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“Mio figlio in coma per un pezzo di formaggio”, il racconto del papà: “Ogni giorno ha 30 crisi epilettiche”

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Nel 2017 suo figlio ha mangiato un pezzo di formaggio prodotto con latte crudo Due Laghi del caseificio sociale di Coredo in Val di Non. Il prodotto, si scoprirà successivamente, è contaminato da escherichia coli. Il bambino di 4 anni contrae la sindrome emolitico-uremica (Seu). Il bambino arriva al Santa Chiara di Trento in condizioni gravissime e finirà poi in coma.

Da sette anni Mattia Maestri è in stato vegetativo e ora, dopo un primo ricovero presso l’ospedale di Padova e un lungo soggiorno al centro di riabilitazione di Conegliano, viene seguito e curato a casa. Il papà del minore, che oggi ha 11 anni, si prende cura di lui giorno e notte insieme alla moglie. Stando al racconto dei genitori, per il bimbo non vi è più nulla da fare. Ogni giorno, ha spiegato ancora il papà, viene colpito da 30 cristi epilettiche e la sua situazione sembra essere in continuo peggioramento. I familiari del bimbo hanno ora annunciato azioni legali per chiedere il ritiro del marchio conferito il 9 marzo scorso dall’Azienda per il turismo della val di Non al caseificio di Coredo.

“Il marchio – ha sottolineato Maestri – è stato conferito per la produzione di una particolare tipologia di formaggio. Si tratta di un riconoscimento irrispettoso nei confronti di un bambino che sopravvive da sette anni”.

“Da sette anni la nostra vita è un inferno, da quando nostro figlio è in stato vegetativo, ma continuiamo a combattere perché tragedie simili non devono ripetersi”, ha spiegato il papa di Mattia, Gian Battista, al Corriere della Sera. “La colpa principale rimane del caseificio, se mio figlio non avesse mangiato quel formaggio starebbe bene. Eppure era un prodotto consigliato proprio per la merenda dei bambini”.

L’uomo ricorda poi il giorno dell’incidente: “Mio figlio dopo aver mangiato il formaggio — ne era ghiotto — si è sentito subito male, siamo corsi prima all’ospedale di Cles dove l’hanno tenuto in osservazione, poi visto l’aggravarsi della situazione l’hanno trasferito a Trento. Al pronto soccorso pediatrico, la dottoressa che lo visitava ha chiesto un consulto alla pediatra, che però le ha risposto: non adesso, sono stanca è tutto il giorno che corro. L’abbiamo sentita noi”.

Secondo il racconto dell’uomo, una chirurga, “a quel punto l’ha portato nel suo reparto dove è stato operato di appendicite, in quelle condizioni, ma non si trattava di quello. Se la pediatra l’avesse visitato, almeno non l’avrebbero operato e magari non sarebbe peggiorato”. Invece è entrato in coma ed è stato ricoverato per un mese in terapia intensiva all’ospedale di Padova e per un anno in una clinica riabilitativa a Conegliano “dove – continua il padre – ci hanno potuto solo insegnare come gestirlo a casa, ormai era in uno stato vegetativo insanabile. Mia moglie si è licenziata e da quel momento lo gestisce giorno e notte: 47 farmaci al giorno, uno ogni ora e mezza”. Secondo il padre “per mio figlio non c’è più niente da fare, è sempre più grave. L’ultimo ricovero è stato due settimane fa, la malattia non si ferma ma vorremmo che fosse rispettato”.

“In questi anni non ho mai chiesto risarcimenti, ma dopo l’assegnazione del marchio intendo procedere e valuterò anche la strada di una causa civile — ha ribadito il papà del piccolo — Non si scherza con la vita dei bambini. Che la storia di Mattia serva per salvare tutti gli altri”.

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