% della popolazione è attualmente positivo all’infezione – aggiunge Gili – la circolazione del virus nel nostro Paese è ancora molto elevata. E in questa fase di lenta discesa della curva dei contagi l’incremento dei nuovi casi post-allentamento delle misure sarà visibile non prima di 2-3 settimane”.

Il monitoraggio sull’andamento del Covid-19 realizzato dalla Fondazione GIMBE conferma che nella settimana dal 18 al 24 novembre c’è stato, rispetto alla precedente, un calo dei nuovi casi (216.950 vs 242.609), a fronte di una riduzione dei casi testati (778.765 vs 854.626), nonché una lievissima diminuzione del rapporto positivi/casi testati (27,9% vs 28,4%). Sono cresciuti dell’8,8% i casi attualmente positivi (798.386 vs 733.810) e, sul fronte degli ospedali, è rallentato l’incremento dei ricoveri con sintomi (34.577 vs 33.074) e in terapia intensiva (3.816 vs 3.612); ancora in aumento i decessi (4.842 vs 4.134).

Il presidente Nino Cartabellotta spiega: “Se da tre settimane si registra una riduzione dell’incremento percentuale dei nuovi casi, per la prima volta durante la seconda ondata si evidenzia la riduzione sia in termini assoluti dei nuovi casi, sia del rapporto positivi/casi testati dal 28,4% al 27,9%”. Tuttavia, cala anche la riduzione dei casi testati (quasi del 9%) e per questo, anche se l’incremento percentuale scende in tutte le regioni, in ben 15 di esse aumenta il numero degli attualmente positivi. Ciò porta Cartabellotta ad aggiungere: “Gli effetti delle misure di contenimento iniziano a manifestarsi anche sulle curve di ricoveri e terapie intensive, che tendono ad assumere più l’aspetto di un plateau che di un picco simile a quello registrato nella prima ondata. Per allentare la pressione negli ospedali ci vorrà quindi molto più tempo rispetto alla scorsa primavera, perché l’entità delle attuali misure di contenimento è nettamente inferiore al lockdown totale”.

Va ricordato che il Ministero della Salute ha definito una soglia di occupazione di pazienti Covid-19 pari al 40% dei reparti, ma questa linea di demarcazione è stata superata in ben 15 regioni. Laddove i tassi di occupazione sono più alti, “i pazienti Covid stanno ‘cannibalizzando’ progressivamente i posti letto di altri reparti, limitando la possibilità di curare pazienti con altre patologie e determinando il rinvio di prestazioni non urgenti, interventi chirurgici inclusi”, aggiunge Cartabellotta.

Tra le misure attese nel prossimo DPCM c’è anche il ritorno alle lezioni in presenza, che si lega all’annunciato passaggio di alcune regioni, tra cui la Lombardia, da “zona rossa” a uno status meno restrittivo. Tale prospettiva, però, allarma Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, il quale afferma che prima si dovrebbero realizzare alcune condizioni: “Si tratta di un potenziamento del sistema di trasporto pubblico locale, del potenziamento dei servizi delle ASL che consentano il tracciamento in tempi rapidi e naturalmente ci serve la disponibilità dei supplenti, laddove manchino i docenti titolari. Con queste condizioni si può riaprire, perché le scuole si sono dimostrate capaci di far rispettare i protocolli, perché i focolai non si sono accesi nelle scuole”.

Senza tali condizioni, la riapertura al 100% per noi non è ipotizzabile, perché si ripresenterebbero gli stessi problemi. Bisognerebbe poi distinguere tra le realtà delle grandi città e quelle dei piccoli centri, dove i trasporti non sono congestionati, dunque ci potrebbe essere un’apertura differenziata per zona”, ha aggiunto nel corso della trasmissione L’Italia s’è desta, su Radio Cusano Campus.

Rispetto all’attuale organizzazione delle scuole, Giannelli ha aggiunto: “Non abbiamo dati ufficiali sui banchi a rotelle, ma credo che circa un terzo dei banchi debba ancora essere consegnati”. Rispetto alla didattica a distanza, invece, “le famiglie meno abbienti sono destinatarie di computer e dispositivi per la connessione in comodato d’uso da parte delle scuole, che hanno ricevuto cospicui finanziamenti. Questo problema al momento non sussiste. Il problema riguarda le abitazioni che non hanno linea fissa o hanno una connessione non stabile, questo indubbiamente costituisce un problema che va risolto dalle aziende di telecomunicazioni”.

Rispetto alla possibilità che il prolungamento della DAD provochi problemi sulla socialità degli studenti, Giannelli ha osservato: “Per i ragazzi più grandi, grossi problemi non ne vedo. Sicuramente la situazione è più seria per quanto riguarda le fasce più giovani, perché per i bambini l’unico modo per socializzare è di stare in classe con gli altri compagni. Io credo che in questo caso, con una chiusura prolungata, potrebbero verificarsi dei danni nella costruzione di una personalità in grado di relazionarsi con i simili”.

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