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Home » Cronaca

“Io sono figlio di un prete italiano, voglio parlare con il Papa”

Immagine di copertina

“Io sono figlio di un prete italiano, voglio parlare con Papa Francesco”. È l’accorato appello di ragazzo kenyano che dopo 30 anni di silenzio ha deciso di uscire allo scoperto. Gerald Erebon, questo il suo nome, ha raccontato all’Ansa la sua storia, chiedendo di essere ascoltato dal Pontefice.

Ragazzo kenyano figlio di un prete italiano | L’appello: “Voglio parlare con il Papa”

“Sono il figlio di un prete italiano, un missionario della Consolata. Ci sono persone pronte a testimoniarlo ma lui non vuol saperne. Non si è mai sottoposto al test del Dna per colpa dei suoi superiori che vogliono solo allungare l’attesa”, ha detto il trentenne Erebon. “Il Papa – ha continuato il ragazzo – dovrebbe avere il bisogno di sapere la realtà di essere il figlio di un prete cattolico”.

“Durante la mia infanzia – ha raccontato ancora il giovane kenyano – ero molto diverso dai miei fratelli e parenti. Ero un ragazzo di razza mista, con un differente colore della pelle, di capelli e con tratti diversi dai bambini del villaggio, delle scuole che ho frequentato e perfino in casa mia”. Il ragazzo ha ricordato come nel villaggio lo chiamavano Mario, “con il nome di mio padre”, e tutti lo soprannominavano ‘mzungu’ “che in swahili – ha spiegato – significa persona di carnagione chiara/europea”.

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Gerald Erebon ha detto di essersi sentito sempre nella famiglia “sbagliata”. “La mia vita – sono state le parole del giovane – è stata sempre molto dura. Sono cresciuto sentendomi nella famiglia sbagliata; spesso piangevo e mi azzuffavo a scuola e nel villaggio. Mi vergognavo per essere diverso da tutti gli altri bambini”. Il ragazzo kenyano ha più volte incontrato quello che sostiene essere suo padre, ma senza risultato. Per anni i missionari della Consolata gli hanno pagato la retta scolastica, ma oggi anche quel sostentamento sarebbe venuto meno. “Ho aperto una pagina su GoFundMe – il suo appello -. Spero che qualcuno possa contribuire alla mia raccolta fondi per proseguire gli studi”.

Ragazzo kenyano figlio di un prete italiano | La raccolta fondi online

GoFundMe è piattaforma di crowdfunding americana che consente alle persone di raccogliere fondi per circostanze difficili come incidenti e malattie. Erebon sulla sua pagina spiega di essere studente al secondo anno presso l’Università Cattolica dell’Africa Orientale di Nairobi. “Sto facendo bene accademicamente e sono orgoglioso di sfruttare al meglio la mia esperienza universitaria. Tuttavia, rischio di dover lasciare l’università perché non riesco a trovare i soldi per continuare a pagare le tasse scolastiche; dopo il finanziamento interrotto dall’Ordine dei Missionari della Consolata, che ha pagato le tasse scolastiche del mio semestre precedente. I miei problemi sono iniziati quando è uscito un articolo pubblicato dalla rivista italiana Vanity Fair sull’identità di mio padre”.

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E ancora: “Mio padre è un prete cattolico di origine italiana e membro dei Missionari della Consolata”, “non dovevo saperlo, ma l’ho saputo, sin dalla mia infanzia”, “non potevo nascondere ciò di cui ero fatto; essere figlio di un prete cattolico, di un prete ‘bianco’, in un villaggio africano”, “argomento di scherno, vergogna e segretezza”, “le persone come me mentono per tenere segreto il loro padre”.

Ragazzo kenyano figlio di un prete italiano | Il commento dei Missionari della Consolata

Le parole di Gerald Erebon sono state commentate, sempre all’Ansa, anche da padre Stefano Camerlengo, superiore generale dei Missionari della Consolata. “Siamo sempre stati aperti al dialogo senza preclusioni, ma ci hanno mancato di rispetto, nonostante gli sforzi fatti per far incontrare il ragazzo con il nostro confratello, che ha sempre sostenuto di non essere il padre e di non aver mai avuto comportamenti contrari al suo ruolo”.

E ancora: “Sono venuto a conoscenza dell’episodio 4-5 mesi fa e da allora mi sono impegnato per fare chiarezza. Alla fine il prete sarebbe stato anche disponibile a fare il test del Dna, ma poi l’associazione alla quale si è rivolta il ragazzo ha deciso di denunciare il caso in Vaticano”. “È stato un atteggiamento irrispettoso, una mancanza di fiducia nei miei confronti. Ora, fino a richieste della Santa Sede, non ci saranno ulteriori passi”.

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